Israestina? No grazie, meglio separarsi

Come si può immaginare uno stato unico “bi-nazionale” in un mondo dove neanche cechi e slovacchi riescono a stare sotto la stessa sovranità?

Di Yaron London

Yaron London, autore di questo articolo

Yaron London, autore di questo articolo

Pare che si avvicini il momento cruciale che determinerà se i due popoli che vivono in questa terra continueranno a contorcersi l’uno sull’altro come lottatori che temono di perdere la presa, o si lasceranno andare allontanandosi.

La stragrande maggioranza fra gli ebrei e gli arabi auspicherebbe la seconda opzione, ma allo stesso tempo non ci crede molto. I leader, dal canto loro, hanno già messo in conto il fallimento dei negoziati e sono impegnati a pianificare le mosse in vista della crisi che sicuramente ne seguirà. La loro principale preoccupazione è inchiodare la controparte di fronte all’opinione pubblica mondiale.

Sullo sfondo della diffusa mancanza di fiducia nella possibilità di dividere i nostri pochi chilometri di terra, vanno crescendo le voci di coloro che propugnano la creazione di un unico stato dal mar Mediterraneo al fiume Giordano. Si tratta di un’idea condivisa da estremisti sia di destra che di sinistra.

Tra gli elementi di destra ve ne sono di quelli convinti che i territori occupati debbano essere annessi e che i loro residenti arabi debbano ricevere pieni diritti civili in quanto cittadini israeliani. A loro parere questa mossa non pregiudicherebbe la prospettiva di uno stato ebraico perché i trend demografici smentirebbero le previsioni dei demografi dell’establishment. A sentir loro, il numero dei palestinesi è molto più basso di quanto risulta dalle cifre comunemente accettate, e il loro indice di natalità è in diminuzione mentre persiste il tasso di emigrazione. Sono inoltre sicuri che Israele stia per ricevere masse di ebrei in fuga dalle nuove ondate di antisemitismo nei paesi occidentali, per cui la maggioranza ebraica non farà che aumentare, la democrazia sarà preservata e gli arabi si abitueranno al loro status di minoranza etnica felice di ciò che ha e di partecipare alla costruzione di uno stato caratterizzato da una maggioranza ebraica e un’atmosfera culturale ebraica. È l’opinione di una piccola minoranza di israeliani, soprattutto veterani del “sionismo revisionista” come Moshe Arens e Rubi Rivlin. Sono convinti che il loro maestro Ze’ev Jabotinsky (1880-1940), se vivesse ancora tra noi, non cambierebbe una sola parola dei suoi scritti politici. Vi sono poi anche degli idealisti ingenui, soprattutto tra i membri del campo nazional-religioso, persuasi che la storia ebraica sia deterministica e che loro ne conoscono il corso. Rispetto a costoro, la maggior parte dei sostenitori dell’annessione non sono affatto ingenui. Pensano piuttosto all’istituzione di piccole regioni autonome palestinesi scollegate fra loro, i cui abitanti avranno il diritto di decidere le tasse sugli immobili, assumere vigili e gestire la stazione dei pompieri. Fino a quando dovrebbe durare una tale situazione? Non viene chiarito, forse fino a quando gli arabi palestinesi se ne saranno andati tutti, o sino a quando arriverà il Messia a sistemare ogni cosa.

Squadra di calcio palestinese in Cile. Tutta le mappe della propaganda nazionalista palestinese indicano come obiettivo la cancellazione di Israele dalla carta geografica

All’estrema sinistra troviamo coloro che non credono alla possibilità di una separazione fra i due popoli, non trovano il modo di far quadrare fra loro annessione ed esistenza democratica e non sono per nulla allarmati dall’eventualità che la maggioranza dei cittadini dello stato unitario sia costituita da non-ebrei. Per quanto li riguarda, la necessità di porre fine al fardello dell’occupazione fa premio su ogni altra considerazione, e quindi è meglio istituire una repubblica multinazionale con una sola cittadinanza. Se l’impresa riesce, ci vorranno solo un paio di generazioni perché le due comunità si dissolvono l’una nell’altra creando una nuova cultura affascinante, un fulgido connubio di ebraicità e arabità.

Com’è facile intuire, molti arabi sono di questo parere. Quelli buoni presuppongono che nello stato unitario gli ebrei si trasformeranno in una minoranza utile e sottomessa. Naturalmente ci sono invece ben pochi ebrei che se la sentono di condividere questa opinione. Quello fra loro che si fa più sentire è Gideon Levy, diligente e talentuoso giornalista politico di Ha’aretz. Le sue motivazioni saranno anche nobili, ma i suoi rimorsi di coscienza assomigliano molto a quei terribili dolori fisici che spingono un malato a buttarsi dalla finestra: in effetti, un corpo sfracellato non soffre più e ha risolto i suoi problemi.

Dalla caduta dell’Impero Romano sino alla costituzione della Comunità Europea, ci sono stati più o meno 1.500 anni di guerre tra le nazioni di quel continente. Solo l’instaurazione di regimi democratici e l’avvento della prosperità economica su tutto il continente ha reso possibile l’attuale sorprendente unione. Come si può pensare a una repubblica di “Israestina” (Israele+Palestina) in un mondo dove nemmeno cechi e slovacchi riescono a stare insieme sotto un’unica sovranità?

Gideon Levy e quelli che condividono la sua idea sorvolano allegramente sul completo fallimento degli arabi nell’adottare valori moderni, e sono pronti a condividere con loro la sovranità ed anche a contemplare la possibilità, insita nelle modalità di un moderno regime democratico, che essi prendano il potere. Forse che i palestinesi hanno deciso di sbarazzarsi della misera cultura politica che caratterizza i loro 350 milioni di fratelli arabi? Sarà, ma io non sono disposto a fare l’esperimento sulla mia pelle.

(Da: YnetNews, 7.2.14)