Itamar e le centrifughe iraniane di Natanz

Tutte le volte che lAmerica deve legittimarsi davanti agli arabi, il conto viene presentato a Israele.

Da un articolo di Aluf Benn

image_1364Dalla fine della guerra in Libano, la diplomazia nella regione viene condotta su due binari apparentemente distinti. Uno si concentra sul fermare il programma nucleare iraniano, l’altro sulla ripresa di negoziati arabo-israeliani intorno al concetto “terra in cambio di pace”.
Il primo binario si gioca tra le maggiori potenze e l’Iran, che rifiuta di fermare l’arricchimento dell’uranio ignorando una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu in questo senso. Israele si tiene in disparte: i suoi leader citano di tanto in tanto la minaccia esistenziale posta dall’Iran, ma sono troppo indaffarati con i loro problemi politici per dedicarle più tempo.
Le chance di rilanciare il processo diplomatico arabo-israeliano, discusse al Cairo, a Damasco e a Gaza, sono oggetto di un dibattito interno in Israele. C’è chi vorrebbe aprire colloqui con i palestinesi (come il ministro degli esteri Tzipi Livni), chi con i siriani (il ministro della difesa Amir Peretz e quello di pubblica sicurezza Avi Dichter), chi con i libanesi (il primo ministro Ehud Olmert), chi con tutti (il presidente del Meretz Yossi Beilin) e chi con nessuno (il leader dell’opposizione Benjamin Netanyahu). Come in passato, il dibattito israeliano si svolge come se Israele avesse in mano tutte le carte.
Alla base sta la sensazione che la guerra in Libano e gli scontri a Gaza abbiano messo fine ai piani di ritiro dai territori, perlomeno finché continua a non esserci “nessun interlocutore affidabile con cui negoziare” e finché (sulla scorta delle recenti esperienze sui confini sud e nord) non sembrerà esservi altro modo per garantirsi la sicurezza che mantenere il controllo su Cisgiordania e alture del Golan.
Ma la situazione regionale è più complicata, e più gli Stati Uniti si spingono avanti lungo la china che porta alla collisione con l’Iran, più si farà pressante la richiesta di un ritiro israeliano dai territori. Anche se Israele non si stanca di ripetere che quello dell’Iran “è un problema per tutto il mondo, e non solo per Israele”, l’esperienza insegna che “non esistono pasti gratis”. Tutte le volte che l’America è intervenuta in questa regione e quindi sentiva la necessità di legittimarsi agli occhi degli arabi, alla fine ha richiesto qualcosa in cambio da Israele.
Nel 1991 gli americani attaccarono l’Iraq per liberare il Kuwait. Il motivo della guerra non aveva niente a che fare con Israele, sebbene Israele abbia tratto vantaggio dalla distruzione dell’esercito, dei missili e delle armi chimiche di Saddam Hussein. Tuttavia l’amministrazione dell’allora presidente George Bush padre presentò il conto a Israele nella forma della Conferenza di Madrid, che aprì la strada agli accordi di Oslo, alla pace con la Giordania, a negoziati con la Siria e alla nascita dell’Autorità Palestinese.
Dodici anni dopo gli aerei americani tornarono nei cieli di Bagdad, questa volta mandati da George Bush figlio. Anche questa volta il motivo era di carattere globale e Israele restò in disparte. Ma ancora una volta gli venne chiesto di pagare il conto accettando la Road Map, il congelamento degli insediamenti al di là della barriera, fino ad arrivare, più tardi, al ritiro da Gaza e dalla Cisgiordania settentrionale.
Si può presumere che anche oggi il problema globale e quello locale verranno legati fra loro. In cambio di una soluzione, politica o militare, del programma nucleare iraniano, a Israele verrà chiesto di sgomberare altri insediamenti in Cisgiordania e forse anche sul Golan. Come nelle precedenti guerre del Golfo, anche oggi verrà detto a Israele che deve pagare un prezzo territoriale (nonostante le recenti esperienze sui confini sud e nord) in cambio della rimozione di una minaccia globale.
La principale differenza fra la situazione di allora e quella di oggi sta nella dirigenza israeliana. Anziché primi ministri come Yitzhak Shamir e Ariel Sharon che tendevano ad opporsi a ritiri e sgomberi, oggi il primo ministro israeliano Ehud Olmert è quello che ha proposto lo sgombero del 90% della Cisgiordania in cambio di nulla. Perché dovrebbe opporsi allo sgombero di un insediamento come Itamar in cambio dello stop alle centrifughe di Natanz? E se anche Olmert non fosse più in carica, il suo successore non potrà che imbattersi nelle stesse richieste. Netanyahu chiede di lasciar perdere l’idea di sgomberare insediamenti per concentrarsi piuttosto sull’Iran, ma anche lui non potrà che scoprire che le due questioni sono intrecciate.

(Da: Ha’aretz, 7.09.06)