Jerusalem of soul

Il recente rinascimento del jazz a Gerusalemme ha a che fare con latmosfera unica di questa città

Da un articolo di Ben Shalev

image_1563Tre anni fa, Yonatan Kretzmer, il sassofonista della giovane combo jazz The Rats, ritornò a Gerusalemme dopo due anni trascorsi a studiare a Parigi. Pochi giorni dopo, andò a sentire un concerto al Lab, e si rese conto che , mentre era via, c’era stato un grosso miglioramento nel jazz di Gerusalemme.
“I musicisti che suonavano al club erano eccellenti – ricorda – Suonavano jazz originale, molto israeliano, molto accattivante. Quando sono partito, sarebbe stato difficile trovare nel paese qualcosa del genere. Quello che mi ha altrettanto stupito è stato che la gente veniva al club senza sapere quello che avrebbe ascoltato, come se sapessero che si sarebbero divertiti comunque. E’ stata un’esperienza meravigliosa, e mi ha dato una grande energia”.
Il jazz a Gerusalemme è davvero fiorito ultimamente. I membri del mondo jazzistico di Gerusalemme dicono che negli ultimi anni sono molto aumentate le persone interessate al jazz. Il produttore e giornalista Uriel Kun, che ha recentemente curato la collezione “Jazz Jerusalem” dice addirittura che “ogni volta che si esce, si incontra qualcuno diretto a una performance”. Tuttavia, la scena del jazz era e rimane molto ridotta: cinque o sei bar, un club, qualche decina di musicisti e parecchie centinaia di appassionati. E’ tutto. Il coraggioso tentativo dell’estate scorsa di uscire dai confini locali e organizzare un festival internazionale del jazz è stato un fallimento economico assoluto, benché sia stato un successo artistico. “La scena del jazz è nella testa delle persone, più che nelle performance. E’ una scena potenziale”, dice il sassofonista Natan Haber.
Quando Haber dice “nella testa delle persone” si riferisce ai musicisti, e in questo campo il jazz di Gerusalemme sta effettivamente vivendo una sorta di piccolo rinascimento. Negli ultimi mesi, i musicisti di Gerusalemme hanno inciso una decina di album che dimostrano sia l’impeto creativo della scena locale, che la grande varietà stilistica che la caratterizza.
La settimana scorsa è stato pubblicato il programma artistico del festival Jazz di Tel Aviv del mese prossimo, che conferma l’impressione che Gerusalemme sia diventata una tappa importante del jazz israeliano: dei cinque complessi israeliani che si esibiranno al festival, due vengono da Gerusalemme: il quartetto di Haber e il complesso di Julia Feldman. Un altro gruppo, il sassofonista Daniel Zamir e il pianista Omri Mor, è per metà di Gerusalemme.
Il jazz di Gerusalemme si definisce in relazione al jazz di Tel Aviv. Bisogna fare delle precisazioni. Quando si parla di jazz internazionale, si fa di solito una chiara distinzione tra jazz East Coast e West Coast degli Stati Uniti. E tra jazz americano e jazz europeo. Alla luce della ridotta scena del jazz in Israele, sembra un po’ ridicolo dividere quello che succede qui in scene geografiche diverse. Tuttavia Haber, Kretzmer, Feldman e Kun asseriscono che è decisamente possibile parlare del suono di Gerusalemme contrapposto al suono di Tel Aviv.
“Facendo una generalizzazione un po’ grossolana, il jazz di Tel Aviv è una versione locale del jazz di New York – spiega Kretzmer – Si tratta di musica ritmica che spinge in avanti, musica che viene dagli anni ‘50, molto attenta alla tecnica, talvolta perfino raffinata, e non lo dico con disprezzo. Noi, generalizzando di nuovo, siamo più vicini al jazz europeo. Musica che ha un umore più pesante, ed è meno attenta alla tecnica e più attenta al colore del suono”.
Haber, la cui musica è in effetti più vicina al jazz afro-americano che al jazz europeo, fa un’osservazione interessante: a Gerusalemme non ci sono suonatori di tromba. “La tromba è uno strumento non adatto a spazi piccoli come bar e caffé, e forse non è nemmeno adatta all’atmosfera di Gerusalemme”, dice.
Uno dei simboli del jazz di Tel Aviv è la jam session che si svolge tutti i lunedì al club Shablul. Kretzmer parla per Gerusalemme quando dice che non c’è niente che lui detesti più di una jam session. E Kun aggiunge: “L’approccio di Tel Aviv al jazz è il divertimento, una celebrazione immediata dell’immaginazione, mentre l’approccio di Gerusalemme al jazz è esistenzialista, volto a cambiare l’anima”.
Grusalemme è più astratta –aggiunge Haber – Qualcosa in questa città porta al pensiero più astratto. Forse è l’aria di montagna –aggiunge con un sorriso – C’è la sensazione di essere in un posto con un significato al di là del materiale. E questo condiziona il modo di ascoltare la musica. Quando suono a Tel Aviv, mi sento come se fossi sullo sfondo. Qui la gente è più attenta. Questo influenza molto il modo di suonare. Ti fa suonare in modo diverso”. Ma c’è anche una ragione prosaica alla base delle differenze tra Gerusalemme e Tel Aviv. “A Tel Aviv ci sono maggiori opportunità – dice – Tel Aviv è un posto dove si va per avere successo, o almeno per guadagnarsi da vivere. E per guadagnarsi da vivere bisogna suonare semplice musica di New York . I gerosolimitani in spirito sono quelli che sono venuti a patti con il fatto che il jazz non darà loro da vivere”.
Quando si chiede a Haber, Kretzmer, Feldman e Kun che cosa abbia provocato il recente risveglio jazzistico di Gerusalemme, viene sempre fuori lo stesso nome: Arnie Lawrence. Lawrence, un sassofonista, venne a Gerusalemme alla metà degli anni ‘90 dopo una gloriosa carriera come strumentista ed educatore a New York. Aveva già più di 60 anni, ma grazie a un carisma contagioso e a un’energia inesauribile, creò una scena jazzistica in città quasi da solo.
“Prima di Arnie c’erano due conservatori in città, e non avevano quasi lavoro. Nel momento in cui lui arrivò e iniziò a suonare in tutti i buchi possibili, cominciarono a funzionare e a lavorare ininterrottamente”, ricorda Kun.
Lawrence, che è morto due anni fa, ha grandemente influenzato i musicisti jazz di Gerusalemme. Non solo costituiva un modello, ma fondò anche un centro musicale in cui insegnava a decine di adolescenti che oggi conducono la scena jazzistica della città.
Haber osserva un’ulteriore e sorprendente ragione per il rinascimento jazzistico di Gerusalemme. “La difficile situazione nazionale, l’ intifada e la pressione politica ed economica fanno in modo che gli artisti sentano il bisogno di esprimersi. Questo è particolarmente evidente nel jazz, che è la musica dell’espressione diretta. Io non so come sia per gli altri musicisti, ma lo riscontro in me stesso. Lasciai il jazz parecchi anni fa, e fino al 2002 non pensavo di ritornare. Perché ricominciare a suonare per quattro o cinque persone? Litigare con i proprietari dei club per 50 shekel? Ma improvvisamente, nel bel mezzo della crisi del paese, ho sentito un bisogno terribile di suonare jazz. E’ scoppiato in modo improvviso”.

(Da: Ha’aretz, 23.01.07)