Kibbutz, cento anni ben portati

Dopo un secolo, l’originale esperimento sociale israeliano ha conosciuto enormi cambiamenti, ma il suo DNA resta lo stesso. E molti dei suoi figli vi fanno ritorno.

di Eli Ashkenazi

image_2742Il movimento dei kibbutz, che compie cento anni, sembra aver mantenuto pochissima somiglianza con gli ideali che una volta lo motivavano. Secondo uno studio compiuto dall’Institute for the Research on the Kibbutz and the Cooperative Idea dell’Università di Haif, solo un quarto dei kibbutz funziona ancora come cooperative egualitarie, mentre gli altri hanno cominciato a pagare stipendi ai loro membri. Perfino Deganya Aleph, il primo kibbutz nella storia di Israele, opera oggi sul modello privatizzato.
Un’altra inchiesta condotta quest’anno ha rivelato che il 70% di tutti i membri di kibbutz guadagna uno stipendio mensile di meno di 7.000 shekel, mentre l’11% ne guadagna oltre 12.000. Sono 180 i kibbutz (il 72%) gestiti secondo il modello di privatizzazione noto come “nuovo kibbutz”, che prevede stipendi differenziati per i membri; 65 kibbutz (25%) sono gestiti in comune; e 9 kibbutz (3%) sono gestiti come kibbutz “integrati”.
Un kibbutz comunitario è quello in cui non c’è rapporto tra il lavoro compiuto dai membri e lo stipendio che ricevono; in altre parole, tutti sono pagati lo stesso. Il modello integrato combina un budget di base egualmente distribuito tra tutti i membri con una percentuale dello stipendio di ciascun membro. Un “kibbutz rinnovato”, il modello privatizzato oggi più diffuso, sostituisce il budget con stipendi regolari specifici per ogni membro provenienti dal lavoro e da altre fonti di reddito. Il kibbutz privatizzato mantiene la proprietà comune degli strumenti di lavoro del kibbutz e degli altri beni, insieme a una “rete di sicurezza” per assicurazione sanitaria, pensione, istruzione e aiuto ai membri con esigenze speciali.
Dal 2007 al 2008, 14 kibbutz sono stati privatizzati; solo cinque sono stati privatizzati tra il 2008 e il 2009. In alcuni kibbutz il processo di privatizzazione è stato abbandonato dopo che la maggior parte dei membri ha deciso di mantenere il modello tradizionale cooperativo.
“La notizia veramente interessante – dice Elisha Shapira, coordinatore del settore cooperativo nel movimento dei kibbutz – è che alcuni kibbutz hanno deciso di non privatizzare. Non voglio fare profezie, ma potrebbe essere l’inizio di un ravvedimento”.
Un numero sempre maggiore di membri capisce che passare da cooperativa a differenziato danneggia la maggioranza, con vantaggi solo un ristretto gruppo. “Quando si prende una società che era egualitaria e la si lascia gestire con le regole del mercato, è evidente che una minoranza sale e la maggioranza scende – spiega Shapira – Quando comincia la privatizzazione i membri si trovano improvvisamente molto più denaro in mano, così pensano che le cose vadano meglio; ma poi ricevono i conti per l’assicurazione sanitaria, l’istruzione, i trasporti e altri servizi altrettanto basilari. I membri del kibbutz a quel punto si rendono conto che le loro condizioni in realtà sono peggiorate”.
Tuttavia il direttore dell’istituto di ricerca, Shlomo Getz, dice che è troppo presto per valutare: “Non possiamo concludere che il processo di privatizzazione si sia arrestato perché nel 2009 [solo] due kibbutz comunitari e tre kibbutz integrati hanno adottato il modello privatizzato. Vi sono altri dodici comunitari e tre integrati che stanno già parlando di cambiare il loro modello amministrativo”.
“La grande sfida che affronta oggi il kibbutz è l’immagine del kibbutz usciamo da una crisi economica e sociale durata due decenni – dice Ze’ev Shor, segretario del Kibbutz Movement – La maggior parte dei kibbutz se l’è cavata bene durante la crisi. Tutti i kibbutz sono ora economicamente stabili e molti loro figli stanno tornando a casa: negli ultimi anni, 2.500 nuovi membri sono entrati nei kibbutz, e il 60% erano membri di kibbutz che tornavano.
Ci sono stati grandi cambiamenti nel modo di vivere in kibbutz durante la crisi, ma anche quei kibbutz che funzionano con stipendi, prodotti e alcuni servizi privati conservano ancora la solidarietà e l’assistenza reciproca che sono nel DNA del kibbutz”, conclude Shor.

(Da: Ha’aretz, 07.01.10)