La bizzarra conta dei centimetri di pelle femminile coperta, vista dalle spiagge israeliane

Le società occidentali potrebbero imparare qualcosa dalla condizione delle minoranze in Israele, un paese certamente non sospettabile di “sottomissione” all’islam

Editoriale del Jerusalem Post

Donne israeliane sulla spiaggia di Tel Aviv

Lunedì scorso il fotografo del Jerusalem Post Marc Israel Sellem è andato sulla spiaggia vicina al vecchio porto di Jaffa e ha fotografato tre donne che si godevano una giornata nella sabbia. Una ha sollevato il telefono per farsi un selfie mentre le altre due la passavano accanto. In quattro comuni della Francia gli abiti di quelle due donne sarebbero costati loro delle multe perché indossavano il cosiddetto burkini, un costume da bagno a copertura pressoché totale finito al centro di accese polemiche nel corso dell’ultima settimana.

Il contrasto tra le spiagge in Israele e in Francia è un esempio del tipo di convivenza, o coesistenza, che Israele ha sviluppato tra i i settori della sua popolazione laici e religiosi, arabi ed ebrei, musulmani e cristiani. In Israele non vige alcun divieto per niqab e burka. In Germania, invece, il ministro degli interni bavarese Joachim Herrmann, di Unione cristiano-sociale, ha affermato: “E’ chiaro che il burqa non è il giusto capo d’abbigliamento per la popolazione in questo paese”. Come altri politici tedeschi, è alla ricerca di un rimedio legale al niqab che copre la faccia. In Francia, quel velo è vietato dal 2010.

A quanto pare, il sostegno al divieto del burkini in Francia deriva dai valori laici del paese. Il primo ministro Manuel Valls dice che “non è compatibile con i valori della Francia e della Repubblica”. La ministra per i diritti delle donne Laurence Rossignol ha dichiarato a Le Parisien che “il burkini non è una nuova linea di costumi da bagno, è la versione da spiaggia del burka e ha la stessa logica: nascondere il corpo delle donne al fine di controllarle meglio”. Rossignol sostiene che le donne non hanno possibilità di scelta in materia: “Non è una questione che riguardi solo le donne che lo indossano – ha spiegato – giacché è il simbolo di un progetto politico ostile alla diversità e all’emancipazione delle donne”. Rossignol ha paragonato il velo sulla testa indossato da alcune donne musulmane ai “negri che appoggiano la schiavitù”, una dichiarazione che ha suscitato molte critiche lo scorso marzo.

Questo velenoso dibattito su islam e grado di copertura dei vestiti delle donne stride con le accuse spesso mosse a Israele nei paesi occidentali. Israele viene spesso condannato per come tratta le minoranze arabe e musulmane. Eppure è in Israele che i musulmani possono costruire moschee e minareti a loro piacimento, a differenza della Svizzera dove, in un referendum del 2009, il 57% dell’elettorato ha approvato il divieto di costruire minareti.

Una moschea a quattro minareti costruita di recente nel villaggio arabo-israeliano di Abu Ghosh, poco a ovest di Gerusalemme

Una moschea a quattro minareti costruita di recente nel villaggio arabo-israeliano di Abu Ghosh, poco a ovest di Gerusalemme

Le società occidentali se la prendono con i simboli. Quei paesi dovrebbero piuttosto concentrarsi sulle questioni di più ampia portata relative a valori essenziali, come l’istruzione delle donne e la tutela dei loro diritti.

La società israeliana, sebbene sia profondamente divisa sulle questioni del rapporto fra stato e religione e abbia la sua parte di problemi legati alla tolleranza dei diversi gruppi, presenta anche molti punti di forza, come la condizione in cui vive la consistente minoranza islamica: un esempio che potrebbe servire da modello al resto del mondo. Sempre più spesso, i paesi occidentali cercano di imparare da Israele come combattere il terrorismo. Ma potrebbero imparare qualcosa di utile anche in fatto di tolleranza, e su come accettare persone che si presentano in modo diverso e indossano abiti che potrebbero sembrare fuori luogo per una giornata in spiaggia. In Israele la cosa non riguarda solo i musulmani, ma anche la rilevante popolazione ebraica ortodossa, che in parte aderisce a opinioni molto rigorose in fatto di modestia di costumi.

Per molti versi, nei suoi 68 anni Israele ha affrontato problemi che l’Occidente si trova ad affrontare solo oggi. Per esempio, esistono tribunali rabbinici e tribunali musulmani (comunque soggetti al giudizio ultimo della Corte Suprema). In Occidente, la parola sharia (legge islamica) evoca per lo più truci immagini di talebani. In Israele, i tribunali della sharia si occupano da sempre del diritto di famiglia, come i matrimoni, perché non esiste il matrimonio civile. Può darsi che la mancanza di matrimonio civile sia una seria lacuna, ma certamente ha permesso ai musulmani di praticare la loro fede come meglio credono, attenuando e disinnescando una serie di potenziali controversie nella società.

Vietare il burkini o il velo integrale non li fa scomparire. Si limita a segregare ancora di più dalla vita pubblica le donne delle famiglie più tradizionaliste, ottenendo un risultato esattamente opposto a quello che si prefiggono i sostenitori dell’integrazione sociale.

Le società occidentali farebbero bene a guardare con un po’ più di umiltà a Israele, per vedere come un paese può combinare (seppure per tentativi ed errori) leggi e atteggiamenti occidentali con società molto religiose, cercando in questo modo un giusto equilibrio fra libertà, diversità e diritti dei cittadini.

(Da: Jerusalem Post, 23.8.16)

Scrive Gil Troy: «Vietare il burkini è come combattere il comunismo vietando le bandiere rosse o lottare contro il fascismo vietando le camicie nere. L’islamismo e il terrorismo islamico devono essere combattuti strenuamente, ma con intelligenza. Atti vendicativi dettati dalla collera fanno apparire gli occidentali deboli, decadenti, repressivi e sciocchi. … L’islamismo è particolarmente ripugnante perché gli estremisti islamisti mirano a imporre il loro fondamentalismo con la violenza, costringendoci tutti nel regno del bene e del male, non certo in quello degli articolati dibattiti su come pensare, sentire, giudicare e vivere. La violenza deve essere combattuta con la massima determinazione, e in modo cooperativo. Gli occidentali dovrebbero imparare dagli israeliani, e intanto allearsi con Israele per combattere il terrorismo in modo più efficace. Ma le convinzioni estremiste che alimentano la violenza possono essere confutate solo con la ragione e la visione. Posso accettare sia il burkini che il bikini. Non posso tollerare i pigmei morali, di destra e di sinistra, che sono troppo fanatici, troppo semplicistici, troppo intolleranti per ammettere la complessità della questione.» (Da: Jerusalem Post, 24.8.16)

 

Spiagge israeliane (per scorrere la galleria d’immagini, cliccare sulla prima e proseguire cliccando sul tasto “freccia a destra”):