La calunnia di Amnesty che vuole la distruzione dello stato ebraico

L'accusa di apartheid è infondata e diffamatoria: molto dannosa per l’immagine di Israele agli occhi di chi ci crede; devastante per la credibilità di Amnesty agli occhi di sa come stanno in realtà le cose

Di David Horovitz

David Horovitz, autore di questo articolo

No, Amnesty. Israele non pratica l’apartheid contro i palestinesi: non lo fa, come ridicolmente sostiene l’ultimo calunnioso rapporto di Amnesty, all’interno di Israele stesso; non lo fa nella striscia di Gaza gestita da Hamas; e nemmeno nella realtà profondamente problematica della Cisgiordania (il rapporto accusa Israele di imporre l’apartheid anche “al di fuori” di queste aree, e qui si resta senza parole).

In realtà, la minoranza araba all’interno di Israele – poco più di un quinto della popolazione – gode di pieni diritti nell’unica democrazia del Medio Oriente, compresa l’uguaglianza davanti alla legge, l’equa rappresentanza politica, la libertà di stampa e la libertà di parola.

I palestinesi della striscia di Gaza sono governati da un’organizzazione terroristica omicida e repressiva che persegue dichiaratamente la distruzione di Israele. Israele non vi ha nessuna presenza militare o civile, essendosi ritirato unilateralmente nel 2005 sulle linee precedenti il 1967. La necessità di un blocco di sicurezza è confermata e rafforzata ogni volta che Hamas scatena un conflitto transfrontaliero.

Per decenni Israele ha cercato di negoziare la fine dell’occupazione in Cisgiordania, a sua volta subentrata alla precedente occupazione (illegale) della Giordana. Ma è stato sconfitto dal rifiuto, prima del mondo arabo, poi della dirigenza palestinese, di accettare termini che non decretino la fine militare e/o demografica di Israele. La disponibilità della maggioranza degli israeliani a “correre dei rischi” in Cisgiordania in nome della pace è stata inesorabilmente piegata da decenni di implacabile terrorismo e dalla prova lampante, a Gaza e nel Libano meridionale, che l’abbandono di territori adiacenti non fa altro che creare un vuoto che i regimi terroristici si precipitano a riempire.

Mona Khoury-Kassbari, araba israeliana, vicepresidente dell’Università di Gerusalemme. Apartheid?

Anche se Israele negli ultimi anni si è pericolosamente allontanato dalla dichiarata disponibilità, in linea di principio, verso una praticabile soluzione a due stati del conflitto, tuttavia non ha annesso la Cisgiordania e non ha formalizzato un governo sovrano sui palestinesi che vi vivono. La sua presenza in Cisgiordania e le sue politiche sono una funzione complessa e una conseguenza di imperativi di sicurezza, nel mezzo di un decennale scontro di rivendicazioni nazionali fondato su narrazioni storiche contrastanti. Pochi contesterebbero che in questo complicato mix vi sia anche del razzismo, ma per citare Yuval Shany, ricercatore presso l’Israel Democracy Institute e membro della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Gerusalemme, usare il termine apartheid significa “spingersi troppo lontano”. Ed è il minimo che si possa dire.

“Israele – ha twittato martedì un eminente israeliano che conosce molto bene Israele, il suo conflitto con i palestinesi, la sua storia e la sua realtà quotidiana – ha molti problemi che devono essere risolti, all’interno della Linea Verde [pre-67] e certamente nei territori occupati. Ma Israele non è uno stato di apartheid”.

L’espansione degli insediamenti minaccia di distruggere ogni prospettiva di futura di soluzione a due stati, l’unico mezzo praticabile per risolvere il conflitto. Le Forze di Difesa israeliane sono spesso riluttanti o incapaci di affrontare e contrastare con la dovuta determinazione la violenza di gruppi di coloni estremisti, e in questo momento l’esercito è alle prese con l’ignobile caso (sotto doppia indagine) di un anziano palestinese che è stato lasciato morire dopo che era stato fermato e trattenuto da un’unità militare. Il perdurante controllo israeliano su milioni di palestinesi è palesemente inquinante e alla lunga insostenibile, anche dal punto di vista esistenziale di Israele poiché ci condanna a perdere alla fine la nostra maggioranza ebraica o la nostra democrazia, o entrambe. Ma deve essere risolto in modo tale che la creazione di uno stato palestinese non provochi o minacci la distruzione del nostro storico stato ebraico.

Issawi Frej, parlamentare arabo israeliano del partito di sinistra Meretz e ministro per la Cooperazione regionale nell’attuale governo. Apartheid?

Ma è proprio la distruzione di Israele quella che Amnesty persegue e promuove in modo trasparente, quando invoca un “diritto al ritorno” potenzialmente di milioni di palestinesi dentro Israele anziché il loro insediamento nel loro stato futuro arabo-palestinese una volta che avranno veramente accettato l’esistenza del nostro stato ebraico; quando esorta la comunità internazionale a negare a Israele le armi di cui purtroppo ha assoluta bisogno per difendersi dagli aggressori della regione; quando stravolge la realtà delle cose in un rapporto progettato per affievolire l’appoggio e l’identificazione internazionale con la nostra piccola nazione, che sopravvive e si sviluppa a dispetto di ogni previsione.

Agli occhi di coloro che fanno la fatica di considerare a fondo la nostra complessa realtà e il suo contesto, il rapporto pubblicato martedì non farà che screditare Amnesty International. Ma nei tanti ambienti in cui le persone, purtroppo, non fanno questo sforzo, la scelta di Israele come uno degli unici due paesi al mondo, insieme a Myanmar, ad essere bollati da Amnesty come colpevoli di apartheid farà danni enormi. Costoro, se pure non gli crederanno sulla parola, potrebbero trovare motivo di riflessione nell’apprendere l’identità di quell’eminente e competente israeliano di cui poc’anzi abbiamo citato il tweet che ammette l’esistenza di “molti problemi” ma respinge seccamente la calunnia dell’apartheid. Si tratta di Issawi Frej, un arabo musulmano il cui nonno venne ucciso nel massacro di Kafr Qasim del ‘56, e che attualmente è ministro della cooperazione regionale nel governo di Israele, lo stato dell’“apartheid”.

(Da: Times of Israel, 3.2.22)

Il tweet del ministro Issawi Frej

 

Col titolo “La pericolosa bugia di Amnesty International sull’apartheid”, Tuvia Book ha riproposto mercoledì su Times of Israel l’articolo che aveva scritto nel maggio scorso quando Human Rights Watch aveva etichettato Israele come stato di apartheid. Clicca qui per l’articolo originale, a suo tempo pubblicato da israele.net: Lasciate perdere il rapporto HRW, vi dico io cos’è il vero apartheid