La chimera dell’unità palestinese

Finché i palestinesi non inizieranno ad assumersi le loro responsabilità, l'unità interna e la pace con Israele rimarranno fuori portata

Editoriale del Jerusalem Post

23 aprile 2014

23 aprile 2014: il capo di Hamas a Gaza Ismail Haniyeh (a destra) mostra l’accordo di riconciliazione firmato con il rappresentate di Fatah, Azzam al-Ahmad (a sinistra): prevedeva un governo di unità nazionale entro 5 settimane e nuove elezioni entro 6 mesi

Fonti vicine sia a Hamas che a Fatah affermano che i due movimenti rivali palestinesi potrebbero aver fatto un importante passo avanti nei colloqui per la riconciliazione che sono in corso a Doha, in Qatar. Ma quanto sono attendibili questi resoconti? I dettagli circa il presunto accordo di riconciliazione sono assai scarsi. Alcune fonti sostengono che Fatah e Hamas hanno nuovamente concordato di formare un governo di “unità nazionale” e di indire elezioni parlamentari entro sei mesi. Secondo altre fonti, meno ottimiste, i colloqui sarebbero a un punto morto e l’unica cosa concordata fra le parti è che sia i rappresentanti di Hamas che quelli di Fatah eviteranno di parlare coi mass-media sul presunto accordo.

Come che sia, non sarebbe certo la prima volta che Fatah e Hamas non riescono a riconciliare le loro divergenze, da quando Hamas ha preso con la violenza il controllo sulla striscia di Gaza nel 2007. C’è stato l’accordo della Mecca del 2007, l’accordo del Cairo del 2011 e, nel 2014, le parti hanno firmato nella striscia di Gaza l’accordo detto del Beach Refugee Camp. Ma nessuno di questi accordi ha portato alla riconciliazione né a elezioni parlamentari, che infatti non si tengono in Cisgiordania e Gaza da un decennio.

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“La buona notizia è che ora la maggior parte dei palestinesi vuole la soluzione a due stati!” – “E la cattiva notizia?” – “Vogliono uno stato per Hamas e uno per Fatah!”

Entrambe le parti sono sempre pronte a incolpare Stati Uniti, Israele e altri paesi accusandoli di sabotare i tentativi di riconciliazione. È vero che gli Stati Uniti – come peraltro Israele – non nascosero il loro malcontento per la nascita di un governo palestinese che includesse i terroristi di Hamas. Dopo l’accordo del Beach Refugee Camp, il presidente Barack Obama disse, nell’aprile 2014, che la decisione del presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) di formare un governo di unità nazionale con Hamas era “svantaggioso” e minava i negoziati con Israele.

Ma la realtà è che, mentre i capi di Hamas e Fatah usano sempre parole edificanti per manifestare davanti ai loro seguaci l’importanza dell’unità palestinese, si tratta per lo più di discorsi a uso e consumo locale. Sia Hamas che Fatah devono sostenere a parole l’ideale dell’unità. Nessun capo politico palestinese potrebbe mai dichiararsi apertamente contrario all’unità perché entrerebbe in contraddizione con uno dei dogmi più forti della società palestinese. Dopo tutto, chi mai potrebbe schierarsi a favorire della guerra intestina?

Ma i comportamenti sia di Fatah che di Hamas parlano più chiaro della loro scontata retorica. Non passa giorno senza che Fatah arresti qualche palestinese in Cisgiordania accusato di legami con Hamas. E l’azione repressiva di Fatah contro gli attivisti di Hamas è resa possibile dal coordinamento militare con Israele. In effetti, non sarebbe esagerato dire che Abu Mazen e Fatah restano al potere in Cisgiordania grazie a questo coordinamento militare. E anche se Abu Mazen ha minacciato in una serie di occasioni di voler porre fine al coordinamento, le sue sono solo vuote minacce a uso e consumo consumo locale, esattamente come i suoi appelli all’unità con Hamas.

Hamas, dal canto suo, si rifiuta di schiodarsi dalla sua ideologia intransigente ed estremista e dal suo attivo sostegno alla violenza contro Israele. Hamas si rifiuta di rinunciare al terrorismo, di riconoscere Israele e di onorare gli accordi già firmati tra palestinesi e Israele: le tre condizioni basilari che il Quartetto (Usa, Onu, Unione Europea e Russia) ha chiesto a Hamas di accettare prima di riconoscere un governo palestinese che la comprenda al suo interno. Hamas non solo si rifiuta di accettare tutte e tre le condizioni, ma continua a proclamare apertamente la sua determinazione a usare la violenza contro Israele, e contro i palestinesi che osano coordinare con Israele le misure di sicurezza.

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“Ci prendiamo un caffè?”

Un altro fattore che rende assai dubbio un accordo di riconciliazione è la tensione che esiste tra Egitto e Qatar, il paese che ospita i colloqui tra Hamas e Fatah. Nessun accordo di unità può avere successo senza il coinvolgimento egiziano, ma al momento è difficile immaginare Egitto e Qatar lavorare insieme.

I discorsi sull’unità palestinese possono sembrare una bella cosa, ma non c’è motivo per essere granché ottimisti. In ultima analisi, finché i palestinesi non saranno in grado di risolvere le loro divergenze è impossibile immaginare che israeliani e palestinesi possano risolvere il loro conflitto con un accordo affidabile e duraturo. Incolpare gli Stati Uniti e Israele per la spaccatura nella dirigenza politica palestinese può servire a quietare la propria coscienza, ma finché i palestinesi non inizieranno ad assumersi la responsabilità per il loro destino nazionale, l’unità interna e la pace con Israele rimarranno fuori portata.

Mentre non cessa l’ondata di aggressioni terroristiche contro gli israeliani, è ora che la dirigenza palestinese affermi il proprio controllo, faccia cessare le violenze, ponga fine all’istigazione e all’indottrinamento e riprenda finalmente il dialogo pacifico con Israele.

(Da: Jerusalem Post, 30.3.16)