La coesistenza nel mirino

La dirigenza palestinese è risolutamente impegnata a recidere ogni germoglio di convivenza tra i due popoli

Editoriale del Jerusalem Post

Schermata Twitter, con hashtag “normalizzazione media”, che attacca il quotidiano palestinese al-Quds per l’intervista al ministro della difesa israeliano Avigdor Lieberman

Alla base delle performance dell’Autorità Palestinese al teatro dell’assurdo dell’Unesco vi è un altro aspetto, più profondo, relativo a come la dirigenza palestinese si pone veramente circa le relazioni con Israele: il suo risoluto impegno a recidere alla nascita qualunque germoglio di convivenza tra i due popoli.

Si consideri ad esempio l’arresto operato dall’Autorità Palestinese di quattro palestinesi colpevoli d’aver fatto una visita di cortesia a un insediamento israeliano durante la festa di Sukkot. I quattro avevano accolto l’invito avanzato da Oded Revivi, sindaco di Efrat (nella zona di Gush Etzion), secondo la tradizione degli ebrei di invitare i propri vicini ad unirsi a loro nella capanna (sukka) durante i giorni della festa. Per questo sono stati arrestati dalle forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese e trattenuti per quattro giorni, fino a quando il clamore pubblico suscitato dalla vicenda ha ottenuto il loro rilascio. Secondo un funzionario dell’Autorità Palestinese, erano stato arrestati perché “ogni cooperazione fra palestinesi e israeliani nei territori è considerata un reato di collaborazione con il nemico”. Una visita di cortesia a un vicino di casa in un’occasione festosa costituisce una violazione della legge palestinese. Revivi è stato il primo a fare appello all’Autorità Palestinese per la scarcerazione dei suoi ospiti. “E’ assurdo che prendere un caffè con gli ebrei sia considerato un crimine da parte dell’Autorità Palestinese – ha detto Revivi ai giornalisti – Le iniziative che mirano a promuovere pace e cooperazione dovrebbero essere incoraggiate, non censurate. E’ tempo che l’Autorità Palestinese si domandi se preferisce soffiare sul fuoco del conflitto, anziché operare per l’incontro fra i popoli”. Non disposto a lasciar cadere l’incidente, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha colto l’occasione per scagliarsi contro quei gruppi per i diritti umani che attaccano spesso e volentieri Israele al Consiglio Onu per i diritti umani, ma non hanno trovato il tempo per dire una parole a difesa dei palestinesi incarcerati per buon vicinato. “Dov’è lo sdegno delle organizzazioni per i diritti umani? – ha scritto Netanyahu su Facebook – Non c’è. Stanno vergognosamente zitte. Esorto la comunità internazionale ad adoperarsi per la liberazione di questi palestinesi innocenti, la cui prigionia è una prova ulteriore del rifiuto palestinese di fare la pace”.

Il sindaco di Efrat, Oded Revivi (al centro), fotografato nella sua “sukka” con ospiti israeliani e palestinesi

Un’altra prova del rifiuto di fare la pace, almeno da parte della dirigenza palestinese, è il trattamento riservato a un’intervista del ministro della difesa israeliano Avigdor Liberman pubblicata dal popolare quotidiano palestinese al-Quds. Quel fasullo difensore della libertà di stampa nell’Autorità Palestinese che è il Sindacato dei giornalisti palestinesi ha attaccato l’intervista dicendo che costituisce una “evidente violazione” del boicottaggio anti-israeliano. Quello che Liberman aveva da dire non importa nulla a coloro che vogliono negare ai lettori palestinesi la possibilità di leggere la prima intervista fatta da un giornale palestinese a un rappresentante israeliano di tale livello. Lieberman ha espresso il suo sostegno alla soluzione “a due stati” e ha accusato il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) di non saper prendere le decisioni difficili che potrebbero portare alla pace. Liberman ha anche offerto di promuovere la riabilitazione economica della striscia di Gaza a patto che Hamas la smetta di lanciare razzi sui civili israeliani e di scavare tunnel per infiltrare terroristi in Israele. Evidentemente era pericoloso che i palestinesi leggessero queste sue posizioni. È lodevole che i giornalisti di al-Quds abbiano resistito alle pressioni dell’Autorità Palestinese per non pubblicare l’intervista. Da parte sua, il Sindacato dei giornalisti palestinesi ha condannato l’intervista in quanto “normalizzazione” con Israele e ha accusato Liberman di “sfruttare i mass-media nazionali palestinesi come piattaforma per lanciare minacce e avvertimenti al popolo palestinese”. Il Sindacato è sceso ancora più basso insinuando che i giornalisti di al-Quds si siano venduti. “E’ nostro diritto chiederci – ha affermato il Sindacato – se non sia stato garantito qualche vantaggio personale a chi ha coordinato e realizzato un’intervista così distante dalla storia professionale e nazionale di questo giornale”. Secondo Israel Radio, l’anonimo intervistatore palestinese è un giornalista veterano che ha già intervistato Yitzhak Rabin e Shimon Peres. Il vice direttore di al-Quds, Amjad al-Ormi, ha detto alla radio israeliana in lingua araba A-Shams che “coloro che hanno criticato l’intervista proprio non capiscono come funziona il giornalismo. La fondamentale importanza del giornalismo sta, in generale, nel tenere d’occhio le autorità esecutive e legislative in ogni società. La missione dei mass-media è quella di informare lettori e spettatori sulla realtà della situazione lasciando a loro il compito di giudicare; ed anche, da un altro punto di vista, quella di mettere la vera realtà sul tavolo dei decisori politici”.

Nonostante i coraggiosi sforzi di al-Quds, la vera realtà continua a sfuggire alla dirigenza palestinese. La realtà è una strada a doppio senso. Se i telespettatori israeliani si sono da tempo abituati alle interviste con Abu Mazen, sicuramente il pubblico palestinese merita di poter ascoltare le posizioni di Liberman.

(Da: Jerusalem Post, 26.10.16)