La cultura della violenza

Lidea di rabbonire lislam violento 'dandogli in pasto Israele' è sbagliata e pericolosa

Da un articolo di Evelyn Gordon

image_1481Praticamente non passa giorno, ultimamente, senza che qualche personaggio famoso dichiari che la soluzione del conflitto israelo-palestinese costituisce la chiave per risolvere tutti i problemi con il mondo islamico: da Kofi Annan (“Finché i palestinesi vivono sotto occupazione le passioni continueranno ad accendersi dovunque”), a Henry Kissinger (“il riavvio di un processo di pace palestinese giocherebbe un ruolo significativo nella soluzione della crisi nucleare iraniana”), a Tony Blair (“una composizione israelo-palestinese è il cuore di ogni sforzo per risolvere altri problemi mediorientali e sconfiggere l’estremismo globale”).
È sorprendente come tante persone intelligenti facciano propria una così evidente falsità. Credono davvero che musulmani sunniti e musulmani sciiti – che, per inciso, considerano Israele nello stesso identico modo – si stiano massacrando a vicenda in Iraq a causa del conflitto israelo-palestinese? O che politici anti-siriani in Libano – che non sono meno anti-israeliani dei libanesi filo-siriani – vengano assassinati dalla Siria e minacciati di colpo di stato da Hezbollah a causa del conflitto israelo-palestinese? Che arabi mussulmani si stiano macchiando di genocidio contro musulmani neri in Sudan a causa del conflitto israelo-palestinese? Che, in Afghanistan, musulmani talebani si diano all’assassinio di musulmani non-talebani a causa del conflitto israelo-palestinese? Che musulmani ceceni abbiano preso in ostaggio bambini russi in una scuola di Beslan a causa del conflitto israelo-palestinese? Che musulmani e indù si uccidano a vicenda nel Kashmir a causa del conflitto israelo-palestinese? Che musulmani in giro per il mondo diano vita a proteste violente contro vignette satiriche danesi a causa del conflitto israelo-palestinese? E si potrebbe continuare per pagine e pagine.
Ma la teoria della centralità del conflitto israelo-palestinese non è solo falsa. È anche pericolosa, perché impedisce al mondo di affrontare la vera radice di tutti questi conflitti, compreso quello israelo-palestinese: che sta nella diffusa presenza, nel mondo islamico, di una cultura che considera la violenza e le minacce di usare la violenza come strumenti perfettamente legittimi per risolvere i contenziosi.
La crisi delle vignette costituisce un esempio particolarmente illuminante perché non è inquinato da alcun collegamento con qualche conflitto politico locale. Dopo che un giornale danese aveva pubblicato, l’anno scorso, delle vignette satiriche con la figura del profeta Maometto, folle di musulmani in tutto il mondo si sono scatenate per settimane in violentissime manifestazioni che hanno causato parecchi morti (oltre 50 tra Asia, Africa e Medio Oriente). Si confronti questa reazione con quella dei cattolici di fronte alla satira fatta in Italia contro il papa e la Chiesa. Due settimane fa, ad esempio, sulla televisione italiana è andata in onda una scenetta satirica che metteva in ridicolo papa Benedetto XVI descrivendolo come talmente geloso del suo predecessore da darsi a una serie di gesti assolutamente ridicoli, come ballare il tip-tap ecc., chiedendo: “Lo sapeva fare, questo, papa Wojtyla?”. Durante un altro recente sketch, un comico italiano si prendeva gioco del dogma cattolico della Santa Trinità descrivendola mentre discute su dove fare un viaggio: il Padre proponeva l’Africa, il Figlio la Palestina e lo Spirito Santo il Vaticano. Alla domanda: perché in Vaticano, lo Spirito Santo spiegava: “Perché non ci sono mai stato”.
Con tutta evidenza, per un cattolico devoto questi scherni non sono meno offensivi di quanto non fossero le vignette su Maometto per un devoto musulmano. Eppure non ci sono state spargimenti di sangue, né si sono sentiti leader religiosi cattolici incitare alla sommossa come avevano fatto invece tanti leader religiosi islamici in occasione delle vignette danesi. I cattolici si sono limitati a protestare a parole e per scritto, perché in una moderna cultura occidentale la violenza non è considerata una risposta accettabile di fronte a un’offesa.
Le reazioni dei religiosi alla satira hanno veramente un qualche nesso con conflitti politici come quello israelo-palestinese? Certamente, e per almeno due ragioni.
Primo, perché fino a quando il mondo islamico continuerà a considerare la violenza una reazione appropriata di fronte a qualunque torto subito o percepito, né il conflitto israelo-palestinese né alcun altro conflitto delle decine che coinvolgono dei musulmani in giro per il mondo sarà mai risolvibile. Proprio il conflitto israelo-palestinese illustra bene questo punto. I palestinesi avrebbero potuto ottenere uno stato nel luglio 2000 se Yasser Arafat avesse espresso “alla occidentale” la sua insoddisfazione per la proposta israeliana avanzata a Camp David: e cioè presentando una controproposta. Il governo di Ehud Barak era chiaramente disponibile a fare ulteriori concessioni, tanto è vero che poi le fece nei colloqui dell’inverno 2000-2001 sia a Washington che a Taba. Ma i palestinesi scelsero di esprimere la loro insoddisfazione in modo violento, lanciando una guerra terroristica che ha provocato la morte di più di mille israeliani (e circa 4.000 palestinesi) nell’arco dei sei anni successivi. Risultato: gli israeliani congedarono Barak e lanciarono la controffensiva militare, mentre i negoziati si bloccavano del tutto.
Lo stesso è accaduto l’anno scorso quando Israele ha lasciato la striscia di Gaza. Poco dopo, gli israeliani elessero Ehud Olmert sulla base di una piattaforma politica che prevedeva di fare altri ritiri in Cisgiordania. Ma i palestinesi, anziché cogliere questa apertura proclamando un vero cessate il fuoco e negoziando ulteriori concessioni, ancora una volta optarono per la violenza. Trasformarono le zone sgomberate della striscia di Gaza in postazioni di lancio per bombardare il sud di Israele con razzi e missili, e poi – per esser certi del risultato – mandarono al governo dell’Autorità Palestinese il movimento Hamas, che persegue apertamente la distruzione di Israele. Risultato: non solo i negoziati restarono bloccati, ma restò bloccato anche il ritiro dalla Cisgiordania proposto da Olmert.
Il secondo motivo per cui è cruciale affrontare la cultura delle violenza è che, quand’anche il conflitto israelo-palestinese venisse in qualche modo risolto, ciò non contribuirebbe affatto alla soluzione degli altri problemi sia all’interno del mondo islamico, sia tra mondo islamico e occidente: giacché il numero dei possibili torti subiti o percepiti è praticamente senza fine. Infatti vi possono rientrare diversità culturali (le vignette danesi), questioni economiche (i tumulti dello scorso anno in Franca), questioni di politica estera (Iraq, Afghanistan) e altro ancora.
L’idea dei Bair, dei Kissinger, dei Kofi Annan sembra essere che, se i musulmani avranno soddisfazione su Israele, allora ripudieranno la violenza su altre questioni. In realtà, la storia insegna che è vero esattamente il contrario: così come Hitler, lungi dall’essere appagato dalla cessione occidentale della Cecoslovacchia, ne concluse che poteva impadronirsi impunemente anche della Polonia scatenando così la seconda guerra mondiale, analogamente ogni concessione finora fatta alla violenza e al terrorismo di matrice islamica non ha fatto altro che convincere altri musulmani che la violenza paga.
Il ritiro di Israele da Gaza, che l’84% dei palestinesi vide come un successo del terrorismo, è stato uno dei fattori che ha favorito sia la vittoria elettorale di Hamas, principale organizzazione terroristica palestinese, sia il perdurante sostegno al terrorismo della maggioranza dei palestinesi. Il ritiro della Spagna dall’Iraq subito dopo gli attentati a Madrid incoraggiò al-Qaeda e soci a pianificare altri simili attentati in altri paesi. E musulmani un po’ in tutto il mondo attribuiscono al terrorismo iracheno l’atteso ritiro degli Stati Uniti dall’Iraq.
Se l’occidente vuole veramente risolvere i suoi problemi con il mondo islamico deve adottare l’approccio esattamente opposto: mettere in chiaro che la violenza, lungi dal venire premiata, verrà anzi penalizzata. Cercando di rabbonire il mondo islamico facendone pagare il prezzo a Israele non fa che dimostrare, al contrario, che la violenza è utile. Suscitandone sempre di più.

(Da: Jerusalem Post, 30.11.06)

Nella foto in alto: Esecuzione di un “collaborazionista” palestinese (foto d’archivio)