Decisione immorale della Corte penale internazionale

La Corte dell'Aia mette sullo stesso piano la difesa di Israele e gli attentati terroristici, e si arroga il diritto di giudicare un sicuro stato di diritto come Israele, che non ha nemmeno aderito allo Statuto di Roma, e persino di stabilirne i confini al posto dei negoziati

Editoriale del Jerusalem Post

Un manifestante pro-palestinese inneggia davanti alla sede della Corte penale internazionale dell’Aia

La Corte penale internazionale dell’Aia ha preso una pessima decisione quando ha deliberato di avere la giustificazione legale per aprire un’indagine su crimini di guerra a carico di Israele.

Con una sentenza a maggioranza pubblicata venerdì scorso, dopo un riesame di sei anni da parte del Procuratore capo, i giudici della Corte penale internazionale hanno deciso che “la giurisdizione territoriale della Corte sulla situazione in Palestina si estende ai territori occupati da Israele dal 1967, vale a dire Gaza e Cisgiordania, compresa Gerusalemme est”. Accordando a se stessa la giurisdizione sui territori la Corte, istituita in base allo Statuto di Roma del 2002, a cui sia Israele che gli Stati Uniti non hanno aderito, apre la strada a indagini su presunti crimini di guerra a carico di Israele e, in teoria, dei palestinesi. Tali “crimini” potrebbero includere passate operazioni militari israeliane come la guerra del 2014 contro gruppi terroristici nella striscia di Gaza e le attività edilizie negli insediamenti in Cisgiordania.

Come previsto, Israele e Stati Uniti hanno reagito con parole severe alla decisione della Corte. “Oggi – ha dichiarato venerdì il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu – la Corte penale internazionale ha dimostrato ancora una volta di essere un organismo politico e non un’istituzione giudiziaria. Un tribunale creato per prevenire orrori come la Shoà nazista contro il popolo ebraica sta ora attaccando selettivamente l’unico stato del popolo ebraico”. La Corte “lancia accuse deliranti contro l’unica democrazia in Medio Oriente”, ha sottolineato Netanyahu, mentre si rifiuta di “indagare sui veri crimini di guerra commessi quotidianamente da feroci dittature come Iran e Siria: questo è puro e semplice antisemitismo”.

Crimini di guerra: un lanciarazzi palestinese (nel cerchio rosso in basso) posizionato a ridosso di un edificio dell’Onu

Negli Stati Uniti, il portavoce del Dipartimento di stato Ned Price ha ribadito che l’amministrazione Biden è impegnata per la sicurezza di Israele e si oppone alla decisione della Corte penale internazionale. “Come abbiamo chiarito nel 2015, quando i palestinesi pretendevano di aderire allo Statuto di Roma – ha detto Price – riteniamo che i palestinesi non abbiano la qualifica di stato sovrano e quindi non siano qualificati per aderire come stato o partecipare in quanto stato a organizzazioni o enti internazionali, compresa la Corte penale internazionale. Gli Stati Uniti – ha continuato Price – hanno sempre assunto la posizione per cui la giurisdizione della Corte è riservata ai paesi che vi aderiscono o che vi sono deferiti dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”.

Ciò che rende risibile e immorale la decisione della Corte è che mette Israele sullo stesso piano di gruppi terroristici come Hamas e Jihad Islamica: gruppi che mirano intenzionalmente ed esplicitamente a colpire i civili con bombe e razzi. Israele agisce solo per difendersi. Dei civili restano uccisi in guerra, specialmente quando i terroristi ammassano armi e lanciano razzi dalle case e dai cortili delle scuole? Purtroppo sì. Ma quando ci si comporta come Israele, che avverte ripetutamente e in vari modi prima di attaccare, non c’è alcun crimine di guerra. La moderazione e l’autocontrollo che Israele ha mostrato negli anni di fronte agli attacchi di razzi contro i suoi civili – una moderazione che quasi nessun altro paese al mondo avrebbe dimostrato – merita di essere plaudita e portata ad esempio, non certo minacciata con una immorale imputazione di crimini di guerra.

Crimini di guerra: una madre israeliana, che non è riuscita a raggiungere in tempo il rifugio, fa scudo al figlio con il proprio corpo durante un attacco di razzi palestinesi da Gaza

E riguardo agli insediamenti, come ha già affermato tempo fa un editoriale di questo giornale, si può discutere finché si vuole l’opportunità o meno sul piano politico del fatto di vivere lì, e si può sostenere in modo più o meno argomentato che la pace con i palestinesi è per questo più difficile. Ma affermare che un ebreo che vive a Shiloh o Beit El (dove non esiste e non è mai esistito uno “stato palestinese” su cui la Corte possa dire di avere giurisdizione) commette per ciò stesso un crimine di guerra, è semplicemente ridicolo. Adolf Eichmann era un criminale di guerra. Saddam Hussein era un criminale di guerra. I responsabili dei genocidi in Cambogia, nel Ruanda, nel Darfour sono criminali di guerra. Ma il giudice della Corte Suprema israeliana David Mintz è un “criminale di guerra” perché abita a Dolev, in Samaria? Cerchiamo di essere seri.

Israele dovrà battersi contro questa decisione e adottare misure per proteggere i suoi soldati, ufficiali e membri del governo che possano finire nel mirino della Corte penale internazionale. Dovrà operare a stretto contatto con gli Stati Uniti e gli alleati in Europa per svergognare la Corte e dimostrare che la sua risibile sentenza non avrà la meglio. Israele dovrà ricorrere ad argomenti legali, sulla giurisdizione e sulla definizione di crimine di guerra. Ma i paesi di tutto il mondo dovranno tenere a mente che, di solito, ciò che inizia con Israele non si ferma a Israele. Andrà avanti.

(Da: Jerusalem Poist, 7.2.21)

Novembre 2017: l’allora senatrice Kamala Harris ricevuta dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu nel suo ufficio di Gerusalemme

L’anno scorso, l’attuale vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris ha sottoscritto una lettera in cui si definivano “pericolose” le intenzioni della Corte penale internazionale nei confronti di Israele affermando che “gli Stati Uniti dovrebbero schierarsi con tutte le forze” contro di esse. La lettera bi-partisan, che Harris firmò lo scorso maggio da senatrice, esortava l’allora segretario di stato Mike Pompeo a “schierarsi con tutte le forze contro qualsiasi indagine faziosa su Israele” da parte della Corte dell’Aia. La lettera, promossa dai senatori Ben Cardin, democratico, e Rob Portman, repubblicano, e firmata da altri 70 senatori tra cui Kamala Harris, giungeva sei mesi dopo che il Procuratore capo della Corte penale internazionale, Fatou Bensouda, aveva annunciato che riteneva vi fosse “una base ragionevole per procedere con un’indagine” su crimini di guerra israeliani e palestinesi. “L’annuncio costituisce una pericolosa politicizzazione della Corte e distorce gli scopi per i quali è stata istituita” scrivevano i senatori, sottolineando che quello dell’Aia dovrebbe essere un tribunale di ultima istanza per perseguire gravi crimini internazionali. “Gli atti attualmente in corso da parte della Corte penale internazionale – si leggeva nella lettera – potrebbero portare al perseguimento di cittadini israeliani nonostante il fatto che la Corte non goda di legittima giurisdizione sul caso. Sia l’amministrazione democratica che quella repubblicana si sono rifiutate di aderire alla Corte penale internazionale in parte perché temevano appunto la sua politicizzazione e un suo uso improprio”. I senatori sottolineavano che la “Palestina” non soddisfa i criteri di statualità e che Israele, come gli Stati Uniti, non ha aderito alla Corte, per cui le regole stesse della Corte “le vietano di perseguire casi in un paese dotato di un solido sistema giudiziario disposto e capace di perseguire i crimini di guerra” eventualmente commessi dai suoi cittadini, come è appunto Israele.

Inoltre, continuava la lettera, “accreditando le rivendicazioni territoriali palestinesi su Cisgiordania, Gerusalemme est e Gaza, il Procuratore esprime un giudizio politico che vizia in partenza qualsiasi successivo procedimento o processo”. Infatti, “stabilire i confini di un futuro stato palestinese costituisce una decisione politica che deve essere determinata attraverso negoziati tra Israele e palestinesi. Qualsiasi decisione della Corte penale internazionale riguardo alla sua giurisdizione su territori contesi o indagini su Israele ostacolerebbe ulteriormente il cammino verso la pace”.

Anche la ministra degli esteri australiana Marise Payne ha rilasciato sabato una dichiarazione in cui esprime “profonda preoccupazione” per la sentenza della Corte penale internazionale. “L’Australia non riconosce uno ‘stato di Palestina’ – ha detto Payne – e sottolinea che le questioni relative al territorio e ai confini possono essere risolte solo attraverso negoziati diretti tra Israele e palestinesi. Abbiamo chiarito nelle nostre osservazioni presentate alla Camera preliminare che quindi l’Australia non riconosce il diritto di alcun cosiddetto ‘stato di Palestina’ di aderire allo Statuto di Roma. La Corte non dovrebbe esercitare giurisdizione in questa materia”. Altri paesi che hanno espresso la propria contrarietà all’indagine della Corte dell’Aia intitolata “Situazione in Palestina” già prima della sentenza di venerdì scorso sono Germania, Repubblica Ceca, Ungheria, Australia, Austria, Brasile, Uganda e Canada.
(Da: Jerusalem Post. 7.2.21)

 

Erekat: “Nel comitato c’erano sei membri di Hamas”. Clicca la foto per il video Memri, (con sottotitoli in inglese)

David Milstein, già assistente speciale dell’ambasciatore Usa in Israele nonché consulente legislativo del Senato americano, ricorda su jns.org che “il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen, dopo l’adesione allo Statuto di Roma nel 2015, nominò un Alto Comitato di Supervisione Nazionale, composto da 45 membri e presieduto dall’allora Segretario generale del Comitato Esecutivo dell’Olp Saeb Erekat, incaricato di intraprendere un’azione legale contro Israele presso la Corte penale internazionale (grazie a finanziamenti dal Qatar ndr). Erekat disse a Palestine TV che il Comitato era composto ‘dallo spettro completo delle fazioni politiche palestinesi’ compresi Hamas, il Fronte Popolare (Fplp) e il Fronte Democratico (Fdlp), e che il ministro degli esteri dell’Autorità Palestinese Riyadh al-Maliki fungeva da ufficiale di collegamento con la Corte dell’Aia. In altre parole – osserva David Milstein – l’Autorità Palestinese ha collaborato con membri di organizzazioni designate come terroriste dal Dipartimento di Stato, e che mirano espressamente alla distruzione di Israele, al fine di fornire materiali contro Israele alla Corte penale internazionale”.
(Da: jns.org, 7.2.21)