La dottrina cristiana pro-sionista nelle parole di un papabile

Secondo il card. Schoenborn, i cristiani dovrebbero rallegrarsi del ritorno degli ebrei in Terra Santa.

image_639Un cardinale considerato un possibile candidato alla successione di Giovanni Paolo II ha lanciato mercoledì scorso un messaggio fortemente favorevole alla sovranità ebraica in Terra Santa, respingendo la tesi secondo cui i cristiani d’Europa appoggerebbero lo Stato di Israele a causa del senso di colpa dovuto alla Shoà, e sostenendo piuttosto che tutti i cristiani dovrebbero affermare il sionismo come un imperativo biblico per il popolo ebraico.
L’arcivescovo di Vienna, cardinale Christoph Schoenborn, in visita in Israele nel quadro di una delegazione austriaca, ha espresso questi concetti durante un discorso tenuto la sera di mercoledì scorso all’Università di Gerusalemme sul tema “La terra eletta di Dio”.
Dopo essersi chiesto “che cosa significa per noi Eretz Yisrael (la Terra d’Israele)?”, Schoenborn ha risposto sottolinenado l’importanza dottrinale per i cristiani non solo di riconoscere il legame fra gli ebrei e la terra, ma anche di garantire che l’identificazione cristiana con la Bibbia ebraica non conduca ad una “usurpazione” dell’unicità ebraica.
“Soltanto una volta, nella storia dell’umanità, Dio ha preso un paese in eredità e l’ha dato al popolo scelto da lui”, ha affermato Schoenborn, facendo notare come lo stesso papa Giovanni Paolo II abbia dichiarato che il comandamento biblico agli ebrei di vivere in Israele rappresenta un patto perenne, che rimane valido anche oggi. I cristiani, secondo Schoenborn, dovrebbero rallegrarsi del ritorno degli ebrei in Terra Santa come del compimento della profezia biblica.
Un sacerdote arabo a questo punto ha chiesto all’arcivescovo di Vienna come potrebbe predicare alla sua congregazione di cristiani palestinesi che la creazione del moderno stato ebraico non sia da considerare una “naqba” (catastrofe), come invece viene definita dai palestinesi, e come il frutto del senso di colpa delle potenze europee per la Shoà. Schoenborn ha risposto dicendo: “Anch’io sono un profugo” (al termine della seconda guerra mondiale, quando lui era ancora bambino, i gentili di Schoenborn dovettero fuggire dalla Cecoslovacchia in Austria) e ha detto di provare dolore per le misconosciute ingiustizie patite allora da migliaia di abitanti della Cecoslovacchia. Ma comunque, ha aggiunto, sia quel caso sia quello del conflitto arabo-israeliano sono questioni che riguardano il diritto internazionale, mentre l’elezione del popolo ebraico e il suo retaggio in Terra Santa sono questioni di fede che risalgono alle stesse Scritture.
Schoenborn ha anche detto di sperare che il conflitto mediorientale venga risolto in conformità al diritto internazionale e nel rispetto della giustizia per il popolo palestinese. “Tutti noi auspichiamo questa soluzione – ha concluso – Ma non sono ingenuo: i conflitti fanno parte dell’attaccamento di entrambe la parti a questa terra, e non esiste una soluzione semplice”.

(Da: Jerusalem Post, 2.04.05)

Nella foto in alto: l’arcivescovo di Vienna, card. Christoph Shoenborn, in visita allo Yad Vashem.