La forza dei gesti diplomatici (fatti al momento giusto)

La penetrazione dell'Iran in Siria e la sua crescente influenza in Libano generano nuovi pericoli, ma anche nuove opportunità

Editoriale del Jerusalem Posr

20 novembre 1977: il presidente egiziano Anwar Sadat (al centro) in preghiera nella moschea al-Aqsa, a Gerusalemme

I gesti diplomatici dimostrativi possono portare talvolta a un cambiamento del paradigma nei rapporti tra le nazioni. Nel 1972 la visita a Pechino del presidente degli Stati Uniti Richard Nixon pose fine a oltre due decenni di estraneità tra America e Repubblica popolare cinese. Nel 1985 il summit di Ginevra, promosso dal presidente Ronald Reagan con l’allora segretario generale dell’Unione Sovietica Mikhail Gorbaciov, contribuì in definitiva a creare un rapporto tra i due uomini che si rivelò decisivo per porre fine alla Guerra Fredda. E la visita a Gerusalemme nel novembre 1977, esattamente quarant’anni fa, del presidente egiziano Anwar Sadat è diventata la raffigurazione proverbiale della capacità di un singolo grande gesto diplomatico di porre fine a decenni di ostilità e guerra.

Ognuno di questi casi è un esempio di come un leader creativo e coraggioso possa elevarsi al di sopra dello status quo e imprimere un enorme cambiamento alla traiettoria della storia. Certo, i gesti dimostrativi da soli non bastano. Mao Zedong non avrebbe mai accettato di sedersi con Nixon se non fosse stato molto preoccupato dell’egemonia sovietica. E Gorbaciov avrebbe rifiutato di impegnarsi con gli Stati Uniti se il regime sovietico non fosse stato destabilizzato da un’economia in crisi e dagli imperativi della corsa agli armamenti. Allo stesso modo, la visita di Sadat a Gerusalemme avvenne solo dopo il fallimento dei ripetuti tentativi dell’Egitto di distruggere Israele sul campo di battaglia.

Anche oggi riteniamo che le circostanze in Medio Oriente stiano creando l’opportunità per un leader coraggioso di prendere l’iniziativa e fare un grande gesto diplomatico dimostrativo con lo scopo di modificare l’equilibrio geopolitico della regione.

Il presidente egiziano Anwar Sadat e il primo ministro israeliano Menachem Begin, quarant’anni fa insieme a Gerusalemme

Forse, come ha suggerito sabato scorso su Facebook il ministro della difesa israeliano Avigdor Liberman, potrebbe trattarsi della una visita di un capo di stato arabo sul modello di quella che fece Sadat a Gerusalemme. Una visita di questo tipo da parte, ad esempio, del principe ereditario dell’Arabia Saudita, Muhammad Bin Salman, segnerebbe una svolta nelle relazioni tra Israele e la coalizione di stati arabi sunniti schierati contro l’Iran. Una visita di così di alto profilo potrebbe favorire un cambiamento concettuale nel modo in cui il mondo arabo vede Israele. Il messaggio sarebbe che le differenze religiose e ideologiche possono essere messe da parte in nome del perseguimento di interessi che Israele condivide con un certo numero di nazioni sunnite nella regione. Sia Israele che l’Arabia Saudita hanno interesse a indebolire l’influenza di Hezbollah in Libano. Sauditi, egiziani, giordani e stati del Golfo sono tutti molto preoccupati per la crescente penetrazione dell’Iran nella regione, che si tratti di Siria, Iraq, Yemen o Libano. Non meno significativo sarebbe l’impatto di una simile visita sugli stessi israeliani, come già lo fu quarant’anni fa quella di Sadat, trionfalmente accolto dalla popolazione israeliana che pure solo quattro anni prima aveva dovuto difendersi a caro prezzo dall’attacco dell’Egitto nel giorno di Kippur. Una visita di quella caratura confuterebbe, o per lo meno metterebbe seriamente in discussione la diffusa percezione secondo cui Israele è isolato e senza opzioni né interlocutori. Il tono di una nuova percezione è stato anticipato dal capo di stato maggiore israeliano Gadi Eisenkot quando ha detto, in un’intervista della scorsa settimana al giornale saudita Elaph, che Israele “è disposto a scambiare esperienze e informazioni di intelligence con l’Arabia Saudita e altri paesi arabi moderati per fare fronte all’Iran, giacché sono parecchi gli interessi condivisi tra noi e l’Arabia Saudita”.

Un’altra opzione potrebbe essere un vertice come quello di Ginevra che veda Israele insieme a Egitto, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Kuwait. Si immagini se il summit in corso in queste ore al Cairo per discutere di Iran e Hezbollah includesse un rappresentante israeliano. Tutte le nazioni che partecipano a quel vertice sanno che senza il supporto di Israele sarà difficile, se non impossibile, presentare un fronte efficace contro l’Iran e Hezbollah.

Un’ulteriore possibilità potrebbe essere una visita di alto profilo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in un paese arabo. Come la visita di Nixon in Cina, una visita del capo del governo d’Israele potrebbe rappresentare un evento spartiacque in grado di cambiare radicalmente l’equilibrio geopolitico della regione. I successi dell’Iran in Siria e la sua crescente influenza in Libano hanno generato nuovi pericoli per Israele. Ma questi sviluppi hanno anche creato nuove opportunità, catapultando Israele nello stesso campo anti-iraniano insieme a sauditi e altri stati sunniti.

La visita di Sadat a Gerusalemme quarant’anni fa ci ha insegnato che, nelle giuste circostanze, un singolo gesto diplomatico può portare un radicale cambiamento di paradigma nelle relazioni internazionali. Il Medio Oriente attende un leader politico determinato, che abbia il coraggio e la creatività per approfittare della situazione odierna.

(Da: Jerusalem Post, 19.11.17)