La Francia, Sarkozy e Israele

Ora potrebbe cambiare quella tradizionale politica di Parigi che fece della Francia il paese occidentale più gradito ai dittatori arabi

M. Paganoni per NES n. 5, anno 19 - maggio 2007

image_1701Se la politica della Francia nei confronti di Israele conoscesse nel prossimo futuro un repentino cambiamento, in fondo non sarebbe la prima volta.
Negli anni ’50 i rapporti fra i due paesi fiorivano ad ogni livello, senza essere incrinati nemmeno dai rovesci della campagna di Suez del ‘56. Al ‘57 risale la collaborazione franco-israeliana per il reattore nucleare di Dimona. Nel ‘59 venne firmato un accordo culturale che fece del francese la terza lingua insegnata nelle scuole israeliane e favorì la creazione di cattedre di ebraico nelle università francesi. Erano gli anni in cui le forze aeree israeliane volavano sui Mirage.
Le cose cambiarono col ritorno al potere di Charles de Gaulle e la fine della guerra in Algeria nel 1962. Parigi avviò una politica di rapido riavvicinamento al mondo arabo e fatalmente chi ne fece le spese fu Israele. Nel ‘63 de Gaulle respingeva un’alleanza militare proposta da David Ben Gurion, ma il vero voltafaccia giunse alla viglia della guerra dei sei giorni. Mentre la crisi precipitava, de Gaulle chiariva al ministro degli esteri israeliano Abba Eban che Parigi non avrebbe appoggiato alcun tentativo internazionale di forzare il blocco navale imposto dall’Egitto. Per poi decretare, il 3 giugno, l’embargo su tutte le forniture militari alla regione. Era di fatto un embargo contro Israele, che dipendeva per tre quarti dalle armi e munizioni francesi: una decisione che molto probabilmente contribuì ad affrettare la scelta israeliana di prevenire l’attacco arabo.
La freddezza inaugurata in quei giorni era destinata a durare. Se Israele reagiva al blocco trafugando dal porto di Cherbourg nel dicembre 1969 cinque motosiluranti ordinate e già pagate, Parigi rispondeva annunciando pochi giorni dopo la vendita alla Libia di 110 Mirage. Durante la guerra dello Yom Kippur la Francia fu tra i paesi che negarono lo scalo agli aerei d’aiuti americani, e negli anni seguenti fu determinante nello spostare la Comunità Europea su posizioni filo-arabe e filo-Olp, fino alla famigerata dichiarazione di Venezia del 1980 che abbandonava al suo destino il presidente egiziano Anwar el Sadat, l’unico leader arabo che avesse avuto il coraggio di fare la pace con Israele.
Le speranze in un miglioramento suscitate dall’elezione nel 1981 di Francois Mitterand andarono in gran parte deluse. E nel 1995 l’ascesa di Jacques Chirac non fece che confermare quella che ormai era una consolidata tradizione: fare della Francia il paese occidentale più gradito a dittatori arabi come Yasser Arafat e Saddam Hussein, in aperta contrapposizione a quella che Parigi percepiva come un’insopportabile supremazia americana. “Una strategia – scrive Stephanie Levy (Jerusalem Post, 22.04.07) – che ha procurato alla Francia scarsi benefici e che sconta parecchie contraddizione interne. Ad esempio, la politica francese si atteggia a protettrice del Libano e nello stesso tempo rifiuta di considerare Hezbollah per quello che è, un’organizzazione terroristica che inficia pesantemente la sovranità libanese. E lo scorso gennaio Chirac ha dichiarato che un Iran dotato di bombe nucleari ‘non sarebbe poi tanto pericoloso’, ribaltando la precedente posizione ufficiale di Parigi”.
Non a caso due giornalisti di Liberation, Eric Aeschimann e Christophe Boltanski, hanno dato alle stampe un libro intitolato Chirac d’Arabia: i miraggi di una politica francese, in cui mettono in evidenza gli errori, in particolare sulla questione palestinese che Chirac vedeva praticamente solo attraverso gli occhiali di Arafat, e documentano i rapporti personali fra Chirac, allora primo ministro, e Saddam Hussein a metà degli anni ’70, quando il futuro presidente francese ricevette da Bagdad sostanziosi fondi per il suo partito in cambio dell’appoggio francese al programma nucleare iracheno. Era l’epoca in cui Chirac dichiarava: “Saddam sarà il de Gaulle del Medio Oriente”.
Entrambi i candidati alla sua successione si sono premurati di prendere le distanze dalla linea di Chirac su Siria, Iran, Israele e palestinesi, nella convinzione che quelle politiche non abbiano funzionato, ed anzi abbiano minato la posizione e gli interessi della Francia in Medio Oriente. Nicolas Sarkozy, in particolare, fa mostra di prediligere una più solida cooperazione con gli Stati Uniti rispetto alla generica alleanza con un mondo arabo sempre più problematico. Su Israele promette una politica più equilibrata, e nel marzo scorso ha dichiarato che è giunto il momento di dire “un certo numero di verità ai nostri amici arabi, come ad esempio che il diritto di Israele ad esistere e a vivere nella sicurezza non è negoziabile, e che il loro vero nemico è il terrorismo”. E si è dichiarato pronto a difendere “l’integrità del Libano”, disarmo di Hezbollah compreso. Ecco perché il suo ingresso all’Eliseo sembra aprire la strada, dopo quarant’anni, a un nuovo mutamento della politica francese verso Israele.
Certamente l’hanno pensato i cittadini francesi residenti in Israele, che hanno votato per Sarkozy al 90,7% (87% quelli residenti a Gerusalemme), contro il 53% che lo ha votato in Francia. Così come lo ha votato il 71,5% dei libanesi con cittadinanza francese, mentre quelli che vivono in Siria hanno votato al 69% per la sua avversaria Segolene Royal. Il presidente siriano Bashar Assad, fanno notare a Gerusalemme, si sente sicuramente sollevato per l’uscita di scena di Chirac, che era personalmente furibondo per l’assassinio dell’ex primo ministro libanese Rafik Hariri, suo amico e alleato. Ma certo Assad avrebbe preferito che prevalesse la Royal giacché Sarkozy, dicono gli osservatori, manterrà una linea dura verso Damasco, e in coordinamento con Washington.
“Non bisogna aspettarsi che la politica estera francese viri di 180 gradi – ha detto Binyamin Netanyahu, leader dell’opposizione israeliana e amico personale del nuovo presidente – Ma è chiaro che non vedremo più all’opera quel riflesso condizionato che portava Parigi a schierarsi automaticamente contro Israele, sempre colpevole fino a prova contraria”. Un atteggiamento poco razionale, che nel mondo di oggi nemmeno la Francia può più permettersi senza mettere a repentaglio i suoi interessi più vitali.
Maggiore cautela, seppure nell’ottimismo, viene espressa negli ambienti governativi. “Sarkozy è sicuramente un amico – dice un alto funzionario del governo israeliano (Jerusalem Post, 7.05.07) – Ma non è stato eletto sindaco di Gerusalemme: deve innanzitutto pensare a tutti i francesi, e ai molti interessi che la Francia ha un po’ in tutto il mondo arabo. Tuttavia un cambiamento vi sarà di sicuro, e i toni saranno sicuramente più caldi e amichevoli anche nei casi di disaccordo”.

Nella foto in alto: Jacques Chirac e Saddam Hussein ai tempi della collaborazione nucleare fra Francia e Iraq (1976)