La frustrazione che spinge al terrorismo è quella di non riuscire a distruggere Israele

Israele ha bisogno di un’iniziativa di pace, ma senza farsi illusioni: il terrorismo non è causato dalla mancanza di prospettive diplomatiche

Di Ben-Dror Yemini

Ben-Dror Yemini, autore di questo articolo

Ben-Dror Yemini, autore di questo articolo

Dobbiamo avere pazienza e ce la faremo, ha detto il ministro della difesa israeliano Moshe Ya’alon. Ha ragione. Eravamo in una situazione molto più frustrante durante la seconda intifada. Che fu molto più violenta. E le circostanze erano diverse. Iniziò quando al governo c’erano Barak-Peres-Sarid-Ben-Ami: il governo più “colomba” di tutta la storia d’Israele, il governo che accettò per la prima volta, il concetto di uno stato palestinese pienamente indipendente e di una Gerusalemme divisa. Ma non servì a niente. La violenza scoppiò con tutta la sua forza.

Israele tentò di tutto. Impresso un cambiamento storico ai compromessi accettati. Ma più spingeva avanti le concessioni, più gravi diventavano gli attentati. Dopo che Yasser Arafat respinse il piano di Bill Clinton, Israele venne trascinato in un conflitto con la coscienza pulita. Fu molto dura. Si aveva paura a sedersi in un caffè o prendere un autobus. Furono anni difficili e frustranti. Ma Israele li ha superati. E ha battuto i terroristi.

“Non servì a niente il governo più colomba di tutta la storia d’Israele: la violenza scoppiò con tutta la sua forza”

Quello che è importante ricordare è che l’affermazione per cui il terrorismo è causato dalla disperazione non corrisponde alla realtà, tanto è vero che quella offerta di indipendenza e di speranza non servì a nulla. La risposta furono spaventosi attentati terroristici a raffica e raffiche di mitra sulle case di Gilo a Gerusalemme. Più tardi, anche il disimpegno non ha portato ad alcuna distensione. Certo che c’è disperazione da parte palestinese: è la disperazione che nasce dall’illusione, alimentata per decenni e continuamente frustrata, di poter sconfiggere e distruggere Israele. E’ una disperazione prodotta all’interno, non da Israele.

La forza da sola non risolverà il problema, ha detto il vice presidente Usa Joe Biden, che è stato in visita in Israele la scorsa settimana. Pure lui ha ragione. Anche se la più generosa delle iniziativa del primo ministro Benjamin Netanyahu non servirebbe a calmare le violenze, tuttavia Israele ha bisogno di una tale iniziativa. Probabilmente non porterebbe alla pace, ma rafforzerebbe il fronte giusto, ed è un fronte importante. Vi è un affascinante affinità tra i teppisti dell’ultradestra israeliana e i dirigenti di partiti arabi israeliani come Balad e Hadash. Entrambi fanno di tutto per rendere la propria parte, ebraica o araba, insopportabile agli occhi del grande pubblico, soprattutto alla parte del grande pubblico che appartiene all’altro campo. La presa di posizione di Balad e Hadash contro la decisione degli stati del Golfo di qualificare Hezbollah come un’organizzazione terroristica è stata accompagnata dalla impagabile giustificazione che, siccome Hezbollah è contro l’occupazione, quindi è meritevole di sostegno. E’ vero che Hezbollah è contro l’occupazione, ma non nel senso del controllo di Israele sulla Cisgiordania: è contro l’“occupazione” di Tel Aviv e Ramat Hasharon, cioè contro l’esistenza di Israele.

“E’ la disperazione che nasce dall’illusione, alimentata per decenni e continuamente frustrata, di poter distruggere Israele”. Sulla maglietta del palestinese, la consueta immagine della “Palestina” che copre tutto il paese: Israele è cancellato dalla carta geografica

“La disperazione nasce dall’illusione, alimentata per decenni e continuamente frustrata, di poter distruggere Israele”. Sulla maglietta del palestinese, la consueta immagine della “Palestina” che copre tutto il paese: Israele è cancellato dalla carta geografica

Hezbollah fa parte del governo libanese, ha detto il segretario generale del partito Hadash nel tentativo di giustificare la mossa. Ha ragione. Hezbollah è la forza più potente, in Libano. In pratica controlla il Libano. E Hezbollah, come tutti i precedenti governi libanesi, è responsabile della politica di vero e proprio apartheid praticata contro i palestinesi in Libano: un paese dove i palestinesi, secondo tutti i criteri umanitari, possono solo sognarsi le condizioni in cui vivono i palestinesi in Giudea e Samaria (Cisgiordania). In Libano, patiscono restrizioni in fatto di istruzione, sviluppo residenziale, in gran parte dei posti nel mercato del lavoro e altro ancora. Sono anche privi della cittadinanza. Un apartheid che, per qualche motivo, non ha mai generato grandi proteste in giro per il mondo, per non dire di “settimane contro l’apartheid” nei campus universitari. Eppure Balad e Hadash stanno dalla parte di Hezbollah.

C’è tuttavia una fondamentale differenza fra i parlamentari arabo-israeliani e i teppisti dell’ultradestra israeliana, ed è che i parlamentari arabo-israeliani sono i leader votati a maggioranza dalla comunità araba d’Israele, mentre l’ultradestra ebraica è ridotta ai margini e non riesce nemmeno a raggiungere la soglia minima elettorale. La realtà è che Balad e Hadash non sono affatto interessati alla riconciliazione. A loro interessa soltanto inasprire il conflitto. Non si battono per i palestinesi, si battono contro Israele. Gli elettori “liberal” che li hanno sostenuti nelle ultime elezioni farebbero bene a prenderne atto.

(Da: YnetNews, 03.12.16)