La grande distanza fra il volo 443 per il Cairo e il volo 971 per Abu Dhabi

Almeno quattro cruciali cambiamenti sono intervenuti nella regione mediorientale nei quarant'anni che separano i due storici voli

Di Oded Granot

Oded Granot, autore di questo articolo

Quasi 43 anni separano lo storico atterraggio al Cairo del volo EL AL 443 e il volo EL AL 971 del 31 agosto scorso per gli Emirati Arabi Uniti. Ovviamente c’è una grande differenza tra i due. Il primo volo per il Cairo segnava la fine di decenni di guerra, ostilità e spargimenti di sangue tra i due paesi confinanti, Israele ed Egitto. Il volo per Abu Dhabi mette semplicemente un timbro ufficiale a parecchi anni di cooperazione civile e di sicurezza ufficiosa e riservata tra due paesi, distanti fra loro più di 2.000 chilometri e che non si sono mai combattuti.

Tuttavia, indipendentemente da questo, entrambi i voli resteranno negli annali del conflitto arabo-israeliano come dei momenti di svolta, ed entrambi meritano d’essere definiti storici. Il confronto non toglie importanza al volo Israele-Emirati, ma aiuta a mettere a fuoco almeno quattro cruciali cambiamenti che sono intervenuti in questa regione negli ultimi 40 anni.

Il primo grande cambiamento, avvenuto solo due anni dopo lo storico volo da Israele al Cairo, è stata la rivoluzione islamista in Iran e l’avvento del regime degli ayatollah, votato a eliminare Israele dalla carta geografica e che si adopera per minare la stabilità regionale e dotarsi di armi nucleari.

Il secondo importante evento intercorso è stato, ovviamente, la cosiddetta “primavera araba”, che ha definitivamente decretato il tramonto dell’unità araba, ha destituito autocrati al potere da anni e ne ha indotto altri a concentrarsi sull’obiettivo di salvare il potere continuando a sostenere tiepidamente e solo a parole il mito della solidarietà araba.

Cartolina commemorativa del primo storico volo EL AL tra Tel Aviv e il Cairo del 13 dicembre 1977

Un terzo mutamento, in gran parte conseguenza dei primi due, è la marginalizzazione del conflitto israelo-palestinese: ora appare evidente che non è (non è mai stato) la “radice di tutti i mali” della regione, e che la sua risoluzione, quando arriverà, certo non risolverà magicamente tutti i problemi del Medio Oriente.

Il quarto sviluppo riguarda l’avvento di una nuova generazione di leader nel mondo arabo: più giovani, un po’ più aperti alla modernità, meno influenzati dai risentimenti del passato e che cercano di immaginare un futuro più luminoso. Il più importante di questi nuovi leader è Mohammed Bin Zayed, il 59enne principe ereditario degli Emirati Arabi Uniti che ha compreso e fatto tesoro di tutti i benefici emersi nella regione grazie al trattato di pace con l’Egitto, e ha infranto il “soffitto di vetro” nei rapporti con Israele.

Tutti gli occhi sono ora puntati su un leader ancora più giovane, il principe ereditario saudita Mohammad Bin Salman, anche se bisogna riconoscere che il suo percorso verso la pace con Israele è più difficile. Non solo perché l’Arabia Saudita, una potenza regionale, non può fare la figura d’essere “al traino” di un minuscolo stato del Golfo, ma principalmente perché normalizzare i rapporti con Israele significa mettere da parte l’iniziativa di pace araba lanciata dall’Arabia Saudita 18 anni fa, che condizionava la pace con Israele al ritiro israeliano su linee predeterminate anziché negoziate e, soprattutto, apriva la strada al cosiddetto “ritorno” dei profughi palestinesi (l’illimitato “diritto” dei profughi e di milioni di loro discendenti di stabilirsi all’interno di Israele ndr). Forse per un passo così grande dovrà aspettare il decesso di suo padre, re Salman. Fino a quel momento, possiamo almeno trarre conforto dal fatto che l’Arabia Saudita, anche se non ha ancora aperto le porte alla pace con Israele, ha almeno aperto i cieli ai voli civili israeliani in rotta per gli Emirati Arabi Uniti.

(Da: Israel HaYom, 31.8.20)