La Jihad Islamica palestinese vuole la guerra

Quattro giorni fa Abu Mazen aveva chiesto ai gruppi terroristi a Damasco di tenere a freno gli attentati.

image_790Le autorità di sicurezza israeliane conoscevano piuttosto bene la cellula terroristica che ha realizzato l’attentato di martedì sera a Netanya e l’attentato fallito circa un’ora prima a Shavei Shomron, in Cisgiordania. La cellula veniva tenuta d’occhio da almeno cinque mesi, cioè dall’attentato al pub Stage sul lungomare di Tel Aviv: era stato seguito il suo iter di sviluppo, si sapeva chi la comandava e si sapeva che progettava altri attentati suicidi. Alcuni membri della cellula erano stati colti a Beit Hanina in possesso di cinture esplosive, altri avevano partecipato ad alcuni attacchi come la sparatoria a Baqa al-Sharqia.
In tempi “normali” una struttura come questa sarebbe stata polverizzata nel suo stadio iniziale, prima che riuscisse a dotarsi di tutte le sue potenzialità letali. Ma da lunghi mesi Israele si è auto-imposto dei limiti per via del periodo di relativa calma negli attacchi e nelle violenze. Solo poche settimane fa Israele ha dovuto interrompere il processo di “osservazione” delle cellule terroristiche ormai “mature”, per tornare all’intervento pieno e attivo contro la rinnovata struttura della Jihad Islamica. Ma ormai era stato perduto tempo prezioso. Se non si colpisce una cellula terroristica quando è ancora nella fase in cui sta approntato l’esplosivo e reclutando gli attentatori, si è destinati a pagare un caro prezzo in termini di preavviso troppo breve – se vi sarà preavviso – prima del prossimo attentato. È vero che è impossibile sventare tutti gli attentati. Ma le probabilità di riuscirci aumentano senz’altro quando gli apparati di sicurezza hanno un preavviso con maggiore anticipo. Il prezzo immediato pagato da Israele per un preavviso troppo breve è l’ondata di attentati culminata martedì nelle due esplosioni suicide, a cinquanta minuti l’una dall’altra, una nel cuore di Israele e l’altra in Cisgiordania.
Complessivamente il periodo di “calma” è stato molto instabile. Sul versante palestinese, lo schema è stato pieno di contraddizioni interne. I palestinesi hanno fatto mostra pubblicamente di impegnarsi a contenere i terroristi, ma hanno dimostrato totale incapacità nella guerra contro i gruppi ribelli. Quattro giorni fa il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) si è arreso e si è invitato a Damasco per incontrare i capi delle fazioni del rifiuto, guidate dalla Jihad Islamica. I siriani hanno organizzato un bel pranzo in suo onore e, per farsi beffe di lui, hanno invitato Abu Musa, da anni a capo della fazione ribelle di Fatah. Abu Mazen ha chiesto ai capi terroristi e ai siriani di tenere a freno le attività militari per aiutarlo a mantenere la calma. Gli attentati di martedì sono la risposta: gli hanno semplicemente sputato in faccia.
In effetti, molti degli attentati perpetrati in questi giorni in Cisgiordania sono opera della Jihad Islamica, un gruppo che ha preso la decisione strategica di far saltare il processo di disimpegno e tentare di trascinare Hamas nella mischia, nello sforzo di rilanciare il conflitto armato con Israele. Secondo fonti dell’intelligence israeliana, per la Jihad Islamica sarebbe arrivato il momento di mettere in atto una serie di attentati preparati in precedenza, allo scopo di produrre “colpi strategici” che facciano naufragare qualunque accordo. Intanto Abu Mazen, praticamente mandato a quel paese, ha troppa paura per indicare la Jihad Islamica come il gruppo che sta dietro agli attentati. Anche dopo l’attacco al pub Stage di Tel Aviv, Abu Mazen aveva preferito denunciare un terza parte non meglio identificata. La sua posizione è sempre più debole.
Sul versante israeliano, il periodo di “calma” implica la disponibilità ad assumersi dei rischi per permettere un movimento che culmini in un ritiro che non sia attuato sotto il fuoco nemico. Il risvolto sul piano pratico di questi rischi da correre è la rimozione di posti di blocco, una diminuzione del numero di arresti e varie altre concessioni. Martedì il ministro della difesa Shaul Mofaz ha chiesto di preparare un piano complessivo per lo sradicamento delle strutture della Jihad Islamica in Cisgiordania. La consegna di altre città palestinesi al controllo dell’Autorità Palestinese è stata rallentata e, per il momento, non vi saranno incontri con rappresentanti palestinesi per coordinare il ritiro, mentre è stata ripristinata la chiusura dei passaggi fra territori e Israele. E’ forse finito il tempo dell’assunzione di rischi?

(Da: Alex Fishman su YnetNews, 13.07.05)

Nella foto in alto: Ai funerali di Rachel Ben Abu e Nofar Horvitz, entrambe sedicenni, uccise nell’attentato palestinese di martedì a Netanya.