La legge di Falk

Il diritto internazionale viene usato come un manganello contro Israele da paesi che ne fanno scempio

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2228Come ci è stato ricordato di recente, la giurisprudenza internazionale dei diritti umani, come viene esercitata dalle Nazioni Unite, talvolta funziona. L’ex leader serbo-bosniaco Radovan Karadzic, accusato di crimini di guerra tra cui il peggior massacro in Europa dopo la seconda guerra mondiale, è stato arrestato e comparirà di fronte alla giustizia al tribunale ONU sui crimini di guerra all’Aja.
In altri momenti, tuttavia, soffocato dall’inazione e dalla mancanza di applicazione, il diritto internazionale – il sistema di sicurezza collettiva, organizzazioni internazionali e trattati come le convenzioni di Ginevra costituiti dopo la seconda guerra mondiale – sembra sempre più impotente. Non è riuscito a impedire i genocidi in Rwanda e Darfur più di quanto non riesca ora punire le esortazioni al genocidio sanzionate dallo stato che ascoltiamo dal presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. Nonostante tutta la sua pomposa retorica, l’impotenza dell’ordine legale internazionale a fronte del terrorismo e alla cattura di ostaggi, sostenuti dallo stato, è sempre più facile da vedere.
Ma, in altri casi ancora, il diritto internazionale riesce addirittura a danneggiare la propria credibilità stessa e la causa stessa a cui cerca di votarsi. Come ci è stato ricordato di recente, le cose continuano in questo modo in particolare con riferimento al modo di trattare Israele.
Organizzazioni Non Governative come Human Rights Watch e Amnesty International dipingono regolarmente Israele come un costante violatore dei diritti umani. L’Assemblea generale dell’ONU approva ogni anno più risoluzioni contro Israele che contro tutti gli altri paesi messi insieme. Il Consiglio Onu per i diritti umani, da quando è stato istituito nel 2006 per sostituire un predecessore ancora più screditato chiamato Commissione per i diritti umani, si è dedicato quasi solamente ad attaccare Israele. Delle 20 risoluzioni su stati specifici approvate per censurare violazioni di diritti umani, 19 erano di condanna di Israele.
Non del tutto insensibile a questo assurdo stato di cose, lo stesso Consiglio dei diritti umani ha recentemente proposto una riforma. Il presidente uscente, l’ambasciatore rumeno Doru Costea, ha suggerito di modificare la definizione del mandato del cosiddetto Special Rapporteur on the Occupied Palestinian Territories, permettendogli di indagare anche violazioni da parte palestinese per renderlo meno esplicitamente prevenuto contro Israele. L’idea è stata perfino appoggiata dal nuovo rapporteur, Richard Falk.
Sfortunatamente i cambiamenti proposti non fanno presagire un trattamento di Israele più normale, per ragioni che hanno molto a che vedere con Falk stesso. Falk incarna il nuovo regime del diritto internazionale. Professore emerito di diritto internazionale a Princeton, è stato avvocato in cause dibattute davanti alla Corte internazionale di giustizia, e ha occupato diverse posizioni giuridiche all’ONU. Si è adoperato a favore di sanzioni economiche contro Israele sottoforma di campagne per il disinvestimento; ha sostenuto che “Israele sta cercando di annullare l’esistenza del popolo palestinese”; e ha detto che la politica di Israele esprime vividamente “una deliberata intenzione da parte di Israele e dei suoi alleati di assoggettare un’intera comunità umana in condizioni di massima crudeltà e di pericolo per la vita stessa”.
Falk inoltre rifiuta la caratterizzazione di Hamas come organizzazione terroristica, e ha difeso il terrorismo palestinese come il “diritto di resistenza goduto da una popolazione occupata quando il potere occupante ignora il diritto internazionale e rifiuta di ritirarsi”.
Niente di nuovo, naturalmente. Israele si è ormai abituato a mettere in conto i due pesi e due misure, dalla condanna ONU della sua incursione sul reattore nucleare iracheno (1981) alla delibera della Corte internazionale di giustizia del 2004 secondo cui “la costruzione del muro [barriera antiterrorismo] fatta da Israele, potenza occupante, nel territorio della Palestina occupata, anche dentro e intorno Gerusalemme est, e il regime ad esso associato, sono contrari al diritto internazionale”.
Ma è un errore fingere indifferenza: farlo non fa che permettere ai nostri nemici, assolutamente tetragoni a quanto il diritto internazionale prescrive, di brandire il diritto internazionale come un manganello con cui colpire Israele.
Nel discutere se un singolo codice giuridico possa governare le relazioni tra tutti i paesi, John Stuart Mill (1806-1873) scrisse: “Supporre che gli stessi costumi internazionali e le stesse regole di moralità internazionale possano valere tra una nazione civilizzata e l’altra, e tra nazioni civilizzate e barbariche, è un grave errore”.
Ciò nondimeno Israele non può permettersi di ignorare uomini come Falk, né di cedere un’arma così potente a regimi barbarici, né di sottovalutare il significato del diritto internazionale nel forgiare l’opinione pubblica. Deve invece insistere che, se l’ONU e i suoi membri vogliono seriamente evitare un’ulteriore degrado del governo del diritto internazionale, e se il diritto internazionale vuole riguadagnare un po’ di autoritorevolezza, allora lo spudorato pregiudizio contro Israele deve finire.

(Da: Jerusalem Post, 23.07.08)

Nella foto in alto: Richard A. Falk