«La lotta nazionale non giustifica il terrorismo, il terrorismo non giustifica la vendetta, la vendetta non giustifica i saccheggi»

Il presidente uscente e il presidente neo-eletto si rivolgono a tutti i cittadini d’Israele, ebrei e arabi

Di Shimon Peres e Reuven Rivlin

Il presidente israeliano uscente Shimon Peres e il presidente neo-eletto Reuven Rivlin

Il presidente israeliano uscente Shimon Peres e il presidente neo-eletto Reuven Rivlin

“Sia maledetto colui che invoca: vendetta”, ha scritto il poeta Hayim Nachman Bialik. Sia maledetta la vendetta che manda in rovina e distrugge, che genera dolore in nome del dolore, che colpisce persone innocenti.

Una lotta nazionale non giustifica atti di terrorismo. Gli atti di terrorismo non giustificano la vendetta. La vendetta non giustifica le distruzioni, i saccheggi e le devastazioni. Anche di fronte alla rabbia e alla frustrazione, alla violenza e al dolore, le cose si possono fare in un altro modo. Le cose devono essere fatte in un altro modo.

Davanti alle grida, ora ridotte al silenzio, di Shelly, di Naftali, di Gilad, di Eyal e di Mohammed – dei nostri figli – nessuno può tacere. Hanno gridato e noi grideremo per loro.

Nello stato di Israele non c’è differenza tra sangue e sangue. Lo stato democratico di Israele santifica il diritto morale alla vita e il pari diritto di ogni persona ad essere diversa. L’assassinio di una ragazza o di un ragazzo, ebreo o arabo, è un atto intollerabile.

Le tracce degli assassini non saranno occultate, non vi sarà nessuna copertura né omissione, nulla verrà spazzato sotto il tappeto. I criminali che uccidono e mietono vite umane saranno catturati e puniti con il massimo rigore della legge.

La scelta spetta a noi: cedere alla distruttiva visione del mondo che razzisti ed estremisti ci mettono davanti, o combatterla fino ad eliminarla completamente; cedere al terrorismo feroce e primitivo, non importa se musulmano o ebraico, o porvi fine con ogni mezzo possibile.

Abbiamo il diritto di discutere. Abbiamo persino il dovere di discutere. Noi, tutti noi, abbiamo a disposizione ogni strumento per esprimere il nostro dolore, la nostra opinione e la nostra visione del mondo. Ma l’istigazione all’odio, no. Le accuse collettive non sono mai una risposta.

È nostro dovere fermare il corso dell’istigazione. Dobbiamo capire che non abbiamo altra strada che vivere insieme. Lo spargimento di sangue si fermerà solo quando tutti ci renderemo conto che non siamo condannati, ma destinati a vivere insieme. Qualsiasi esitazione o compromesso su questo tema porterà a un deterioramento che potrebbe essere disastroso non solo per la nostra vita insieme, ma per la nostra vita in se stessa.

La storia del nostro popolo ci ha insegnato che le parole possono uccidere. Oggi ci rivolgiamo a tutti i cittadini del nostro paese: rispettiamo la legge e misuriamo le parole. In questo momento non dobbiamo farci trascinare nell’istigazione, che ci porterebbe su una china di odio e ostilità e che non è il nostro cammino.

Noi vogliamo vivere in pace tra di noi, e consentire ai nostri vicini di vivere in pace. Dobbiamo essere una nazione unita nella moderazione e nel modo di essere. Questi giorni del mese di Ramadan e di vigilia delle tre settimane di Bein Hametzarim, devono essere giorni di tolleranza e di costruzione, non giorni di distruzione. Chiediamo a tutti noi, sia arabi che ebrei, di fermarsi.

Questo è il momento di scegliere il cammino congiunto. Questo è il momento di trovare ciò che ci unisce, e non ciò che ci divide. Questo è il momento di avere fiducia nella nostra capacità di vivere insieme, qui, su questa terra.

Non abbiamo un’altra scelta, non abbiamo un’altra terra. È in questo momento che dobbiamo impedire un nuovo spargimento di sangue. Dipende da noi.

(Da: YnetNews, 7.7.14)