La lotta verde contro il terrorismo

Accanto alla guerra tradizionale, Israele potrebbe indicare la strada della guerra ai petrodollari

Da un articolo di Pe'er Visner, partito verdi israeliani

image_1561C’è qualcosa che non è stato ancora scritto o detto sul terrorismo e sul modo migliore per combatterlo? Ciò che hanno in comune la maggior parte delle idee e degli sforzi per contrastare il terrorismo, sia locale che globale, è che tutti si occupano del prodotto e non delle sue origini: come uccidere le zanzare anziché bonificare la palude.
È necessario impegnarsi in una guerra a tutto campo contro i terroristi dovunque e in ogni momento. Ma nello stesso tempo, nell’era dell’economia e del terrorismo globali, bisogna intraprendere un vero sforzo globale per cercare di prosciugare le fonti che lo alimentano. E una di queste fonti si chiama petrodollari.
Lo sforzo investito dall’amministrazione Bush dopo l’offensiva terroristica dell’11 settembre per diffondere l’idea democratica come modalità principale per combattere il terrorismo è lodevole: non tanto per i suoi successi, quanto piuttosto per il tentativo che esprime di andare alle radici del problema.
Non è ancora chiaro come finirà la guerra in Iraq, ma quello che è chiaro è che c’è anche un’altra modalità. Esiste una via di mezzo fra la guerra fondamentale per diffondere i valori della democrazia, che prenderà molto tempo anche se avrà successo, e la lotta di Sisifo quotidiana, tradizionale contro ogni singola cellula terroristica in giro per il mondo. La via di mezzo è quella “verde”: sviluppare alternative al petrolio.
Ridurre al minimo la dipendenza del modo occidentale dal petrolio ridurrebbe al minimo le immense risorse che vengono passate alle organizzazioni terroristiche da alcuni regimi islamici. Ciò limiterebbe in modo significativo il loro potenziale distruttivo. Al di là della vernice ideologica smerciata dai predicatori della jihad, il terrorista stesso viene spesso gestito con incentivi economici e la sua capacità di causare danni è proporzionale, fra l’altro, alle risorse materiali messe a sua disposizione.
La proposta non ha nulla di ingenuo né di illusorio. Oltre alla Svezia, lo stesso George W. Bush in un precedente discorso alla nazione ha già dichiarato la sua intenzione di affrancare l’economia dalla distruttiva dipendenza dal petrolio a vantaggio di fonti energetiche alternative.
Ad Israele, paese che ha duramente subito il terrorismo, spetta un posto di primo piano in questa battaglia anche per altri motivi. In primo luogo, stiamo parlando di un piccolo paese soleggiato, vale a dire con una fonte di energia verde undici mesi all’anno. In secondo luogo, Israele è una delle nazioni più avanzate al mondo nella ricerca e sviluppo in generale, e in quella delle energie alternative in particolare. In terzo luogo, a differenza degli Stati Uniti, in Israele non esiste una potente corporazione del petrolio eventualmente interessata ad ostacolare lo sviluppo di energie alternative per timore di perdere la propria fonte di profitto.
Grazie a tutto questo, Israele può e deve mettersi alla testa di questo trend globale, destinato senz’altro ad aumentare, diventando anche un modello per molti altri. (…)
Anche se a volte può apparire ingenua, l’agenda verde ha una forza immensa. Formulata fra i primi da David Ben Gurion, essa servirebbe anche a ricollegare Israele a uno dei suoi obiettivi originari: essere un esempio per le altre nazioni.

(Da: YnetNews, 20.01.07)