La mano vinta da Hamas

Laccordo di unità nazionale firmato alla Mecca è quello che volevano Mashaal e Haniyeh

Da un articolo di Ronny Shaked

image_1583L’accordo per un governo di unità nazionale siglato alla Mecca giovedì scorso costituisce una netta vittoria per Hamas. Khaled Mashaal e Ismail Haniyeh non potevano sperare in un risultato migliore. Anche tra le pressioni esercitate dal re saudita, Hamas non ha barcollato ed è emersa più forte sulla scena interna palestinese e molto più forte agli occhi del mondo arabo e della comunità internazionale.
Hamas non ha rinunciato né al suo governo, né alla sua ideologia; non ha riconosciuto Israele né ha rinunciato al terrorismo, né ha accettato di aderire agli accordi già raggiunti in passato con Israele. In cambio di questa posizione inflessibile ha ottenuto il governo di unità nazionale cui puntava con tanta determinazione.
Hamas vuole un governo di unità nazionale allo scopo di aprire la strada al superamento dell’assedio economico e politico imposto ai palestinesi dalla comunità internazionale, e per porre fine alle lotte interne. Hamas vuole l’ingresso di Fatah nel nuovo governo per non dover sopportare da sola la responsabilità dei fallimenti economici, sociali e politici dell’Autorità Palestinese, e per guadagnare la legittimità necessaria per rimanere al potere e continuare a instillare i suoi principi fondamentalisti nella società palestinese.
Alla Mecca Hamas ha vinto la partita. L’accordo, insieme ai milioni di dollari del re saudita, aiuterà Hamas a riprendersi dalla crisi economica, a rafforzare la sua presa sul governo e a presentarsi alle prossime elezioni in posizione tale da poter vincere la presidenza oltre al voto per il Consiglio Legislativo.
E se il governo di unità nazionale dovesse crollare? Hamas non ha comunque nulla da perdere. Se la falsa partnership dovesse andare a pezzi – cosa che potrebbe accadere piuttosto rapidamente – la colpa ricadrà su Fatah e su Mahmoud Abbas (Abu Mazen) non solo all’interno dell’Autorità Palestinese, ma anche davanti all’intero mondo arabo.
La santità della Mecca e gli sforzi del re saudita non sono stati sufficienti a superare il divario fra il fondamentalismo di Hamas e il nazionalismo di Fatah. È stato Abu Mazen che alla fine si è piegato, quando ha accettato un governo di unità nazionale prima che ne venissero delineate le linee programmatiche. Il linguaggio del corpo di Abu Mazen, giovedì, testimoniava il suo disaccordo e la sua consapevolezza d’essere stato incastrato dai sauditi e da Hamas.
La prima questione, per quanto riguarda Israele, è se l’accordo accelererà il ritorno a casa di Gilad Shalit. Abu Mazen aveva posto come condizione il suo rilascio, ma a quanto pare, almeno finché non verrà creato il governo di unità nazionale, Hamas continuerà a usare Gilad Shalit come carta di scambio nella battaglia contro Fatah.
Se la comunità internazionale riconoscerà il nuovo governo – cosa altamente probabile, viste le crepe nella posizione del Quartetto – Israele potrà trovarsi isolato di fronte alla pretesa che apra negoziati con il governo guidato da Hamas.
In queste condizioni bisogna attendersi espressioni di giubilo nelle strade palestinesi e una sospensione degli scontri interni. Ma non bisogna lasciarsi ingannare. Le differenze ideologiche restano profonde e ampie quanto prima, ed è solo questione di tempo perché gli scontri scoppino di nuovo. E non ci si faccia illusioni: anche un governo palestinese di unità nazionale non porterà alla fine del terrorismo e dei lanci di Qassam contro Israele.

(Da: YnetNews, 10.02.07)