La messinscena di Hamas

Israele non può permettersi che Hamas applichi il modello libanese, dove Hezbollah rappresenta la forza militare dominante senza assumersi responsabilità di governo

Di Eyal Zisser

Eyal Zisser, autore di questo articolo

Ci ha messo dieci anni, Hamas, per devastare la striscia di Gaza e dimostrare a tutti di non essere capace né degna di governarne gli abitanti. Dieci anni dopo che il gruppo terrorista islamista prese con la forza il controllo dell’enclave costiera, il suo governo è crollato e – cosa più importante – la situazione per la popolazione di Gaza è più disperata che mai: disoccupazione e povertà dilaganti, qualità della vita in forte calo, infrastrutture al collasso. In un solo campo si sono registrati progressi costanti: l’industria dello scavo di tunnel terroristici al confine con Israele continua a prosperare, e il gruppo continua ad ampliare il suo arsenale missilistico.

Dapprima Hamas ha cercato una soluzione volgendosi verso Teheran, che punta a riportare nel proprio carnet il gruppo islamista palestinese dopo diversi anni di rapporti interrotti. La rivoluzione delle cosiddette primavere arabe in Egitto e Siria aveva allontanato Hamas (sunnita) dall’Iran (sciita), portandola più vicino a Turchia e Qatar. Dal punto di vista di Hamas, però, questi paesi sunniti sono risultati una delusione, mentre la loro capacità di aiutare l’organizzazione era e rimane relativamente limitata. E’ solo dagli iraniani che Hamas può ricevere armi e soldi illimitati, anche se questo significa che deve modificare parecchio le proprie posizioni: ad esempio, rispetto ai gruppi ribelli sunniti in Siria, che Hamas ha sostenuto nel corso degli anni, ma ora deve abbandonare.

Il corteo di auto del primo ministro dell’Autorità Palestinese Rami Hamdallah entra lunedì nella striscia di Gaza, per la prima volta dal 2015, attraverso il valico di Erez fra Israele e Beit Hanoun (striscia di Gaza settentrionale)

Allo stesso tempo Hamas si sta anche adoperando per migliorare i suoi rapporti con l’Autorità Palestinese: più esattamente, sta cercando di trasformare l’Autorità Palestinese in uno scudo umano che le permetta di perpetuare il suo dominio su Gaza. E’ in quest’ottica che i capi di Hamas hanno dichiarato la fine del “governo di Hamas” su Gaza e la loro disponibilità a consegnare le chiavi dell’amministrazione di Gaza al governo di unità nazionale palestinese che siede a Ramallah.

Non è altro che una messinscena, naturalmente: Hamas non intende veramente abbandonare il proprio potere e, ad esempio, non permetterà all’apparato di sicurezza dell’Autorità Palestinese di schierarsi a Gaza. Quel che la fa comodo, piuttosto, è consentire all’Autorità Palestinese e al suo presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) di risolvere la crisi elettrica a Gaza e di provare a migliorarne la situazione economica, riservandosi al contempo l’ultima parola giacché intende rimanere comunque l’unica organizzazione pesantemente armata nella striscia.

In pratica Hamas sta cercando di imitare il modello libanese. In Libano, il governo mantiene i rapporti diplomatici con la comunità internazionale ed è responsabile del benessere della popolazione e del miglioramento dell’economia. Nel contempo Hezbollah costituisce la forza militare dominante, senza doversi assumere responsabilità di governo circa le sorti del paese. Si tratta di un assetto conveniente: il governo libanese garantisce la copertura a Hezbollah e intanto lo esonera da ogni concreta responsabilità rispetto alla popolazione libanese.

Terroristi di Hamas esibiscono le loro armi durante un raduno a Rafah (striscia di Gaza meridionale)

Abu Mazen ha motivo di rallegrarsi per un esito di questo genere, giacché significa che le pressioni economiche e le sanzioni che ha imposto su Hamas (senza tanti riguardi per le tribolazioni della popolazione civile di Gaza) hanno dato frutto, il suo obiettivo essendo quello di presentarsi sulla scena internazionale come il rappresentante di tutti i palestinesi. Anche l’Egitto può dirsi soddisfatto e continua a promuovere la riconciliazione palestinese nella speranza che tale sviluppo dia più poteri al suo protetto, Mohammed Dahlan, a Gaza e magari anche in Cisgiordania.

Senza dubbio, però, il principale vincitore è Hamas, che si sbarazzerà delle responsabilità di governo per l’economia e il benessere della popolazione, delle quali non le è mai importato nulla, in cambio di una copertura di sicurezza da parte dell’Autorità Palestinese e forse dell’Egitto. Nel frattempo continuerà a dominare la striscia di Gaza con il consueto pugno di ferro.

La manovra di Hamas è evidente, ma la sua decisione di seguire un percorso di riconciliazione contemporaneamente con Autorità Palestinese e Iran costituisce un problema per Israele. Durante la guerra anti-terrorismo dell’estate 2014, Israele permise a Hamas di rimanere al potere a Gaza nella convinzione che la combinazione di sconfitta militare e responsabilità di governo avrebbe funzionato come un fattore deterrente e limitante per  Hamas. Ed è stato così. Adesso, però, Hamas sta cercando di svincolarsi da queste restrizioni e di avere le mani libere, scaricando sull’Autorità Palestinese l’onere di governare. Israele non può permettersi che questo accada.

(Da: Israedl HaYom, 1.10.17)