La nuova politica americana in Medio Oriente non deve cambiare con la prossima amministrazione

Su alcune questioni cruciali di politica mediorientale e di sicurezza globale non dovrebbero mai esserci rivalse di parte a spese di tutti

Di David M. Weinberg

David M. Weinberg, autore di questo articolo

Sia che il presidente degli Stati Uniti Trump venga rieletto sia che venga sostituito da Joe Biden, molte delle nuove politiche varate in Medio Oriente dall’amministrazione Trump dovrebbero essere adottate dalla prossima amministrazione. Anche se vincerà Biden e i leader democratici si asterranno dal riconoscere a Trump il merito di una svolta, i successi della politica di Trump in Medio Oriente possono resistere alla prova del tempo per tutte le parti coinvolte. E non dovrebbero essere sconsideratamente gettati al vento per una pura rivalsa di partito.

Vi sono tre assi intrecciati fra loro della nuova politica mediorientale che non devono essere abbandonati. Il primo è l’avvio di una proficua dinamica regionale che vede diversi stati arabi spostarsi verso l’apertura di partnership con Israele su una vasta gamma di questioni. Ciò ha già portato a tre accordi di pace (tra Israele, Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Sudan). Qualsiasi amministrazione americana dovrebbe incoraggiare altri paesi arabi a seguire l’esempio. Per sostenere questo slancio è necessaria una diplomazia americana attiva a sostegno del disgelo arabo-israeliano con segnali provenienti dai più alti livelli di Washington e offerte concrete di aiuti statunitensi (sì, armi comprese). Richiede inoltre una continua, rigorosa determinazione americana nell’opporsi ai disegni egemonici dell’Iran nella regione: una fermezza che è elemento chiave del collante che unisce paesi arabi sunniti, Israele e Stati Uniti (su questo torno più avanti). È anche necessario resistere alla tentazione di dare priorità alla questione palestinese. L’America deve astenersi dall’enfatizzare le rimostranze palestinesi fino a farne la “questione centrale” degli affari del Medio Oriente, cosa che non è mai stata e certamente non è oggi.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu illustra le nuove opzioni di sorvolo del traffico civile da Israele grazie ai nuovi accordi con diversi paesi arabi

Il che ci porta al secondo asse della intelligente politica mediorientale degli ultimi quattro anni: trattare i palestinesi come adulti responsabili, senza continue concessioni riguardo al tipo di stato che potrebbero istituire. Il che significa aspettarsi che i governi palestinesi in Giudea, Samaria e Gaza cessino i pagamenti ai terroristi, disarmino le milizie terroristiche, pongano fine ai tentativi di bollare Israele come criminale di guerra nei tribunali internazionali, mettano fine all’insegnamento dell’antisemitismo genocida nelle loro scuole e nei mass-media e inizino a rispettare i diritti umani, le libertà religiose e la libertà di stampa. Sono principi basilari sui quali Washington non deve mettere la sordina. Significa anche collegare queste aspettative a un calendario, chiarendo ai palestinesi che il tempo non lavora per loro. L’America deve continuare a dire in tutta franchezza ai leader palestinesi che più a lungo rifiutano la pace con Israele, minore sarà l’indipendenza che potranno ottenere. Ciò potrebbe spingere i palestinesi, inshallah, verso la sostituzione dei loro capi massimalisti e intransigenti con uomini e donne che perseguano davvero pace e benessere per il proprio popolo in collaborazione con Israele. I palestinesi più giovani devono sapere che il movimento nazionale palestinese finirà emarginato nel mondo arabo e nelle capitali occidentali se non si presenterà al tavolo con una nuova leadership disposta al compromesso.

Per i diplomatici americani, ricominciare a scorrazzare su e giù per la regione senza imporre ai palestinesi verità così ineludibili sarebbe peggio che dannoso: sarebbe disastroso. Essere eccessivamente condiscendenti nei confronti dei palestinesi – un vecchio errore dei professionisti del processo di pace (per lo più democratici, ma anche alcuni repubblicani delle due presidenze Bush) – sarebbe totalmente inutile. E’ molto più costruttivo continuare a raffreddare le aspettative palestinesi. Nessuna amministrazione dovrebbe tornare a formule stantie e impraticabili basate sulle pretese massimaliste palestinesi e su un’attenzione minimalista alle vitali esigenze di sicurezza e alle legittime rivendicazioni storico-nazionali di Israele.

27 ottobre 2020: la ministra UAE per la sicurezza idrica e alimentare Mariam al-Muhairi (a sinistra) ed Erel Margalit, fondatore e presidente di Jerusalem Venture Partners, si incontrano presso la sede della Government Accelerators a Dubai

Pro memoria: negli ultimi 30 anni, gli Stati Uniti hanno fornito ai palestinesi più assistenza finanziaria e umanitaria che a qualsiasi altro paese al mondo. Ma è stato un ponte verso il nulla. I capi palestinesi hanno intascato con la corruzione gran parte di quei fondi e hanno costruito poche o nessuna infrastruttura per la sanità, lo sviluppo economica e l’istruzione (inclusa l’educazione alla pace) a vantaggio della popolazione che hanno governato. Allo stesso tempo, hanno ampliato le loro pretese da Israele e i loro attacchi contro gli Stati Uniti collaborando con le forze islamiste estremiste nella regione, a cominciare da Iran e Turchia.

Il terzo e forse più importante asse della politica statunitense negli ultimi quattro anni è stato il tentativo di fermare sul serio l’avanzata dell’Iran verso le armi nucleari e la sua politica aggressiva e bellicosa in tutta la regione. Non dovrebbe più esserci alcuna benevolenza americana per le menzogne iraniane, compresi i vaghi impegni dell’Iran nell’ambito dell’accordo del 2015 negoziato dal presidente Obama e dai paesi P5 + 1: un accordo che prendeva per buone la smentite iraniane circa un qualsiasi programma di armi nucleari di cui preoccuparsi. Due anni fa, Israele ha fornito la prova provata delle chiare dimensioni militari del programma nucleare iraniano. Il temerario raid del Mossad in un archivio atomico a Teheran ha portato alla luce decine di migliaia di documenti ufficiali iraniani che elencano le persone coinvolte nello sforzo militare nucleare; le collocazioni di siti segreti per lo sviluppo nucleare; organizzazioni di facciata istituite dall’Iran per procurarsi clandestinamente, all’interno del quadro dell’accordo, materiali e know-how nucleari; soggetti occidentali che hanno collaborato al traffico di componenti per lo sforzo militare nucleare; gli ampi sforzi impiegati nella corsa agli armamenti e altro ancora. Non ci si può aspettare che un’amministrazione democratica ammetta che il presidente Obama aveva torto sulle intenzioni dell’Iran. I professionisti della politica estera del partito democratico non riconosceranno mai di essere stati ingannati da Teheran. E poiché Trump si è disfatto con aria di sfida del “successo” della politica estera di Obama, il vice presidente di Obama (l’attuale candidato presidenziale democratico Joe Biden) cercherà di allettare l’Iran con un accordo rinnovato. Attirare l’Iran a nuovi colloqui revocando alcune sanzioni invece di aumentare la pressione sull’Iran attraverso ulteriori sanzioni è probabilmente la strada sbagliata.

Miliziani filo-iraniani in Siria, qui fotografati accanto a una bandiera Hezbollah, con indosso uniformi dell’esercito per sfuggire all’attenzione di Israele

Ciò nondimeno, una nuova amministrazione americana capirà sicuramente che l’Iran deve essere costretto a cedere su alcune questioni chiave. Che sono: 1) fine completa e senza scadenze del programma militare nucleare iraniano, compreso tutto l’arricchimento dell’uranio e la produzione di plutonio; 2) un regime di ispezioni internazionali veramente invasivo; 3) fine del programma iraniano per lo sviluppo di missili balistici; 4) ritirata dalle basi avanzate in Siria che l’Iran sta realizzando per sfidare Israele; 5) completa cessazione del finanziamento da parte dell’Iran delle capacità militari di Hamas e Hezbollah. Senza questo, un nuovo accordo con l’Iran sarà pericoloso e insostenibile. Inoltre mi auguro e mi aspetto che qualsiasi amministrazione continui a sostenere la “guerra segreta” d’Israele ai siti iraniani in Siria e alle installazioni nucleari in Iran.

Anche se vi saranno gradazioni diverse che naturalmente emergeranno nella politica mediorientale di una nuova amministrazione americana, sia repubblicana che democratica, i principi qui descritti dovrebbero sopravvivere alla transizione. Mi auguro che lo facciano, perché sono nel migliore interesse degli Stati Uniti oltre che in quello di Israele e del resto del mondo. In queste questioni cruciali di politica estera mediorientale e di sicurezza globale, non dovrebbero mai esserci rivalse di parte a spese di tutti.

(Da: Israel HaYom, 1.11.20)