La pace con Israele rende bene alla Giordania

Grazie alle Qualified Industrial Zones concordate con Israele e Stati Uniti, aumentano occupazione ed esportazioni: un esempio da proporre al resto del mondo arabo

image_2813Il direttore Rami Kurdi ha fatto un rapido discorso celebrativo ai suoi dipendenti quando è suonata la campana della fabbrica, annunciando il completamento della millesima tuta della giornata in tempo record. Per Kurdi e per gli impiegati della Century Standard Textile, una delle molte fabbriche che producono indumenti per marchi come Calvin Klein, Victoria’s Secret, Nike e Reebok, il nuovo record è stato un motivo di orgoglio personale. E’ anche il segno del successo di una fondamentale ricompensa economica che deriva dalla pace fra Giordania e Israele. La fabbrica è una delle decine presenti nelle Qualified Industrial Zones in Giordania, là dove le aziende che impiegano una certa percentuale di input israeliani possono esportare duty-free negli Stati Uniti. Le Q.I.Z., come vengono chiamate, sono diventate il motore più potente per la crescita economica della Giordania.
“La pace con Israele rende bene – dice Kurdi – Ci occupa talmente tanto a procurare indumenti agli americani che è difficile stare al passo con la domanda”. Ma più di dieci anni dopo la creazione delle Q.I.Z., la Giordania si sta adoperando per far sì che anche il pubblico generale ne senta i benefici.
Le Q.I.Z. hanno generato 36.000 posti di lavoro, ma per il 75% sono stati occupati da lavoratori asiatici, soprattutto da Sri Lanka, India, Bangladesh e Cina, perché i giordani mancano dell’esperienza necessaria, spiega Abdalla Jahmani, direttore delle Q.I.Z. nella città settentrionale di Irbid. Sebbene nelle 13 Q.I.Z. del paese abbiano aperto 109 aziende e subappaltatori, per l’80% sono di proprietà di non giordani: soprattutto investitori arabi e asiatici che usano le Q.I.Z. per avere accesso al mercato americano. “Abbiamo chiesto al governo di chiuderle perché non forniscono pane e burro alle famiglie giordane”, dice Jamil Abu Bakr, portavoce del Movimento dei Fratelli Musulmani, il più grosso gruppo d’opposizione giordano.
I funzionari governativi, tuttavia, sostengono che le fabbriche Q.I.Z. – soprattutto fabbriche tessili – hanno fornito finora lavoro a 9.000 giordani, un numero significativo considerando che molti di loro mancano delle capacità professionali per la neonata industria. Migliaia di altri sono in corso di formazione e quest’anno andranno a sostituire gli operai asiatici, dice Elias Farraj, consigliere del Jordan Investment Board.
Farhan Ifram, che è a capo dell’associazione degli esportatori tessili della Giordania, dice che le Q.I.Z. hanno anche fatto aumentare le riserve giordane di valuta pregiata attraverso le esportazioni. “Operai e imprenditori – dice – spendono denaro anche in Giordania in prodotti di prima necessità, affitti, servizi, trasporti, spedizioni e dogana, il che è un vantaggio per molti settori economici”.
Diffondere la ricchezza dalle Q.I.Z. è importante poiché gli Stati Uniti e altri promotori del programma hanno stimolato tali benefici economici intendendoli come un potenziale invito ad altri stati arabi a seguire la Giordania sulla strada della pace nella regione. L’Egitto è l’unico altro paese arabo che abbia firmato un accordo di pace con Israele , nel 1979.
Le Q.I.Z. hanno cominciato a svilupparsi già due anni dopo la firma dello storico trattato di pace tra Giordania e Israele del 1994. Il Congresso americano ha sostenuto la costituzione nel regno hascemita delle zone industriali qualificate per favorire la stabilità del Medio Oriente attraverso l’integrazione economica. L’accordo sulle Q.I.Z. mirava anche ad alleviare le difficoltà economiche della Giordania, in parte dovuti ai 7,3 miliardi di dollari di debito estero e alla disoccupazione dilagante.
Nelle Q.I.Z., le fabbriche producono con un contributo dell’8% da Israele, insieme a un valore aggiunto del 35% dalla Giordania, il che le qualifica per la commercializzazione duty free negli Stati Uniti. L’Egitto ha concluso il suo accordo Q.I.Z. con gli USA nel 2005.
Le esportazioni dalle Q.I.Z. giordane negli Usa sono aumentate di cento volte, da 15 milioni di dollari nel 1997 a 1,5 miliardi nel 2006, pari a circa il 20% del prodotto interno lordo del paese.
Le Q.I.Z. hanno anche avvicinato economicamente Giordania e Israele, pur fra le perduranti tensioni a causa dell’incerto processo di pace. Nell’ultimo decennio Israele, che era il principale esportatore tessile dal Medio Oriente negli Stati Uniti, ha aiutato il suo vicino arabo a sviluppare maggiori competenze e accessi all’industria tessile. Dieci fabbriche israeliane hanno aperto direttamente nelle Q.I.Z. Le esportazioni dalle Q.I.Z. passano dal porto israeliano mediterraneo di Haifa, per ridurre i costi di spedizione dalla Giordania che ha un unico sbocco marittimo sul Mar Rosso (ad Aqaba).
La formazione garantita dagli israeliani ha aiutato la nuova industria dell’abbigliamento giordana a decollare. Industrie arabe, cinesi ed altre, ansiose di esportare verso il più grande mercato di consumatori del mondo, sono entrate anch’esse nelle Q.I.Z. con investimenti di milioni di dollari, aiutandole a superare la crisi mondiale. “Ho il 20% di ordini in più che nel 2007, il che significa che ho prenotazioni fino ad ottobre” dice Eric Tang, CEO di una joint venture Hong Hong-India con una fabbrica nella città industriale di Al Tajamouat.
Ora l’industria giordana spera in un ulteriore incremento grazie al nuovo accordo di libero scambio con gli Usa, entrato in vigore dal primo gennaio. L’accordo toglie le tasse Usa da tutti i prodotti manufatti in Giordania, anche fuori dalle Q.I.Z., benché le zone offrano ancora vantaggi in fatto di infrastrutture e agilità di procedure burocrazia.
La Giordania ha fatto accordi analoghi anche con Canada e Turchia, dice Ifram, presidente dell’associazione degli esportatori tessili, aggiungendo che un accordo con la Turchia in programma per il 2011 spingerà i prodotti giordani sui mercati diversi e lucrativi dell’Europa.
Le Q.I.Z. sono state vantaggiose anche per Israele, avendo fatto aumentare le sue esportazioni verso la Giordania di 2,5 volte, da 66 milioni di dollari nel 2001 a quasi 160 milioni l’anno scorso, anche durante l’aumento della tensione politica fra i due paesi per lo stallo negoziale israelo-palestinese. “E’ una storia di successo, da cui tutti gli altri arabi dovrebbero imparare”, dice Gabby Bar, un funzionario del ministero del commercio israeliano che co-presiede le Q.I.Z. della Giordania.

(Da: Jerusalem Post, 13.04.10)