La pace ha bisogno di Allah

I capi religiosi hanno grande peso nella maggior parte dei paesi arabi. Senza di loro la normalizzazione con Israele non potrebbe evolvere in relazioni strette e calorose

Di Shuki Friedman

Shuki Friedman, autore di questo articolo

L’accordo di pace fra Israele e Sudan e, incrociando le dita, quello che prima o poi arriverà con l’Arabia Saudita riflettono certamente interessi diplomatici e politici. Ma quando si tratta di nazioni religiose musulmane, la pace necessita anche dell’autorizzazione “divina”.

In entrambi questi paesi, i governanti hanno bisogno del sostegno dei capi religiosi e in entrambi si sono registrate di recente prese di posizione senza precedenti da parte di alti esponenti religiosi a sostegno della pace con lo stato ebraico e del riavvicinamento con gli ebrei.

L’islam ha svolto e ancora svolge un ruolo negativo nell’approccio che gli stati arabi adottano nei confronti di Israele e degli ebrei in generale. Sin dalla nascita dell’impresa sionista e dello stato di Israele, la maggioranza assoluta dei religiosi nel mondo musulmano ha stabilito che è haram, cioè qualcosa che è religiosamente proibito. Molti di loro hanno lanciato appelli, con diversi gradi di entusiasmo, a combattere e distruggere Israele, e alcuni hanno anche incoraggiato forme di terrorismo sanguinario. Sullo sfondo di questa tradizione anti-israeliana, spiccano in modo particolare le voci musulmane che esortano a normalizzare i rapporti con Israele.

Il Sudan, entrato di recente nella lista dei paesi musulmani che perseguono la pace con Israele, sebbene abbia introdotto circa un mese fa una separazione ufficiale tra stato e religione è ancora uno stato religioso dove la legge è basata sulla sharia. La popolazione sudanese è molto religiosa e i capi religiosi esercitano una notevole influenza sulla vita pubblica.

La lotta fra alti esponenti religiosi sudanesi sulla normalizzazione con Israele fa parte della “pena di pace” del paese. Il Consiglio ufficiale sudanese per le fatwa ha emesso una sentenza in cui si afferma che l’islam proibisce di stabilire relazioni con lo stato ebraico.

Un corso di ebraico on-line del Citizen Café di Tel Aviv. Tra i partecipanti, Maysoon Hameed di Abu Dhabi (prima a sinistra nella fila centrale)

Per tutta risposta, uno dei massimi religiosi del paese ha emesso una contro-fatwa che afferma che, siccome l’islam favorisce la sulha o “rappacificamento”, non vi è alcun divieto a relazioni con Israele e queste sono persino desiderabili se servono gli interessi sudanesi.

Lo sviluppo più significativo ha avuto luogo in Arabia Saudita, che è governata dalla legge della sharia e i cui legislatori, membri del Consiglio della Shura (“i saggi”), hanno una grande influenza sulla sfera pubblica. Quando l’imam della Grande Moschea della Mecca, uno dei massimi religiosi non solo dell’Arabia Saudita ma dell’intero mondo musulmano, ha affermato in un sermone del venerdì di qualche tempo fa che l’islam è una religione di pace che vede con favore i rapporti con gli ebrei e con la religione ebraica, ha dato una scossa potente al mondo musulmano, e c’è chi ha interpretato la sua dichiarazione come una luce verde a un futuro disgelo di Riad verso Gerusalemme. Non basta. Ultimamente il principe ereditario saudita Muhammad bin Salman ha costantemente designato religiosi moderati nel Consiglio della Shura, compreso uno che da diversi anni caldeggia la normalizzazione con ebrei e israeliani.

I capi religiosi svolgono un ruolo chiave nella gestione degli stati che hanno recentemente fatto pace con Israele. Senza di loro, quand’anche si arrivasse alla normalizzazione, essa non potrebbe evolversi in relazioni strette e calorose. una cosa che fino a non molto tempo fa sembrava pura fantasia e ora appare più reale che mai.

(Da: Israel HaYom, 26.10.20)