La Palestina unica e araba dei piani di Fatah

Fatah usa i negoziati per impedire, non per favorire la spartizione della terra

Di Gadi Taub

image_2597In Israele, la soluzione “a due stati” non è sostenuta soltanto dalla sinistra o dal centro. In realtà è sostenuta dal l’opinione generale sionista, dal Meretz al Likud. Ciò nonostante non potremo arrivarci finché su entrambi i versanti di questo consenso quasi unanime la gente caldeggia i negoziati con i palestinesi come una strada senza alternative. Invece Israele ha bisogno di una politica che sia volta alla spartizione della terra anche in mancanza dell’accordo dei palestinesi.
Abbiamo avuto per un breve periodo un partito così, il Kadima. Ma è in dubbio che l’abbiamo ancora, giacché anche Kadima sembra affetto dalla sindrome del negoziato.
Si capisce che abbiamo bisogno di un qualcosa che si ricordi che i negoziati ci trascinano passo dopo passo verso il cosiddetto stato bi-nazionale. È positivo il fatto che il recente congresso di Fatah ci abbia fornito proprio questo promemoria.
Sulla scorta di quel congresso, l’establishment di sinistra ha subito annunciato con riflesso automatico che “ora abbiamo un interlocutore”. Ma non c’è alcun nesso fra questa dichiarazione e il testo delle decisioni prese al congresso di Fatah. I discorsi sulla lotta armata, sull’avvelenamento di Arafat e tutte le altre sfrontate dichiarazioni sono già qualcosa. Ma la cosa più importante è che la piattaforma politica approvata dal congresso blocca qualunque possibilità di un accordo, persino se diventasse primo ministro israeliano Yossi Beilin. Le delibere respingono infatti l’esistenza stessa dello stato ebraico e insistono risolutamente sul cosiddetto diritto al ritorno.
Per comodità di coloro che non sono in grado di collegare le due cose, il congresso di Fatah si è premurato di chiarire bene: deve esserci una assoluta, irrinunciabile resistenza al riconoscimento di Israele come “stato ebraico” al fine di salvaguardare i diritti dei profughi e del nostro popolo sull’altro lato della Linea Verde (cioè all’interno di Israele).
A beneficio di chiunque cerchi di convincerci che la risoluzione Onu 194 possa essere interpretata come una soluzione al problema dei profughi che non preveda il loro insediamento all’interno di Israele, il congresso di Fatah si premurato di mettere in chiaro: i campi profughi non devono essere smantellati in nessuna circostanza, finché i profughi non faranno ritorno alle loro case e città, cioè dentro Israele.
La stessa Fatah, d’altra parte, non sembra credere che vi sia un interlocutore: sanno che Israele non potrebbe mai accettare una piattaforma così suicida. Quindi il congresso ha spiegato agli attivisti del movimento che, in mancanza di un accordo, essi dovranno “acconciarsi” per qualcosa di diverso: puntare a un unico stato “democratico” tra il fiume Giordano e il mar Mediterraneo, naturalmente a maggioranza araba.
Così adesso il segreto di Pulcinella sui negoziati perpetui è svelato. I colloqui vuoti non sono uno strumento per spartire la terra quanto piuttosto uno strumento per impedire tale spartizione. Il centro politico israeliano ha iniziato a svegliarsi di fronte a questa intuizione dal 2003, e nel 2006 ha elettoralmente premiato Kadima. Se Kadima abbandonerà questa intuizione, sarà destinato a scomparire con la stessa rapidità con cui è apparso.
Qual è l’alternativa ai negoziati che dovrebbe offrire un partito votato alla spartizione della terra? Certo non la cessazione dei colloqui. Un partito seriamente impegnato per la spartizione dovrebbe annunciare che accetta, sì, il piano di Obama, ma che esige, nel caso i palestinesi respingessero l’accordo, precise garanzie internazionali per un ritiro unilaterale.
Un partito seriamente impegnato per la spartizione si pronuncerebbe decisamente e risolutamente contro gli insediamenti in Giudea e Samaria (Cisgiordania), che non fanno che favorire il piano di Fatah per una “Palestina unica”. Un siffatto partito promuoverebbe subito, non più tardi, una legge per sgomberi in cambio di risarcimenti. Un siffatto partito presenterebbe un piano per il trasferimento di tutte le infrastrutture in Giudea e Samaria da mani e società private all’esercito e al ministero della difesa.
Infine un siffatto partito punterebbe a una spartizione unilaterale anche nel caso in cui la comunità internazionale non si assumesse responsabilità per la sicurezza. Le Forze di Difesa israeliane potrebbero restare nell’area anche dopo lo sgombero dalla Cisgiordania, almeno fino a quando i “moderati” di Fatah non decideranno che una autentica pace è anche nel loro interesse.
Ed anche dopo che le forze israeliane si saranno ritirate, potremo sempre difenderci dai missili, se necessario. L’operazione anti-Hamas del gennaio scorso nella striscia di Gaza e la seconda guerra in Libano contro Hezbollah dell’estate 2006 hanno dimostrato che una reazione combattiva è in grado di mettere fine ai lanci di razzi.
Se i nostri politici eletti e gli alti esponenti di Kadima leggessero le delibere di Fatah e non quello che dice la stampa, forse capirebbero anche loro tutto questo.

(Da: YnetNews, 3.09.09)

DOCUMENTAZIONE

Cosa significhi la risoluzione Onu 194 per i palestinesi venne messo in chiaro in un memorandum della squadra negoziale palestinese guidata da Yasser Abed Rabbo, presentato il 1 gennaio 2001 in risposta ai parametri del presidente Bill Clinton per un accordo israelo-palestinese. Vi si legge:
“It is important to recall that Resolution 194, long regarded as the basis for a just settlement of the refugee problem, calls for the return of Palestinian refugees to ‘their homes’, wherever located. The essence of the right of return is choice: Palestinians should be given the option to choose where they wish to settle, including return to the homes from which they were driven”. [traduz: “È importante ricordare che la risoluzione 194, da tempo considerata la base per una giusta composizione del problema dei profughi, prevede il ritorno dei profughi palestinesi alle loro case, ovunque situate. L’essenza del diritto al ritorno sta nella scelta: ai palestinesi deve essere data la possibilità di scegliere dove vogliono insediarsi, compreso il ritorno alle case da cui furono allontanati”].

Nell’immagine in alto: mappa da un libro di testo usato nelle scuole dell’Autorità Palestinese: Israele non esiste, cancellato dalla “Palestina”.