La paradossale strategia di Obama

Una schiaffo a Israele per cooptare gli europei, mentre i palestinesi evitano o rifiutano il negoziato.

Se ne discute in Israele: commenti sulla stampa israeliana

image_3139YISRAEL HAYOM scrive che «Netanyahu non può colmare il divario fra lui e il presidente Obama, il quale è convinto che gli sconvolgimenti in corso in Medio Oriente annuncino l’arrivo della democrazia.» Secondo l’editoriale «la politica di Obama, che brilla nei sondaggi d’opinione, rappresenta tuttavia una minoranza all’interno del partito democratico, dell’opinione pubblica e del Congresso, che rappresenta un baluardo della stima per Israele» e che pertanto può fare da contrappeso alla Casa Bianca. «Netanyahu – conclude il giornale – deve fare leva su questa situazione e, pur continuando il dialogo con Obama, considerare il Congresso come la sede più promettente dove promuovere le sue idee.» (Da: Yisrael Hayom, 22.5.11)

HA’ARETZ scrive che «i confini di oggi sono quelli veramente “indifendibili”», e ammonisce che «la decisione di Netanyahu di far scontrare Israele con Obama non solo è un vicolo cieco, ma potrebbe persino rimuovere il solo muro protettivo che rimane a Israele, sacrificando il futuro del paese sull’altare di una vuota ideologia e di un nazionalismo sfrenato.» (Da: Ha’aretz, 22.5.11)

Scrive YEDIOT AHARONOT: «Tre giorni dopo che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva espresso consenso a ritirare Israele dentro i blocchi di insediamenti [cedendo il resto della Cisgiordania], gli americani hanno dimostrato che anche le più disponibili concessioni da parte di Israele non sono mai abbastanza soddisfacenti. Se il punto di partenza dei negoziati è la Linea Verde [ex linea armistiziale ’49-’67], cosa resta da discutere? Secondo Obama, Israele dovrebbe accettare in anticipo di cedere la Valle del Giordano e il saliente di Latrun [che dominava la strada Tel Aviv-Gerusalemme], e solo successivamente iniziare ad ascoltare che cosa ha da dire Mahmoud Abbas (Abu Mazen) circa i profughi.» L’editoriale ricorda al primo ministro Benjamin Netanyahu che «una decisiva maggioranza della popolazione israeliana lo ha eletto due anni fa esattamente per condurre questa battaglia a Washington» e gli chiede pertanto di parlare martedì al Congresso con estrema franchezza. (Da: Yediot Aharonot, 22.5.11)

Scrive MA’ARIV che gli americani hanno insistito sul riferimento alle linee del 1967, come base per una futura composizione, allo scopo di cercare di prevenire il voto a settembre alle Nazioni Unite sul riconoscimento unilaterale (cioè senza negoziato nè accordo) di uno stato palestinese. Secondo l’editoriale, «è quasi paradossale come l’aspra reazione di Netanyahu potrà finire per aiutare Obama a conseguire questo obiettivo. Gli europei si sentiranno soddisfatti solo quando saranno certi che Netanyahu non è contento. Solo quando avranno la sensazione che Israele ha ricevuto lo schiaffo in faccia che secondo loro si merita, potranno accettare di avallare lo schiaffo assai più doloroso alle Nazioni Unite. In ogni caso, dopo il discorso davanti ad Aipac di domenica mattina, il presidente Obama è in partenza per una viaggio di diversi giorni in Europa. Se tornerà con in tasca il consenso a bloccare l’iniziativa unilaterale palestinese all’Onu, sarà possibile riconsiderare perdite e guadagni del suo discorso di settimana scorsa.» (Da: Ma’ariv, 22.5.11)

Scrive EYTAN GILBOA: «Col suo discorso, Obama ha cercato di formulare un equilibrato piano americano per la ripresa dei colloqui fra Israele e palestinesi: ha incluso dei principi su cui insistono i palestinesi, come la necessità di porre fine all’occupazione, di un ritiro sulle linee del 1967 (con scambi di territorio concordati) e di iniziare le trattative dalla questione dei confini; e ha incluso dei principi su cui insite Israele, come la necessità di riconoscere Israele come stato ebraico, che lo stato palestinese sia smilitarizzato e la contrarietà a mosse unilaterali come la dichiarazione di indipendenza alle Nazioni Unite. Si tratta di un approccio non nuovo, che ha già caratterizzato analoghi sforzi americani in passato. C’è tuttavia da dubitare che il discorso di Obama e il suo incontro con Netanyahu possano avere un effetto sostanziale sulla ripresa dei negoziati, né peraltro sui rapporti fra Usa e Israele. Nei due anni scorsi i palestinesi hanno dimostrato di non essere interessati ad alcun negoziato e hanno adottato una strategia volta ad eluderli: riconoscimento alle Nazioni Unite di uno stato palestinese sulle linee del 1967 (senza accordo con Israele). Nel suo discorso Obama ha respinto senza mezzi termini questo approccio, ma non ha detto che cosa gli Stati Uniti intendano o possano fare per impedirlo. Obama ha anche detto che l’accordo di unità fra Hamas e Fatah ostacola la ripresa dei colloqui, ma non ha chiarito come si possa superare la cosa se Hamas, come previsto, non cambierà le sue posizioni strategiche di rifiuto del diritto di Israele ad esistere e contro i colloqui di pace. In fin dei conti, Israele e Stati Uniti mantengono un solido sistema di interessi strategici che è più forte di qualunque presidente o primo ministro. (Da: YnetNews, 22.5.11)

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