La parola Nakba

Alle radici dell’invenzione delle nazioni arabe a est dell’Egitto, e dell’identità palestinese.

Di Daniel Pinner

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Un francobollo egiziano emesso nel periodo dell’occupazione della striscia di Gaza. Vi si legge: “Gaza, parte della nazione araba”. La campagna per uno stato palestinese iniziò solo dopo che il Cairo perse la striscia di Gaza nella guerra dei sei giorni del ’67. Subito sotto: Come il Regno Hashemita di Giordania rappresentava se stesso in un francobollo celebrativo del 1964, quando Israele esisteva già da 16 anni, la Cisgiordania era sotto controllo giordano e la striscia di Gaza sotto controllo egiziano.

Come ogni anno, il 15 maggio si sono tenute manifestazioni e cerimonie per celebrare il 65esimo anniversario della Nakba, il termine che significa “catastrofe” con cui gli arabi indicano la nascita dello Stato d’Israele. Wikipedia spiega che la giornata della Nakba cade il 15 maggio, cioè “il giorno corrispondente, secondo il calendario gregoriano, alla giornata dell’Indipendenza (Yom Ha’atzmaut) d’Israele”. E prosegue: “Per i palestinesi è una giornata annuale di commemorazione della destituzione che fece seguito alla dichiarazione dell’indipendenza israeliana nel 1948”. Sembra tutto molto semplice: il ristabilimento dell’indipendenza ebraica nell’antica patria ebraica fu, per altri, una catastrofe.
Ma dopo i primi tre paragrafi dell’articolo di Wikipedia, ecco che ci si imbatte in una curiosa chicca storica: “Prima della sua adozione da parte del movimento nazionalista palestinese, il termine Nakba era usato dagli arabi per indicare il 1920, l’Anno della Catastrofe, cioè l’anno in cui le potenze coloniali europee spartirono l’Impero Ottomano in una serie di stati separati secondo linee scelte dagli europei”. La nota a piè pagina cita il classico studio di George Antonius “Il risveglio arabo: storia del movimento nazionale arabo”, nel quale si legge: “L’anno 1920 gode di cattiva fama negli annali arabi: viene chiamato l’Anno della Catastrofe … Esso vide le prime sollevazioni scoppiate per protesta contro l’ordinamento post-bellico imposto dagli Alleati ai paesi arabi. In quell’anno, si ebbero gravi sommosse in Siria, Palestina ed Iraq”. La voce di Wikipedia non dà altre informazioni su quelle proteste, ma ciò che il silenzio nasconde, come il comportamento degli arabi durante la “Nakba” del 1948, è ciò che svela la vera natura della Nakba.
I moti arabi del 1920 nella Palestina sotto Mandato Britannico furono largamente istigati e guidati da Mohammed Amin el-Husseini. Husseini era nato nel 1895 a Gerusalemme, che allora era un remoto villaggio dell’Impero Turco-Ottomano, e compì il pellegrinaggio alla Mecca nel 1913 guadagnandosi il titolo di “Haj”. Con lo scoppio della prima guerra mondiale divenne ufficiale d’artiglieria nell’esercito ottomano, un passo abbastanza naturale per un leale suddito dell’Impero Ottomano. In seguito alla sconfitta del suo paese, nel 1919 fondò la sezione di Gerusalemme del siriano al-Nadi al-Arabi (“Club Arabo”) e nello stesso periodo cominciò a scrivere articoli per il giornale di Gerusalemme Suriyya al-Jannubiyya (“Siria Meridionale”): atti e termini che indicano in modo accurato l’ideologia di Husseini e l’ideologia che predominava a quel tempo fra gli arabi. Husseini era un nazionalista arabo (quello che oggi verrebbe definito un pan-arabista). All’epoca non esisteva nessuno dei moderni stati arabi ad est dell’Egitto. Giordania, Libano, Siria, Iraq, Arabia Saudita, Kuwait sarebbero stati tutti concepiti più tardi dagli interessi coloniali inglesi e francesi. Husseini, come del resto tutta la popolazione araba, considerava l’intera regione un’unica grande “Siria”.
(Per la cronaca, nel 1921 Haj Amin el-Husseini verrà nominato Gran Mufti di Gerusalemme e un decennio più tardi fonderà il Congresso Islamico Mondiale e il movimento giovanile Jihad Santa. Nell’estate del 1941 appoggerà il colpo di stato filo-nazista in Iraq durante il quale verranno assassinati centinaia di ebrei. Dopo la sconfitta ad opera degli inglesi, Husseini, in fuga dall’Iraq, approderà il 6 novembre a Berlino dove, tre settimane dopo, verrà formalmente ricevuto da Hitler. Husseini procederà quindi a reclutare decine di migliaia di musulmani bosniaci nella 13esima Divisione delle Waffen SS “Handschar”, caratterizzata dal fatto di essere l’unica divisione “non ariana” fra le divisioni “razzialmente purissime” delle SS).
Nel 1920 Gran Bretagna e Francia si divisero i resti dell’Impero Ottomano, una sparizione sanzionata poche settimane dopo dalla Conferenza di San Remo, ratificata dalla Società delle Nazioni il 24 luglio 1922 e formalmente accettata dalla Turchia un anno dopo con la firma del Trattato di Losanna. Di conseguenza, gli arabi della Siria Meridionale si ritrovarono tagliati fuori dalla madrepatria, con una nuova identità forestiera che non avevano chiesto e che era stata loro imposta dagli europei. Improvvisamente erano diventati “palestinesi”, sudditi della Palestina Mandataria: un’entità a loro completamente estranea. Fu in questo senso che un capo locale arabo, Auni Bey Abdul-Hadi, testimoniando nel 1937 davanti alla Commissione britannica Peel ebbe a dire: “Non esiste un paese che si chiama Palestina. ‘Palestina’ è un termine inventato dai sionisti! Non esiste una Palestina nella Bibbia. Da secoli il nostro paese è parte della Siria”. Ancora il 31 maggio 1956 Ahmed Shukeiri, all’epoca ambasciatore saudita all’Onu, dichiarava davanti al Consiglio di Sicurezza: “E’ noto a tutti che la Palestina non è altro che la Siria Meridionale”.
Ciò che rende particolarmente significativo il punto di vista di Shukeiri è la sua storia personale. Nato nel 1908 a Tebnine (oggi Libano meridionale), Shukeiri fu membro della rappresentanza siriana all’Onu dal 1949 al 1951. Durante quel periodo divenne Assistente Segretario Generale della Lega Araba, carica che mantenne fino al 1956 quando diventò ambasciatore saudita alle Nazioni Unite. Al vertice della Lega Araba che si tenne in Egitto nel gennaio 1964, Shukeiri venne incaricato di creare un’entità palestinese e quattro mesi dopo veniva nominato primo presidente dell’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina). In questo modo gli stessi palestinesi riconoscevano esplicitamente che la loro identità “arabo palestinese” era fittizia.
Torniamo ora a dare un’occhiata alla Nakba del 1948. Sei paesi arabi (Egitto, Siria, Libano, Transgiordania, Arabia Saudita e Iraq) invasero Israele a poche ore dall’indipendenza, con un attacco che Azzam Pasha, Segretario Generale della Lega Araba, definì “una guerra di sterminio, un colossale massacro di cui si parlerà come dei massacri mongoli e delle crociate”. Quali che fossero i loro motivi per quella “guerra di sterminio” contro Israele, liberare la “Palestina” a favore dei “palestinesi” non rientrava certo nei loro programmi. Tre di quei paesi – la Transgiordania (più tardi Giordania), l’Egitto e la Siria – riuscirono a conquistare parti della Palestina: la Giordania occupò le regioni di Giudea e Samaria (che ribattezzò West Bank o Cisgiordania) compresa metà Gerusalemme, la Siria occupò il Golan e l’Egitto occupò la striscia di Gaza. Non uno di questi paesi si sognò di dare ai “palestinesi” neanche un metro quadrato di terra. Né gli arabi che vi abitavano accennarono a chiedere un’indipendenza palestinese. Ed è chiarissimo il motivo: sapevano ancora molto bene che la vera Nakba era stata l’invenzione della fittizia identità “palestinese”. La Nakba originaria, come ha scritto George Antonius, fu l’imposizione di un’identità palestinese agli arabi della Siria Meridionale. La vera Nakba non fu la sconfitta palestinese né la perdita di una (inesistente) indipendenza palestinese: fu l’invenzione di una detestata identità palestinese e la sua imposizione agli arabi da parte delle potenze coloniali europee.

(Da: Jerusalem Post, 29.5.13)