La Pasqua al tempo della pandemia

Questa pandemia ci oltrepasserà e finirà. Non sappiamo come, ma sappiamo che ci siamo già passati e siamo andati avanti

Editoriale del Jerusalem Post

Gerusalemme al tempo del coronavirus

La Pasqua ebraica è una festa del tutto particolare, con il suo messaggio di liberazione dalla schiavitù e il precetto di recitare l’Haggadà (lett. racconto ndr) per rivivere nel nostro tempo l’esperienza dell’Esodo. Il comandamento di trasmettere la storia di generazione in generazione attesta l’importanza attribuita non solo alla rilettura dello storico riscatto, ma anche al riconoscimento delle avversità che dovettero affrontare coloro che ne furono testimoni.

I temi della Pasqua ebraica parlano anche della nostra epoca. Ricordiamo quante generazioni nel corso della storia hanno sopportato la tirannia e l’hanno superata. Le dieci piaghe che si abbatterono sull’Egitto possono sembrare distanti: acqua che diventa sangue, invasione di locuste e rane, pioggia di grandine e fuoco. Tutte quelle piaghe arrivarono dopo centinaia di anni di schiavitù durante la quale, racconta l’Haggadà, il popolo ebraico aveva sofferto terribili fardelli e tormenti. La schiavitù e la sofferenza in Egitto era andata peggiorando nel corso del tempo fino a toccare l’apice appena prima dell’Esodo.

Il nostro giogo odierno non è causato da un faraone ma da un nemico invisibile, un virus che ci obbliga a vivere in clausura da settimane. Per molti, questa Pasqua sarà diversa da tutte quelle che può ricordare. Per molte persone questo è un momento di solitudine e sofferenza.

Haggadà di Pesach approntata in clandestinità da Elimelekh Landau a Borislav (Polonia) durante la Shoà

Oltre un milione di israeliani, e tanti di più nel resto del mondo, hanno perso il lavoro. E la situazione non sembra destinata a migliorare tanto presto. Ci sono persone che dipendono dal cibo che viene consegnato a domicilio. Alcune sono addirittura a rischio di abusi e violenze domestiche.

È un momento di grande incertezza, non sappiamo se e quando finiranno il blocco e la paura del virus. Un’inquietante insicurezza come quella che devono aver affrontato coloro che uscivano dall’Egitto: l’insicurezza di essere sopravvissuti alle pestilenze solo per ritrovarsi in un’interminabile marcia di quarant’anni attraverso un deserto sterminato.

I portenti della Pasqua ebraica offrono una ricetta per sopravvivere all’attuale pandemia. Ci insegnano pazienza e resilienza. Ci insegnano ad aver fiducia che la situazione migliorerà. Ci aiutano anche a ricordare le generazioni che prima di noi hanno sofferto in altri tempi bui. La Pasqua ebraica veniva celebrata dagli ebrei condannati a lunghissimi anni di coscrizione obbligatoria nell’esercito dello zar. Venne celebrata dagli ebrei che prestavano servizio negli eserciti che combattevano contro i nazisti, lontani da casa, senza sapere se avrebbero vinto contro la macchina da guerra di Hitler. Venne celebrata dagli ebrei nei ghetti di tutta Europa, ignari che presto sarebbero stati mandati nei campi di sterminio nazisti.

1945: soldati ebrei in servizio presso vari eserciti alleati celebrano il seder pasquale a Como, Italia

Soldati ebrei che si paracadutarono nell’Europa occupata dai nazisti portarono con sé una copia dell’Haggadà pasquale. Yoel Palgi era tra coloro che parteciparono a un seder (cena pasquale) in Italia (con Enzo Sereni ndr). Il giorno successivo si fece paracadutare in Jugoslavia per unirsi ai partigiani. Catturato in Ungheria, fu caricato su un treno per essere deportato nei campi. Riuscì a saltare dal treno e a fuggire.

Anche gli ebrei che si nascondevano dai nazisti osservavano la Pasqua ebraica. Una famiglia sopravvisse alla guerra vicino a Borislav, in Polonia, nascondendosi presso una famiglia polacca. Durante gli anni in clandestinità scrissero e disegnarono una Haggadà recitando il testo a memoria. Successivamente uno dei membri della famiglia si stabilì in Israele, dove combatté nella guerra di indipendenza. Tale era la sua dedizione alla Pasqua ebraica che ridisegnò la Haggadà, in seguito donata a Yad Vashem (il museo e memoriale della Shoà a Gerusalemme).

Nel corso delle generazioni ognuno si trova a sopravvivere al proprio esodo personale durante la Pasqua. Perché questa notte è diversa da tutte le altre notti?, chiediamo tradizionalmente quella sera. Questa Pasqua porremo di nuovo la domanda. Come la lunga notte di sofferenza in Egitto, supereremo anche questa lunga notte metaforica di chiusure e di pandemia. Il tradizionale augurio “l’anno prossimo a Gerusalemme” quest’anno avrà un significato speciale. ora che è interrotta la normale possibilità di recarsi a Gerusalemme e al Muro Occidentale (“del pianto”). La Pasqua ebraica ci offre l’occasione per riflettere sui messaggi della tradizione che possono ispirarci e sostenerci contro le minacce e le sofferenze reali dei nostri tempi, ricollegandoci attraverso le generazioni a quelle in Egitto.

Questa pandemia ci oltrepasserà, e finirà. Non sappiamo come, ma sappiamo che ci siamo già passati e siamo andati avanti.

(Da: Jerusalem Post, 8.4.20)