La riforma giudiziaria promossa dal governo israeliano affronta una questione giusta, ma nel modo sbagliato

Tutte le parti dovrebbero accettare l'offerta del presidente Herzog di mediare tra governo e magistratura

Di Michael Oren

Michael Oren, autore di questo articolo

Sabato, nella mia sinagoga a Giaffa, uno dei leader della nostra comunità, un ex funzionario del Likud con dottorato di ricerca, mi ha detto che tutte le manifestazioni contro le riforme giudiziarie del governo sono solo l’estremo tentativo di rovesciare Netanyahu. “Il fatto che vinca fa impazzire gli elitari – mi ha detto – Ma Netanyahu non si arrenderà mai”. Più tardi, durante la lettura della Torà, un giovane vestito con una felpa nera e cappuccio calato sulla testa è entrato, si è fermato accanto a me e mi ha sussurrato all’orecchio: “Se Netanyahu pensa di fare il dittatore, lo ucciderò”. Dopodiché, proprio mentre venivano recitati i Dieci Comandamenti, si è voltato e se n’è andato.

Sentimenti simili potrebbero essere stati espressi nelle sinagoghe di tutto il paese, mentre la nostra società precipita verso uno scontro che ricorda quello sugli Accordi di Oslo del 1993, uno sconvolgimento che culminò nell’assassinio di un primo ministro. Mentre molti sostenitori di questo governo insistono perché si attenga strettamente al suo programma senza tirarsi indietro di un centimetro, specie di fronte a quelle che considerano proteste “della sinistra”, dall’altra parte i manifestanti non hanno nessuna intenzione di cedere. Non è allarmismo affermare che una tale prova di forza può facilmente degenerare in violenza.

E’ imperativo allontanarsi da quel precipizio. Ma come? Una riforma giudiziaria è necessaria, ma è problematica se viene promossa da un governo sospettato di secondi fini, come quello di assicurare una posizione ministeriale a un politico già condannato due volte (per reati fiscali ndr) e di promuovere un’agenda ultra-ortodossa e di estrema destra osteggiata da un grande numero di israeliani. Una riforma che consenta alla Knesset di annullare le decisioni della Corte Suprema sulla base di una maggioranza minima, e che conferisca al governo un diritto esclusivo di nomina di tutti i giudici, eliminerebbe di fatto i contrappesi e controlli giudiziari sull’operato del governo.

Un’immagine della manifestazione di lunedì mattina davanti alla Knesset

I manifestanti, dal canto loro, sono chiarissimi nell’esprimere ciò che non vogliono, ma tacciono su come propongono di modificare uno status quo che si va erodendo da tempo. Il governo sta affrontando una questione giusta ma lo fa nel modo sbagliato, mentre l’opposizione elude completamente la questione. La Corte Suprema, nel frattempo, si rifiuta anche solo di riconoscere che una riforma è necessaria.

Eppure la questione rimane: come possiamo preservare il controllo giudiziario, un pilastro praticamente di tutte le democrazie, e i controlli necessari per proteggere i diritti delle minoranze e prevenire l’emergere di un governo privo di qualunque limite? La domanda non è nuova. Come membro della Knesset, per quattro anni a partire dal 2015 mi sono occupato di una possibile riforma della Corte Suprema. “La Corte Suprema – avvertivo – è ormai considerata da ampi segmenti della società israeliana come aliena e persino ostile. Si è aperto un divario crescente tra la magistratura e la Knesset, con vari parlamentari che propongono leggi volte ad aggirare o ignorare le sentenze della Corte: leggi destinate a viziare la funzione di controllo giudiziale, uno dei pilastri di ogni democrazia”.

Per evitare questa lacerazione, proponevo di rivedere il processo di scelta dei giudici, incorporando elementi del sistema americano nel quale i cittadini hanno l’opportunità di influire sulla composizione della Corte votando per il presidente e per i senatori. Ma anziché assegnare ai politici la selezionare di tutti i giudici, raccomandavo che sette dei 15 giudici fossero nominati da un comitato indipendente, garantendo così la diversità e la rappresentanza delle minoranze nella Corte. Allo stesso tempo, propugnavo la fine dell’approccio attivista secondo cui “tutto è giudicabile” (hakol shafit). L’obiettivo era limitare l’ambito di competenza della Corte a questioni strettamente legali e non, ad esempio, a questioni inerenti la politica di difesa, come l’ubicazione della barriera di sicurezza o il destino delle salme dei terroristi.

La parlamentare di Unità nazionale Michal Shir durante la concitata riunione di lunedì mattina della Commissione Costituzione, legge e giustizia della Knesset

Molte altre proposte sono state avanzate riguardo al controverso criterio della “ragionevolezza” come base per respingere leggi della Knesset, e riguardo all’aumento dei voti della Knesset necessari per respingere una sentenza della Corte, portandolo ad esempio a 75 invece dei 61 voti (su 120) attualmente previsti dalla proposta di riforma. Andrebbe inoltre ripreso l’antico dibattito sul fatto se Israele abbia bisogno di una Costituzione e di un Bill of Rights (Carta dei diritti). Una discussione aperta su queste, e altre questioni correlate, è cruciale se vogliamo mantenere una parvenza di unità nazionale. Senza dubbio, è preferibile alla virulenza che ho visto in prima persona lavorando per il governo israeliano nel 1993.

In quanto veterano sostenitore della riforma giudiziaria, esorto il governo ad accettare l’offerta di mediazione avanzata dal presidente Isaac Herzog. Ed esorto l’opposizione a presentarsi a quei colloqui con proposte positive di cambiamento. La maggioranza degli israeliani accoglierebbe con favore un simile approccio, così come la maggior parte dei nostri sostenitori in tutto il mondo.

Israele, uno dei pochi paesi al mondo che non hanno mai conosciuto un solo minuto di governo non democratico, e certamente l’unico di loro che non ha mai conosciuto un minuto di pace, può giustamente essere orgoglioso della propria democrazia. Essa è il fondamento della nostra alleanza con gli Stati Uniti e le altre democrazie, è un baluardo contro i boicottaggi ed è l’unica attestata piattaforma per gestire e difendere uno stato altamente irrequieto e implacabilmente minacciato. La democrazia è una delle nostre grandi conquiste e dobbiamo proteggerla, nella massima misura possibile, dalle politiche personali e di parte. Ai Dieci Comandamenti che leggiamo durante lo Shabbat potremmo aggiungerne un altro: quando sei in bilico sull’orlo del precipizio, tirati indietro e siediti a discutere.

(Da: Times of Israel, 12.2.23)

 

Il presidente d’Israele Isaac Herzog durante il messaggio alla nazione di domenica sera

In un discorso rivolto domenica sera alla nazione, il presidente d’Israele Isaac Herzog ha lanciato un appello al dialogo allo scopo di raggiungere un accordo di ampio consenso tra i fautori e gli oppositori della riforma giudiziaria e prevenire fratture nella società israeliana che potrebbero sfociare nella violenza. Herzog ha affermato che la riforma del sistema giudiziario così come viene proposta dal governo è dannosa per le basi democratiche di Israele e deve essere rinviata fino a quando non si troverà un compromesso. “Questa non è una disputa politica – ha detto Herzog – Siamo sull’orlo di un collasso costituzionale e sociale”. Il presidente ha chiesto che le iniziali votazioni previste per lunedì mattina nella Commissione Costituzione, legge e giustizia della Knesset venissero rinviate fino a quando non si potrà avviare un dialogo per raggiungere un ampio consenso sulla nuova normativa. Herzog ha spiegato che la premessa di base è che la Knesset è l’organo legislativo eletto e che il governo (sostenuto dalla maggioranza della Knesset) ha il diritto di promuovere le sue politiche, ma devono anche esserci controlli e contrappesi come la Corte Suprema, che salvaguarda Israele e la sua società. “Può essere legittimo un cambiamento – ha aggiunto Herzog – in modo che i tribunali possano rappresentare meglio lo spettro della società israeliana”. Secondo Herzog, la Knesset dovrebbe approvare una Legge Fondamentale che delinei i rapporti tra parlamento e magistratura, ma solo dopo aver raggiunto un accordo ampio. Il presidente ha anche affermato che i giudici dovrebbero essere eletti da un comitato in cui non detengano la maggioranza né i tribunali né i politici. “Se questo scontro finirà con una parte che vince e una che perse, saremo tutti sconfitti”, ha concluso Herzog.

Domenica sera il presidente della Commissione Costituzione, legge e giustizia Simcha Rothman, del partito Sionismo Religioso, ha respinto l’appello di Herzog a rinviare l’avvio delle votazioni sui disegni di legge definendolo “una richiesta dell’opposizione” e un “tentativo di indebolire il governo”. Lunedì mattina le votazioni in prima lettura nella Commissione si sono svolte fra rumorose contestazioni e l’espulsione dall’aula di due parlamentari dell’opposizione, mentre decine di migliaia di oppositori manifestavano a Gerusalemme davanti alla Knesset e in altre città. Ora l’iter prevede che i due primi disegni di legge approvati dalla Commissione con 9 voti contro 7 vengano sottoposti a tre votazioni della Knesset in seduta plenaria.

Lunedì pomeriggio il ministro della giustizia Yariv Levin e il presidente della Commissione Simcha Rothman hanno invitato i leader dell’opposizione Yair Lapid e Benny Gantz a un incontro nell’ufficio del presidente Herzog per valutare un compromesso. In serata, il leader dell’opposizione Yair Lapid ha respinto l’offerta dicendo: “Come ha sottolineato il presidente e come è stato ripetutamente spiegato, la condizione necessaria per avviare un dialogo è l’arresto immediato dei processi di votazione per un determinato periodo di tempo durante il quale i colloqui si svolgeranno con la mediazione del presidente. Se Levin e Rothman sono d’accordo, saremo felici di incontrarci anche domani mattina nell’ufficio del presidente”.

(Da: YnetNews, Jerusalem Post, 13.2.23)