La ritrovata alleanza con la “periferia”
La crescente amicizia tra Israele e paesi africani sta iniziando a erodere la maggioranza automatica contro lo stato ebraico nei forum internazionali
Di James Sinkinson
In mezzo all’emozione per il carattere storico degli accordi firmati la scorsa settimana sul prato della Casa Bianca tra Israele, Emirati e Bahrein, è passato in gran parte inosservato il crescente disgelo tra i paesi africani e lo stato di Israele. E tuttavia, i legami con i vicini africani possono svolgere un ruolo enorme nell’aiutare Israele a contenere e ridurre le calunnie e le ingiurie che tradizionalmente si affastellano contro lo stato ebraico nei forum internazionali, a plasmare la pace nella regione e ad accrescere il meritato status di Israele come leader mondiale.
Nelle scorse settimane sia il Ciad che il Malawi si sono dichiarati disposti ad aprire missioni diplomatiche a Gerusalemme. Le relazioni formali con il Sudan sembrano essere solo una questione di tempo, in particolare dopo che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha incontrato, agli inizi dell’anno, il capo del Consiglio di sovranità del Sudan, Abdel Fattah al-Burhan.
Tutto questo è significativo perché l’Africa è sempre stata considerata come parte del blocco di nazioni che votano automaticamente contro Israele nelle istituzioni internazionali e che evitano di farsi vedere troppo vicine allo stato ebraico. Un atteggiamento che era in gran parte frutto di pesanti minacce petrolifere e commerciali e della forza esercitata dal blocco di 57 paesi islamici e 22 paesi arabi che dominano il Movimento dei Non Allineati presso le Nazioni Unite. La coalizione garantiva ai paesi islamici una “maggioranza automatica” nel Movimento dei Non Allineati, che a sua volta detiene la maggioranza fra gli stati membri delle Nazioni Unite e in altre istituzioni internazionali.
Ma non è sempre stato così. Israele e nazioni africane avevano buoni rapporti negli anni ’50 e ‘60, basati su una sorte comune: sia Israele che i paesi africani si erano affrancati dal controllo coloniale per affermare la propria indipendenza. Inoltre, Israele e Africa subsahariana affrontavano analoghe sfide dovute alla crescente desertificazione e alla carenza di risorse idriche. Il giovane stato ebraico fu tra i primi a fornire un’assistenza sostanziale ai paesi di recente indipendenza e ai loro popoli appena liberati. L’aiuto israeliano venne fornito in settori come l’agricoltura, la medicina e la difesa, e in progetti infrastrutturali come la costruzione di aeroporti, la creazione di compagnie di navigazione e di istituti di istruzione e formazione professionale.
Tutto questo ebbe fine nel 1973 quando l’Organizzazione per l’Unità Africana si piegò suo malgrado al ricatto arabo durante la crisi petrolifera del 1973. Nei successivi decenni, i paesi africani furono manovrati sino a diventare una delle principali basi dell’antagonismo verso Israele in molteplici istituzioni internazionali, come le Nazioni Unite, dove i Non-Allineati potevano garantire coi loro voti l’approvazione di qualsiasi risoluzione anti-israeliana. Da allora, i prodotti più rilevanti che i paesi arabi hanno esportato nell’Africa subsahariana sono stati il terrorismo, la jihad e l’islamismo. Gruppi terroristici come Boko Haram, Al Shabaab e altre diramazioni di al-Qaeda e dell’ISIS sono costati la vita a migliaia di africani. Questi gruppi continuano a rappresentare una seria minaccia per le nazioni sovrane dell’Africa.
Per contro, l’intelligence l’esperienza e la competenza israeliane hanno svolto un ruolo chiave nel garantire maggiore sicurezza ai paesi africani e hanno sventato molti attentati potenzialmente mortali. Nello stesso tempo le autorità israeliane, attraverso l’Agenzia internazionale per gli aiuti e lo sviluppo MASHAV, aiutava i governi e la gente in Africa a trovare soluzioni per la scarsità d’acqua e la sicurezza alimentare attraverso i progressi nella tecnologia agricola, alimentare e idrica. Gli esperti israeliani sono in prima linea nel garantire elettricità ai villaggi rurali mediante l’energia solare, nella desalinizzazione e nell’assicurare una più lunga durata di conservazione al cibo coltivato localmente.
Questi rapporti fiorenti hanno migliorato le relazioni diplomatiche: rappresentanti africani ampliano le loro missioni in Israele, partecipano a numerosi eventi tecnologici israeliani e iniziano a schierarsi con Israele nell’arena internazionale. Negli ultimi anni, numerose nazioni africane hanno votato con Israele, o almeno si sono astenute, su risoluzioni ostili allo stato ebraico che in precedenza avrebbero sostenuto automaticamente. In occasione dell’annuale festival dell’odio pregiudiziale contro Israele che viene messo in scena ogni anno – la “Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese” – molti paesi africani, come Camerun Nigeria e Ruanda, hanno modificato i loro voti favorevoli in voti d’astensione o contrari.
Come un numero crescente di paesi africani sta cominciando a capire grazie a radici condivise, interessi reciproci e dialogo inter-religioso, lo stato d’Israele non è solo un paese alleato, ma un paese amico. In Kenya, i candidati alla presidenza fanno a gara su chi sia più filo-israeliano e alla vigilia delle elezioni ci si reca in visita il Muro Occidentale [“del pianto”] di Gerusalemme. Nello Zimbabwe, uno dei candidati alla presidenza si è fatto ritrarre con indosso uno scialle di preghiera ebraico e ha fatto dell’apertura di un’ambasciata una sua promessa elettorale fondamentale. Molti leader africani parlano dei legami fraterni tra i popoli ebraico e africano.
Negli ultimi anni, opponendosi alle ricattatorie tattiche diplomatiche palestinesi, le nazioni africane hanno iniziato a rendersi conto che Israele è un alleato serio e affidabile nella lotta agli effetti del cambiamento climatico e al terrorismo, e che può aiutare questi paesi a progredire e svilupparsi.
La rinnovata amicizia tra Israele e Africa sta dunque iniziando a rimuovere un’arma importante dall’arsenale palestinese: la maggioranza automatica contro Israele nei forum internazionali. Durante i suoi primi anni, quando era costantemente attaccato militarmente, economicamente e diplomaticamente da tutti i paesi della regione, Israele varò quella che veniva definita “l’alleanza con la periferia”: in base a questa strategia, Israele mirava a sviluppare forti legami con le nazioni al di là del blocco arabo, come l’Africa subsahariana. Ora che Israele non è più in guerra con parecchi dei suoi vicini e che il boicottaggio della Lega Araba volge al tramontato, la virulenta guerra diplomatica contro Israele è una delle poche armi che restano ai suoi nemici. Ma con gli estesi successi d’Israele in Africa, anche questo pilastro della strategia del rifiuto palestinese tende e sgretolarsi.
Sebbene per ora permanga alle Nazioni Unite la maggioranza automatica anti-israeliana, essa viene costantemente erosa man mano che le minacce palestinesi perdono forza, il blocco del rifiuto intransigente perde lentamente potere e si susseguono i successi diplomatici d’Israele. Cosa ancora più importante, l’Africa si sta gradualmente allontanando dai palestinesi e dalle loro posizioni massimaliste, e una ad una le 54 nazioni africane si stanno muovendo verso il sostegno e la collaborazione con Israele.
(Da: jns.org, 21.9.20)