La rivincita di Sharon

Ariel Sharon diceva sempre che il suo successo era dovuto al suo pragmatismo.

Da un articolo di David Horovitz

image_1144Ariel Sharon diceva sempre che il suo successo nel raddoppiare i seggi del Likud da 19 a 38, nelle scorse elezioni, era dovuto a quello che lui considerava il suo pragmatismo: la disponibilità a fare “dolorosi compromessi”, la solida alleanza con l’amministrazione Bush. Binyamin Netanyahu, suo collega e rivale, sosteneva il contrario, e cioè che la gente aveva appoggiato il Likud per la sua tradizionale opposizione a uno stato palestinese.
Le elezioni 2006 appaiono come la rivalsa di Sharon, il primo ministro in coma, il grande assente in questi giorni di campagna elettorale e di valutazioni del voto. Sharon, a quanto sembra, non ha solo rotto con il Likud andando a fondare Kadima. Ha fatto a pezzi il Likud. E i risultati suonano come una secca smentita di Netanyahu, politica e ideologica.
Convinto della giustezza del suo approccio, aggrappato alla prospettiva di un governo Hamas in Giudea e Samaria (Cisgiordania), Netanyahu non è riuscito con tutta evidenza a convincere una parte almeno significativa del suo elettorato. I suoi elettori sono andati a Kadima, a Israel Beitenu, al partito dei pensionati. Alcuni possono persino aver votato un partito laburista che si è portato assai meglio di quanto anticipato dai sondaggi fino a poche settimane fa. Sono andati dappertutto, insomma, tranne che al Likud. Significativamente, non sono andati in gran numero nemmeno alla destra nazionalista dell’alleanza Unione Nazionale-Partito Nazionale Religioso.
La chiave per Ehud Olmert era riuscire ad arrivare ai fatidici 61 seggi (sui 120 della Knesset) con potenziali alleati che avessero il suo stesso approccio. Benché Kadima sia andato meno bene di quanto inizialmente prospettato dai sondaggi, a prima vita i numeri sembrano indicare una posizione abbastanza confortevole per l’uomo che tre mesi fa ha ereditato la poltrona di primo ministro e che adesso può dire d’averla vinta alle elezioni. Potrà cooptare o meno nella coalizione i laburisti, il Meretz, i pensionati, tutti alleati potenzialmente più gestibili. Lo Shas (ortodossi sefarditi) vuole entrare nel governo. Lo stesso vuole Ebraismo Unito della Torah (ortodossi askenaziti). L’Israel Beitenu di Avigdor Lieberman ha detto più volte di considerarsi candidato alla coalizione. Con l’imbarazzo della scelta, Olmert potrà condurre da posizioni di forza i negoziati per la coalizione.
La bassa percentuale di affluenza alle urne (63,2 %) è deludente e allarmante. Indica malumore, indifferenza, alienazione. Anche lo straordinario successo del partito dei pensionati sottolinea una protesta pubblica contro un particolare aspetto delle priorità nazionali e di governo. Ma è la migliore delle proteste, un’espressione costruttiva e democratica che ora, attraverso la rappresentanza parlamentare, potrebbe produrre cambiamenti postivi.
Che tanti abbiano disertato il voto è invece abbastanza sconcertante. In fondo la posta in palio era alta. Gli israeliani hanno votato nel giorno stesso in cui il Consiglio Legislativo Palestinese approvava la fiducia al nuovo governo monocolore Hamas, e nel giorno in cui razzi Katyusha per la prima volta sono stati lanciati contro Israele dalla striscia di Gaza. Le dimensioni stesse del paese erano in gioco.
L’assenza di Sharon può aver contributo all’astensione. Ma coloro che invece si sono presi la briga di votare, hanno messo in chiaro la loro preferenza per ciò che il successore Olmert chiama “convergenza”. Olmert afferma di voler mantenere i maggiori blocchi di insediamenti, ma quel che è certo è che l’elettorato ha inferto un duro colpo all’idea degli insediamenti sparsi in giro per la Cisgiordania. Un colpo che la società israeliana dovrà darsi da fare per assorbire senza scossoni.

(Da: Jerusalem post, 29.03.06)