La scelta dei palestinesi

I palestinesi devono scegliere: continuare la guerra oppure edificare uno Stato nella pace.

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_1015I palestinesi sono di fronte a una scelta fondamentale: continuare la guerra oppure edificare uno stato. Sul piano elettorale sembra che stia prevalendo il partito della guerra.
Nella tornata di giovedì scorso delle elezioni municipali palestinesi i candidati di Hamas hanno conseguito il ragguardevole risultato di 13 seggi contro 15 a Nablus, tradizionale roccaforte di Fatah. A Jenin, Hamas ha conquistato otto seggi contro i sette di Fatah. Ad al-Bireh, città vicina a Ramallah, Hamas ha ottenuto nove seggi e Fatah solo quattro. Sebbene la forza di Hamas venga spesso attribuita al rifiuto da parte della gente della corruzione che caratterizza la vecchia guardia di Fatah, alla manifestazione indetta da Hamas a Nablus per celebrare la vittoria la folla non inneggiava alla trasparenza di governo bensì gridava slogan come “A milioni di martiri marceremo su Gerusalemme”.
Nel frattempo la Camera dei Rappresentanti Usa ha approvato una risoluzione che afferma chiaramente che permettere ai terroristi di Hamas di partecipare alle elezioni parlamentari palestinesi previste per il mese prossimo significherebbe “compromettere potenzialmente la possibilità degli Stati Uniti di avere rapporti costrittivi con l’Autorità Palestinese e fornirle ulteriore assistenza”. Presa di posizione senz’altro positiva, che tuttavia non fa che ribadire ciò che dovrebbe essere ovvio. Come ha recentemente sottolineato il segretario di stato Condoleezza Rice, i gruppi terroristi come Hamas “non possono tenere aperta contemporaneamente l’opzione politica e l’opzione della violenza. Semplicemente non si riesce a pensare ad alcun altro caso internazionale in cui venga permesso che questo accada”. Per la verità, non solo questa mescolanza di politica e terrorismo è perfettamente concepibile, ma anzi essa è la migliore descrizione di quanto accadeva nel periodo di Oslo e del perché esso sia fallito. Quando Israele si oppose esattamente a questo genere di mescolanza, gli venne detto che ostacolava il processo di pace.
Ora gli atteggiamenti sono un po’ cambiati e in effetti c’è molta meno pazienza, a livello internazionale, verso la tendenza dei palestinesi a mantenere sempre aperta l’opzione terrorista. Per essere più precisi, sono un po’ diminuite le possibilità di fare pressioni su Israele perché faccia sempre più concessioni al nascente stato terrorista palestinese.
Indipendentemente da come andrà Hamas alle elezioni, la questione saliente per Israele e per la comunità internazionale è se l’Autorità Palestinese impedirà alle organizzazioni terroriste – elette o non elette – di operare al suo interno. Se l’Autorità Palestinese lo permetterà, non solo Israele non dovrebbe più averci a che fare, ma anche tutta la comunità internazionale, come ha indicato il congresso americano, dovrebbe smettere di sostenere diplomaticamente e finanziariamente l’Autorità Palestinese. Nessuno può obbligare i palestinesi ad accettare la pace, e lo stato palestinese che viene offerto loro in cambio della pace. Ciò che Israele e il resto del mondo possono fare è obbligare i palestinesi a scegliere tra pace con uno stato, da una parte, o continuare guerra e terrorismo dall’altra.
L’incapacità internazionale di rendere questa scelta abbastanza netta per i palestinesi – permettendo loro di avere aiuti e negoziati pur non abbandonando il terrorismo – è ciò che ha garantito il fallimento di qualunque processo di pace e ha prolungato le sofferenze di entrambe le parti. Anche adesso si potrebbe scommettere che la maggior parte dei palestinesi non crede davvero di compromettere gli aiuti economici internazionali votando Hamas, perlomeno alle elezioni locali. In verità, lungi dal dover scegliere fra terrorismo e stato, molti palestinesi sembrano anzi convinti che il terrorismo rimanga il modo migliore per conseguire i loro obiettivi nazionali. Il fatto stesso che questa convinzione sia viva e vegeta dopo tutte le dichiarazioni sul terrorismo che deve cessate è prova evidente che la comunità internazionale non ha saputo convincere i palestinesi che intendeva chiamarli sul serio a quella scelta. In questo senso la comunità internazionale non ha fatto alcun favore ai palestinesi. Né ci si può aspettare che la situazione cambi mentre l’aiuto internazionale continua ad arrivare all’Autorità Palestinese nonostante la corruzione, la mancanza di trasparenza, l’anarchia e il rifiuto di combattere il terrorismo e di porre fine all’istigazione all’odio.
Fino ad oggi la riluttanza dei paesi donatori a chiudere i rubinetti degli aiuti economici era motivata dalla paura che l’alternativa di governo fosse Hamas. Oggi vediamo verificarsi proprio il contrario: più la corrotta Autorità Palestinese viene artificialmente puntellata, più la gente vuole rimpiazzarla con Hamas. La soluzione, anziché continuare a finanziare l’Autorità Palestinese ad ogni costo, è quella di vincolare più severamente i finanziamenti a tutto ciò che i donatori chiedono da anni: fine del terrorismo, della corruzione, dell’istigazione e introduzione dello stato di diritto.

(Da: Jerusalem Post, 18.12.05)