La scelta (sbagliata) di Abu Mazen
Per creare uno stato palestinese è necessario trattare con Israele un accordo di pace globale.
Di Kenneth Bandler
A meno di un improvviso cambiamento, il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) è seriamente intenzionato a chiedere, giovedì, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, di riconoscere la “Palestina” come “Stato osservatore non-membro”. Il progetto, da tempo programmato, aggirando i colloqui diretti con Israele servirà ben poco a promuovere le prospettive di raggiungere un accordo di pace definitivo e quelle di arrivare a un vero e proprio stato palestinese indipendente.
Gli Stati Uniti, come diversi paesi europei, hanno esortato Abu Mazen a non procedere con questa manovra diplomatica, che potrebbe comportare conseguenze negative per l’Autorità Palestinese simili al taglio dei fondi americani all’Unesco dopo che quell’organismo Onu aveva ammesso la Palestina come “Stato membro” (anche qui, senza negoziato né accordo con Israele). Quali potrebbero essere le conseguenze di un tale voto all’Assemblea Generale non è del tutto chiaro, ma anche solo il dubbio dovrebbe essere sufficiente a indurre il capo palestinese a un ripensamento.
Abu Mazen è invece convinto di dover procedere perché ha promesso al popolo palestinese e al resto del mondo che lo avrebbe fatto. A quanto pare, ha solo rinviato la richiesta formale a dopo le elezioni americane. Dopo non essere riuscito l’anno scorso a ottenere un analogo riconoscimento dal Consiglio di Sicurezza per far ammettere come membro a pieno titolo dell’Onu lo Stato che ancora non c’è, cerca ora di fare in Assemblea Generale quella che considera la mossa migliore.
Che l’Autorità Palestinese abbia i voti per farlo non è mai stato in dubbio. Il movimento dei paesi Non Allineati, riunito a Tehran lo scorso agosto, ha dato il suo sostegno alla proposta e quegli stessi 120 paesi ne garantiranno dunque l’approvazione quando si andrà al voto in Assemblea Generale. Dal momento che Abu Mazen cerca il sostegno anche dei 27 paesi dell’Unione Europea, i contrari alla mossa hanno già indicato che le eventuali astensioni di paesi europei saranno considerate una sconfitta dell’Autorità Palestinese.
Lo scorso fine-settimana Abu Mazen ha dichiarato di aspettarsi che il presidente Usa Barack Obama, nel suo secondo mandato, mantenga la promessa fatta davanti all’Assemblea Generale due anni fa, quando disse che gli Stati Uniti si sarebbero uniti agli altri Stati membri nel dare il benvenuto alla Palestina nell’organismo internazionale come membro a pieno titolo. Ma c’è un ma. Per istituire uno Stato palestinese è comunque necessario un accordo di pace globale con Israele (come previsto da tutti gli accordi finora firmati). E l’unica strada per una pace sostenibile è quella dei negoziati diretti. Ma, mentre Washington è pronta a sostenere le parti lungo tutto il percorso dei colloqui negoziali, da diversi anni Abu Mazen ha scelto di abbandonare il percorso della trattativa diretta con Israele. Ed ha respinto con sdegno gli sforzi messi in campo dall’amministrazione Obama affinché riportasse i suoi rappresentanti al tavolo negoziale e non facesse mosse, come la manovra di questa settimana all’Onu, che servono solo a bloccare ulteriormente il potenziale processo di pace.
Andare all’Assemblea Generale è puro simbolismo. Esattamente 65 anni fa, il 29 novembre 1947, quello stesso organismo dell’Onu adottava la risoluzione che divideva il Mandato Britannico sulla Palestina in due stati – uno “arabo” e uno “ebraico” – che coesistessero nella pace e nella sicurezza. Se ciò non è avvenuto è perché il mondo arabo rigettò con violenza la visione innovativa di quel piano di spartizione e cercò con tutte le sue forze, per decenni, di cancellare il nuovo Stato di Israele: tanti in Medio Oriente cercano ancora oggi di annientarne l’esistenza.
Il profilo della soluzione a due Stati non è cambiato di molto dal 1947, ma il terreno è drammaticamente mutato con la cosiddetta “primavera” araba che pone nuove minacce e sfide alla sicurezza di Israele, degli Stati Uniti e, cosa non meno importante, ai leader palestinesi che affermano di aspirare a una pace con Israele.
Abu Mazen è stato ulteriormente marginalizzato dai capi arabi che hanno ostentato il loro sostegno al regime di Hamas nella striscia di Gaza. L’emiro del Qatar è stato il primo capo di stato a visitare Gaza da quando è sotto il controllo di Hamas, e l’ha fatto tre settimane prima dell’escalation di lanci di razzi che ha portato alla reazione militare di Israele. Durante gli scontri fra Israele e Hamas, il ministro degli esteri tunisino, il primo ministro egiziano e infine un’ampia delegazione di ministri degli esteri dei paesi arabi e della Turchia si sono recati a Gaza ad abbracciare il “primo ministro” di Hamas, Ismail Haniyeh. Il capo arabo significativamente assente è stato proprio Abu Mazen. Nessuno dei paesi arabi che hanno mandato emissari a Gaza ha pensato di visitare Ramallah. A quanto risulta, Hamas ha persino rifiutato di ricevere le telefonate provenienti dal presidente dell’Autorità Palestinese.
Lo sforzo di incontrare Abu Mazen a Ramallah l’ha fatto, invero, il segretario di stato Usa Hillary Clinton, quando gli Stati Uniti hanno cercato di negoziare un cessate il fuoco fra Israele e Hamas. Eppure la richiesta della Clinton, accompagnata da una telefonata di Obama ad Abu Mazen, che questi lasciasse perdere di andare questa settimana all’Onu è stata seccamente respinta.
Abu Mazen probabilmente pensa che l’approvazione da parte dell’Assemblea Generale della sua richiesta di elevare lo status della rappresentanza palestinese possa innalzare la sua posizione agli occhi dei palestinesi e del mondo arabo in generale. Hamas, però, non condivide affatto la mossa di Abu Mazen all’Onu, e si oppone alla stessa Autorità Palestinese da lui presieduta.
Abu Mazen ha ancora una possibilità di salvare il processo di pace. Dovrà affrontare critiche da parte di coloro che non possono tollerare un riconoscimento di Israele, ma può guidare i tanti palestinesi che aspirano sinceramente, per se stessi e per le loro famiglie, ad arrivare alla pace con Israele. Tornare ai colloqui diretti è l’unica opzione concreta.
(Da: Jerusalem Post, 26.11.12)
Nella foto in alto: Kenneth Bandler, autore di questo articolo
Si veda anche:
Perché Abu Mazen vuole tornare all’Onu a settembre. Uno stratagemma per distogliere l’attenzione dalla sua fallimentare gestione interna
https://www.israele.net/articolo,3514.htm
Il vaso di Pandora di Abbas. Lo scandalo per i suoi commenti prova che nessun leader palestinese ha un mandato dal suo popolo per fare concessioni a Israele
https://www.israele.net/articolo,3581.htm
Aut aut di Hamas a Fatah: o con noi, o con Israele. Gli islamisti palestinesi ribadiscono: lotta ad oltranza contro Israele
https://www.israele.net/articolo,3331.htm
Abu Mazen: “Non riconoscerò mai uno stato ebraico”. Senza infingimenti, alla tv egiziana il presidente palestinese loda anche i sequestratori di Shalit
https://www.israele.net/articolo,3276.htm
A proposito della Risoluzione del 29 novembre 1947:
Dichiarazione Balfour e Risoluzione di Spartizione. Due anniversari che aiutano a capire la storia
https://www.israele.net/sezione,,1899.htm
Naqba e Giornata dell’Indipendenza. Qualche richiamo di storia a proposito di giustizia nella nascita di uno stato
https://www.israele.net/articolo,1225.htm
Nakba e libertà. La vibrante democrazia israeliana si è mostrata in tutta la sua grandezza all’Università di Tel Aviv
https://www.israele.net/articolo,3433.htm