La sconfitta divina di Hezbollah

Nasrallah non è che l’ultimo esempio dell’incapacità araba di ammettere le sconfitte

Da un articolo di Sever Plocker

image_1707Qualche giorno fa l’eminente giornalista del New York Times Thomas L. Friedman ha scritto un articolo in cui riassumeva gli errori e I fallimenti di Hezbollah durante la seconda guerra in Libano. L’articolo dell’arguto Friedman si basava sulle prove di colpevolezza tratte dal rapporto di una commissione d’inchiesta ufficiale libanese sulla guerra della scorsa estate: citazioni apocrife, naturalmente, tratte dal rapporto di una commissione immaginaria che non è mai stata istituita né mai lo sarà.
In Israele e nel mondo arabo ha preso piede l’errata percezione secondo cui Israele avrebbe perso la guerra mentre Hezbollah avrebbe ottenuto una “vittoria divina”. Anche se è vero il contrario, questa immagine distorta è quella che ha la meglio.
Nel caso della seconda guerra in Libano, l’obiettivo di offuscare e ribaltare la realtà dei fatti si presenta particolarmente facile. Nei loro discorsi, Assad e Nasrallah non hanno dovuto fare altro che presentare le conclusioni della Commissione Winograd come prova schiacciante della disfatta di Israele: se Israele stesso ammette il proprio fallimento, si domandano, che bisogno c’è di cercare altre prove?
In effetti il governo e le forze armate israeliane hanno sbagliato in più di un’occasione durante quella guerra. E tuttavia Friedman ha ragione: Israele ha terminato la guerra in una posizione di netto vantaggio sotto tutti gli aspetti, tattico, strategico e diplomatico.
Su piano tattico, le strutture paramilitari di Hezbolah hanno subito un duro colpo dal quale difficilmente potranno essere totalmente riabilitate, soprattutto sotto lo sguardo di una forza internazionale relativamente grande e dell’esercito sovrano libanese. Sul piano strategico, la posizione di Israele al confine con il Libano e i rapporti di Gerusalemme con il governo eletto di Beirut sono decisamente migliori di quelli che erano prima della guerra. Sotto l’aspetto diplomatico, mai prima d’ora il Consiglio di Sicurezza dell’Onu aveva approvato una risoluzione così consona alle esigenze di Israele come la 1701, che ha permesso di porre fine ai combattimenti.
Hezbollah, dal canto suo, non può annoverare un solo successo, a meno che non consideri tale la barbara pratica di trattenere in ostaggio e senza notizie due soldati israeliani. Sono falliti anche gli sforzi fatti da Hezbollah per scalzare la vita democratica all’interno del Libano dopo la guerra, e lanciare una rivoluzione islamista per mezzo di manifestazioni di massa organizzate nelle strade. Il governo Siniora è sopravvissuto al tentativo di putsch senza arrendersi.
Anche il timore che Nasrallah potesse trasformarsi nel nuovo leader carismatico dei giovani arabi si è dimostrato infondato. Il suo fascino maligno si è dissolto, le sue confuse dichiarazioni hanno smesso di eccitare le masse. Nasrallah sembra piuttosto un predicatore estromesso, che ha deluso i suoi seguaci ed è costretto a render conto dei suoi misfatti. Lo dimostra quel suo frenetico correre da una tv araba all’altra a tenere dotte disquisizioni sul rapporto Winograd: le sue principali preoccupazioni, oggi, si dividono tra guadagnare audience televisiva e starsene ben nascosto. Se questa è una “vittoria divina” c’è da chiedersi come sarebbe una sconfitta.
La difficoltà araba ad ammettere le sconfitte non si limita a Hezbollah o alla seconda guerra in Libano. È caratteristica tipica delle società che tendono a ignorare le realtà sgradevoli e ad attribuire ad altri ogni responsabilità. Quarant’anni dopo la guerra dei sei giorni, non si è ancora visto un importante leader od opinionista in Egitto o in Siria disposto ad ammettere la sconfitta e assumersene la responsabilità.
Ad ogni modo le cose stanno gradualmente cambiando anche sotto questo aspetto. Sotto la pressione di alcuni mass-media arabi un po’ più critici e indipendenti, un esame introspettivo sulla seconda guerra in Libano è iniziato anche sul versante arabo. E la disponibilità della società israeliana a indagare su stessa e auto-colpevolizzarsi serve da modello. Persino Nasrallah ha dovuto riconoscere apertamente la capacità di Israele di analizzarsi e correggersi. Anche se, naturalmente, si guarda bene dall’applicare lo stesso metodo a se stesso o alla sua organizzazione.
Il nuovo Medio Oriente non è ancora molto nuovo, ma qualcosa sta comunque accadendo.

(Da: YnetNews, 13.05.07)

Nella figura in alto: Nasrallah in una vignetta satirica libanese