La Shoà fu tedesca, ma nessuno può cancellare le atrocità dei collaboratori

Il doloroso dibattito attorno alla legge, in corso d’approvazione a Varsavia, che vorrebbe criminalizzare chi ricorda le responsabilità polacche nello sterminio degli ebrei

Josef Olmert

Scrive Josef Olmert: In un certo senso il governo polacco e la Camera bassa del parlamento di Varsavia hanno ragione: non vi furono campi di sterminio polacchi, vi furono solo campi di sterminio tedeschi in terra polacca. Se fosse solo una questione semantica, non ci sarebbe alcun problema. Nessuno può negare ciò che è ovvio: la Shoà è stata un progetto tedesco, pianificato e perpetrato dal partito nazista al potere, da tutti gli organismi ad esso subordinati, dalla burocrazia dello stato tedesco, dalla polizia tedesca, dall’esercito tedesco. Non ci sarebbe stata una Shoà se non fosse esistito lo stato tedesco noto come Terzo Reich tra il 1933 e il 1945: uno stato che andò molto al di là e al di sopra dell’antisemitismo tradizionale, noto e praticato da secoli in Europa, con lo scopo di portare l’antisemitismo alla sua estrema, logica conclusione: la distruzione totale dell’ebraismo e degli ebrei. Per tutta una serie di ragioni, la Polonia venne scelta come il territorio principale che sarebbe servito da mattatoio collettivo del popolo ebraico, ma non fu l’unico territorio utilizzato a tale scopo. Nonostante l’indignazione che suscita la nuova proposta di legge polacca che criminalizza qualsiasi menzione in pubblico delle complicità dei polacchi nello sterminio degli ebrei, la semplice verità è che la Shoà, con tutte le sue manifestazioni, fu un progetto tedesco. Non polacco, non ucraino, non lettone, lituano, ungherese, rumeno, croato, francese o di qualsiasi altra nazione che, in un modo o nell’altro, abbia partecipato o contribuito alla Shoà. L’elenco delle nazioni che hanno avuto “qualcosa” a che fare con la Shoà è lungo: va dalla Svezia, la cui presunta neutralità si tradusse in effetti in uno dei principali contributi allo sforzo bellico tedesco, fino alla stessa Gran Bretagna, che anche durante gli anni della guerra tenne chiuse le porte della Terra d’Israele, sotto il suo Mandato, impedendo così che almeno alcuni dei perseguitati potessero trovare rifugio nella storica patria del popolo ebraico, il luogo che avrebbe dovuto essere la via di fuga naturale per gli ebrei.

Questa foto di un pogrom antisemita polacco durante la Shoà potrebbe essere stata scattata a Jedwabne

Ma il problema, qui, non è solo semantico. Se è vero che la Shoà è stata un crimine nazionale tedesco, è anche tristemente vero che gli assassini tedeschi furono aiutati da altri, dentro gran parte dalle nazioni sopra ricordate, e sicuramente da molti polacchi. Sì, molti polacchi tradirono gli ebrei sapendo esattamente a cosa sarebbero andati incontro, molti polacchi erano perfettamente consapevoli di ciò che stava accadendo agli ebrei sul suolo polacco, molti polacchi volevano davvero che i tedeschi facessero ciò che gli antisemiti della Polonia sognavano da secoli: ripulire il paese dalla sua popolazione ebraica. Pochissimo aiuto venne dato dalla resistenza polacca, sia di destra che di sinistra, agli eroi del Ghetto di Varsavia in rivolta. Di più. Molti polacchi parteciparono al vero e proprio assassinio di ebrei durante la guerra, e l’esempio più famoso e imperdonabile fu il massacro di Jedwabne nel luglio del 1941, quando oltre 1.500 ebrei furono assassinati dai loro vicini polacchi (compresi i 300 ebrei chiusi in un granaio e bruciati vivi). Potremmo andare avanti a lungo, l’elenco dei crimini polacchi contro gli ebrei durante la guerra è infinito. Ma ci furono anche altri polacchi, e non pochi. Ci fu l’organizzazione Zegota, un gruppo polacco i cui membri salvarono molte vite ebraiche. Sono quasi 7.000 i polacchi riconosciuti da Israele come Giusti fra le Nazioni. Secondo alcune stime (forse troppo alte), furono 50.000 i polacchi giustiziati dai tedeschi per il “crimine” d’aver aiutato gli ebrei. Ci furono grandi eroi come Jan Karski e Irina Sendler, persone che meritano il rispetto eterno da parte degli ebrei. Ecco dove sta il problema, con la nuova legge polacca: la sensazione, che essa deliberatamente crea, che i polacchi non abbiano avuto nulla a che fare con la Shoà. E invece i polacchi hanno avuto a che fare, anche se furono solo i “passeggeri” saltati sul carro tedesco. È interesse dello stato polacco presentare al mondo un’immagine più equilibrata della situazione in Polonia durante la guerra, rifiutando giustamente il concetto di ”campi di sterminio polacchi” (la locuzione corretta, come ha detto il Congresso Mondiale Ebraico, dovrebbe essere “campi nazisti, o tedeschi, nella Polonia occupata”), ma anche riconoscendo la responsabilità per i crimini commessi da polacchi. Se questo equilibrio non si trova, oggi in Polonia, è perché un’ondata di nazionalismo sta investendo il paese, e in Polonia accade sempre che un’ondata nazionalista si accompagni a un elemento antisemita. In ogni caso, deve essere chiaro. La legge polacca nella sua forma attuale è assurda, ma la Shoà non fu un progetto polacco: fu un piano tedesco, i campi di sterminio erano tedeschi, non polacchi, e se vi furono campi di sterminio fu solo perché i tedeschi vollero che vi fossero. (Da: Times of Israel, 28.1.18)

Chaim Kozienicki

Scrive Chaim Kozienicki: Anche a 73 anni dalla guerra i polacchi, a quanto pare, erano e rimangono antisemiti. Avevo 11 anni quando scoppiò la guerra e a 12 anni entrai nel ghetto di Lodz. I polacchi denunciavano ai tedeschi chi era ebreo, additandoci volonterosamente per consegnarci ai soldati tedeschi. Una notte, stavo aspettando con mio fratello nella coda per il pane. Quando ero ormai secondo, uno dei polacchi chiamò un soldato tedesco e mi indicò, dicendo “Jude!” in tedesco. Il soldato mi tirò fuori dalla linea e mi rispedì a calci in fondo alla fila: tornai a casa senza il pane. Dal ghetto di Lodz fummo trasferiti ad Auschwitz e da lì al campo di concentramento di Stutthof, fino alla liberazione. La legge polacca in questione è assurda. I polacchi furono partner a pieno titolo dei nazisti. Come ebbe a dire l’allora primo ministro israeliano Yitzhak Shamir, i polacchi succhiavano antisemitismo con il latte materno. Anche in prima elementare ricordo i miei compagni di classe polacchi che gridavano “Ebrei fuori! Ebrei in Palestina!”. Il crimine commesso dai polacchi contro il popolo ebraico non può essere cancellato con una stupida legge. La storia racconta fatti diversi. Si impadronirono delle proprietà e degli effetti personali degli ebrei deportati e l’unica cosa che hanno restituito dopo la guerra sono le sinagoghe. I polacchi furono crudeli con gli ebrei che cercarono di tornare alle loro case. Molte volte li uccisero. E questo avvenne dopo la guerra. Più di mille ebrei furono uccisi per mano di polacchi dopo la guerra, senza nessuna attinenza coi campi di sterminio tedeschi. Ho sentito parlare per la prima volta di questa legge ridicola e demente circa un anno e mezzo dopo che l’attuale governo polacco era salito al potere. Con o senza la legge, non possono spogliarsi della responsabilità per i loro crimini: la Polonia collaborò attivamente e volentieri con i tedeschi.

Il memoriale a Jedwabne imbrattato dai ‎neonazisti polacchi‎

Oggi, come testimone vivente che racconta la propria storia agli studenti, vado spesso in Polonia e percepisco l’antisemitismo. Conosco la loro lingua, sembro uno di loro, non sanno che sono ebreo. Sento benissimo i loro accenti antisemiti. Ancora oggi mi capita di sentire la madre che sgrida il figlio dicendo: “Guarda che ti vendo agli ebrei o agli zingari”. Ma torno là, più e più volte, perché dare testimonianza è importante. A dispetto di tutti i loro sforzi per seppellire il loro passato, non possono scavalcare la storia. Solo un mese fa ero a Yad Vashem (il memoriale della Shoà a Gerusalemme) a parlare a un gruppo di colonnelli dell’esercito polacco. Ho raccontato loro, nella loro lingua, la storia della mia vita e quanto abbiamo sofferto per l’antisemitismo del loro paese, per i torti subiti. Ammettevano che era tutto vero, a capo chino. Quindi, adesso, questi colonnelli saranno incriminati? Ho pronunciato un discorso simile in Polonia, di fronte al sindaco di Lodz. Quelli che mi ascoltavano in umile silenzio verranno ora arrestati? È assurdo, perché non potranno mai cancellare gli orrori perpetrati: non potranno farlo finché dei sopravvissuti alla Shoà sono ancora vivi, e non potranno faro finché vi saranno ebrei nel mondo in grado di raccontare questa storia. (Da: Israel haYom, 28.1.18)

Eldad Beck

Scrive Eldad Beck: La Polonia ha una lunga storia di antisemitismo, tanto lunga quanto la storia degli ebrei in Polonia. L’antisemitismo vi è ancora diffuso oggi. La Polonia non sta facendo i conti come dovrebbe con il suo passato e con l’antisemitismo attuale. La Polonia aveva e ha ancora un problema con gli ebrei. Ma la Polonia non fu la responsabile della Shoà. La Shoà fu un crimine tedesco. Sì, molti europei aiutarono i tedeschi nello sforzo di annientare l’ebraismo europeo. Ma la Shoà fu concepita, pianificata e attuata dai tedeschi. In questo senso è comprensibile ipersensibilità polacca rispetto ai tentativi di trasferire la responsabilità per l’industria dei campi di sterminio dalla Germania alla Polonia. Molte furono le ragioni per cui il regime nazista decise di istituire in Polonia i più grandi campi di sterminio: le numerose comunità ebraiche che vi si trovavano, il piano di ripopolamento che richiedeva “lo sgombero di massa”, certamente anche la valutazione tedesca che l’odio polacco per gli ebrei avrebbe permesso di procedere con le uccisioni di massa senza interferenze da parte dei locali. Molti polacchi furono assassinati dai tedeschi a causa della folle dottrina nazista. Ancora più importante, si contano più Giusti fra le Nazioni (non ebrei che rischiarono la vita per salvare gli ebrei dalla Shoà) in Polonia che in qualsiasi altro paese occupato dai nazisti. Il perfido antisemitismo polacco, espresso nei pogrom perpetrati contro i i pochi ebrei rimasti dopo la Shoà e sotto il dominio comunista, e nel tentativo per lunghi anni di definire “polacchi” anziché “ebrei” coloro che furono uccisi nei campi in quanto ebrei, non deve farci dimenticare il fatto che la Germania era e sarà sempre la prima responsabile dell’esistenza dei campi di sterminio in Polonia e altrove.

Le “Marce dei vivi”, a cui partecipano ogni anno tanti giovani ebrei da Israele e da altri paesi

E’ sbagliato che le tradizionali “Marce dei vivi”, a cui partecipano ogni anno tanti giovani israeliani, non inizino in Germania: da Berlino, la capitale del Terzo Reich; da Monaco, “la capitale nazista”; da Norimberga, dove furono emanate le leggi sulla razza e dove successivamente furono processati i più alti criminali nazisti; da Dachau, il primo campo di concentramento; da Sachsenhausen, il campo dove i rappresentanti del muftì palestinese Amin al-Husseini apprendevano “come prendersi cura degli ebrei”. E’ dalla Germania che i giovani ebrei dovrebbero partire, per poi proseguire verso i campi di sterminio in Polonia e venire così a contatto con l’intero processo della Shoà, non solo con la sua tappa finale. Portare in Germania migliaia di giovani ebrei da Israele e altri paesi potrebbe essere un contributo alla Germania per fare i conti con il suo passato. Ragazzi in marcia con le bandiere israeliane attraverso le città tedesche spingerebbero i tedeschi ad affrontare l’antisemitismo e l’anti-israelismo, tuttora diffusi. Le Forze di Difesa israeliane hanno già iniziato a fare qualcosa del genere nel loro programmi “Testimoni in uniforme”. Vi sono famiglie, in Israele, che non possono permettersi di mandare i propri figli alle Marce dei vivi. Ecco dove la Germania avrebbe il dovere di intervenire per preservare la memoria del passato. Anziché incanalare denaro verso organizzazioni dedite a calunniare Israele, anziché investire somme enormi nell’Autorità Palestinese che ha dimostrato più e più volte di alimentare l’odio verso gli ebrei e lo stato ebraico, anziché investire in iniziative il cui contributo all’umanità è assai dubbio, il governo tedesco potrebbe finanziare Marce dei vivi in Germania unite a viaggi in Polonia, e incoraggiare i giovani israeliani e i giovani tedeschi a incontrarsi e parlare di ciò che li lega, e non di una fantomatica “soluzione del conflitto israelo-palestinese”. Peccato che la Germania non ci abbia pensato da sola. E porre la Shoà nel suo corretto contesto storico permetterebbe anche di affrontare meglio l’antisemitismo in Polonia. (Da: Israel HaYom, 28.1.18)