La solita repressione, il solito comodo capro espiatorio

L'ayatollah Khamenei attribuisce a Israele e Stati Uniti le proteste in Iraq e Libano. Intanto i suoi sgherri insegnano come reprimerle

Di Anna Ahronheim

Anna Ahronheim, autrice di questo articolo

La Guida Suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, incolpa Stati Uniti, Israele e alcuni paesi occidentali per le proteste in corso in Iraq e in Libano. “Il più grande colpo che i nemici possono infliggere a qualsiasi paese – ha detto Khamenei mercoledì, intervenendo a una cerimonia di diploma per cadetti militari presso l’Accademia della difesa aerea Khatam al-Anbia, a Teheran – è quello di privarlo della sicurezza, cosa che hanno iniziato a fare in alcuni paesi della nostra regione. I servizi segreti americani e occidentali, sostenuti dal denaro di alcuni paesi reazionari della regione, stanno causando tumulti per distruggere la sicurezza. Ripristinare la sicurezza va posta come priorità. Raccomando a coloro che hanno a cuore l’Iraq e il Libano di fronteggiare le rivolte e l’insicurezza innescate dall’America, dall’entità sionista [=Israele] e da alcuni paesi occidentali”.

In passato, ha aggiunto Khamenei, anche l’Iran è stato bersaglio di “cospirazioni simili”, ma è riuscito “a sventare le trame grazie alla vigilanza della nazione e alla preparazione delle sue forze armate”. Secondo Khamenei, le persone che hanno richieste giustificabili non devono comunque scendere in piazza perché questo non rientra nella “struttura legale” del paese, che ne risulta sovvertita.

Nella foto tratta dal sito ufficiale della Guida Suprema dell’Iran, ayatollah Ali Khamenei, da sinistra: Khamenei, il capo di Hezbollah Hassan Nasrallah e il comandante della Forza Quds del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie islamiche Qassem Soleimani (clicca per ingrandire)

Milioni di persone sono scese nelle strade in Iraq e in Libano, nell’ultimo mese, per protestare contro i rispettivi governi, alleati dell’Iran, e le élite politiche accusate di corruzione e pessima gestione delle finanze statali. La repressione sempre più violenta ad opera delle forze di sicurezza irachene, affiancate da cecchini mascherati, e gli attacchi di miliziani delle due forze sciite libanesi Hezbollah e Amal contro i manifestanti a Beirut hanno suscitato profonda preoccupazione circa il ruolo giocato dall’Iran nella repressione delle proteste. Oltre 250 iracheni sono stati uccisi dal fuoco di cecchini che mirano alla testa e al torace, mentre in Libano i feriti si contano a decine.

Stando a quanto riferisce la Associated Press, il comandante della Forza Quds del  Corpo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, Qassem Soleimani, è volato a Baghdad dopo lo scoppio della seconda ondata di proteste nel paese, e ha presieduto un incontro con gli ufficiali di sicurezza iracheni durante il quale ha spiegato come il regime iraniano ha saputo domare le protestate. “In Iran sappiamo come affrontare le proteste – avrebbe affermato Soleimani – Cose di questo genere sono accadute in Iran e le abbiamo messe sotto controllo”.

29 ottobre 2019: attivisti Hezbollah danno alle fiamme le tende di protesta montate dai manifestati libanesi antigovernativi nei pressi del palazzo del governo, a Beirut

Mercoledì, anche Mahmoud Vaezi, capo dello staff del presidente iraniano Hassan Rouhani, ha accusato gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita e Israele d’aver causato i disordini in Libano e in Iraq. “Il nostro consiglio – ha detti Vaezi, citato dai mass-media statali iraniani – è sempre stato quello di invocare la pace e fermare l’interferenza delle forze straniere in questi paesi”. Gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita e Israele, ha aggiunto, stanno guidando un’ondata di rivendicazioni popolari fornendo a quelle forze supporto finanziario.

(Da: Jerusalem Post, 30.10.19)

Avi Issacharoff, su Times of Israel, definisce le proteste popolari e le dimissioni del primo ministro Saad Hariri un “grave mal di testa” per gli alti papaveri di Hezbollah. “Hezbollah è a proprio agio con lo status quo e con l’attuale sistema in pieno fallimento – scrive Issacharoff – Riesce a governare il paese anche senza che i suoi membri ricoprano la carica di primo ministro o di presidente. Controlla l’esercito libanese anche se il capo di stato maggiore è un cristiano. Decide la politica estera e interna del paese, facendo leva sulla divisione inter-religiosa per mantenere il proprio potere. Una vera rivoluzione nel sistema politico libanese farebbe precipitare l’organizzazione sciita in uno scenario futuro sconosciuto, che potrebbe magari anche tornare a suo vantaggio: ma al momento il rischio è troppo elevato”. (Da: Times of Israel, 30.10.19)