La soluzione “due stati” non è un tabù indiscutibile

Leader israeliani e stranieri avrebbero il dovere di analizzare anche opzioni alternative

di Giora Eiland

Giora Eiland, autore di questo articolo

A quanto pare un governo di unità nazionale non vedrà la luce in Israele perché Tzipi Livni pensa che Benjamin Netanyahu non voglia adottare il concetto “due popoli-due stati”. Ma è proprio vero che questa sarebbe l’unica soluzione politica? Certo, questo è ciò che pensano la Livni e tanti altri un po’ in tutto il mondo. Ma non è così. Non solo non è l’unica soluzione possibile, ma forse non sarebbe nemmeno una buona soluzione, e probabilmente non è nemmeno fattibile.
Il concetto dei “due stati” si basa su una serie di postulati.
Primo postulato: che l’aspirazione nazionale primaria dei palestinesi sia avere uno stato indipendente. Ma non è vero. L’ethos palestinese si fonda su una serie di principi come la giustizia da ripristinare, la vittimizzazione da vendicare, la rivalsa e, soprattutto, il “diritto al ritorno”. È vero che i palestinesi vogliono sbarazzarsi dell’occupazione, ma è sbagliato supporre che ciò si traduca nel desiderio di avere uno stato indipendente. Preferirebbero piuttosto una soluzione “nessuno stato”, vale a dire che lo stato di Israele cessasse di esistere e che l’area tra il mar Mediterraneo e il fiume Giordano venisse spartita fra Giordania, Siria ed Egitto.
Il secondo postulato è che, se venisse creato uno stato palestinese, esso verrebbe governato dai “moderati”. Affermazione senza fondamento. È assai probabile invece che il regime in Cisgiordania e striscia di Gaza cadrebbe in breve tempo sotto il controllo di Hamas.
Il terzo postulato è che possano esistere due stati stabili e sicuri nella stretta fascia di territorio che sta tra il mar Mediterraneo e il fiume Giordano. È facile dimostrare che non è così: lo stato palestinese non potrebbe essere realmente indipendente, e Israele non potrebbe realmente difendersi.
Il quarto postulato è che Israele possa effettivamente mettere in atto un siffatto accordo, vale a dire un accordo che comporterebbe lo sgombero di centomila israeliani dalla Cisgiordania. Quand’anche ignorassimo le complicazioni politiche e sociali di una tale operazione, resta il fatto che essa costerebbe più di 30 miliardi di dollari, senza contare i miliardi in più che occorrerebbero per il rischieramento dell’esercito. È fattibile?
In breve, il massimo che i governi israeliani possono offrire ai palestinesi sopravvivendo politicamente è meno del minimo che un regime palestinese potrebbe accettare sopravvivendo politicamente.
Vi sono almeno due soluzioni alternative che potrebbero essere molto più vantaggiose, e non solo per Israele.
La prima è creare in Cisgiordania un’entità politica indipendente che faccia parte di una confederazione con la Giordania. Può sembrare sorprendente, ma vi sono sempre più voci, sia in Giordania che in Cisgiordania, che sostengono questa idea. La logica dal punto di vista dei giordani è molto semplice: se viene creato uno stato palestinese, esso sarà governato da Hamas e uno stato di Hamas confinante con la Giordania sarebbe l’inizio della fine del Regno Hashemita. Perciò sarebbe meglio che il controllo sulla sicurezza in Cisgiordania restasse in mani giordane. I palestinesi favorevoli a questa prospettiva lo sono per due ragioni: preferiscono un governo giordano a un regime di Hamas, e poi sarebbe il modo più rapido per disfarsi degli israeliani.
La seconda alternativa potrebbe essere una soluzione a livello regionale, che vedrebbe uno scambio di territori non solo fra Israele e stato palestinese, ma con il coinvolgimento anche dell’Egitto. La striscia di Gaza potrebbe essere triplicata in superficie ampliandola in territorio egiziano, e acquisirebbe in questo modo un’autentica sostenibilità economica. In cambio i palestinesi rinuncerebbero a una significativa porzione di terre in Cisgiordania, il che permetterebbe a Israele di ridurre a 30.000 i cittadini da sgomberare. Israele compenserebbe l’Egitto con terre nel sud, permettendo fra l’altro l’apertura di un corridoio di comunicazione diretta fra Egitto e Giordania a nord di Eilat.
Per tornare alla questione del nuovo governo israeliano, Netanyahu dovrebbe non limitarsi a respingere la soluzione “due stati” cercando piuttosto di convincere gli Stati Uniti ad analizzare le soluzioni alternative. Il presidente Obama parla di cambiamento: ecco un cambiamento che potrebbe introdurre nel modo con cui si è guardato finora alla situazione.

(Da: YnetNews, 5.03.09)