La soluzione giusta nel momento sbagliato

Considerando il caos che imperversa nella regione, ha senso istituire proprio ora un altro stato arabo disfunzionale a ridosso di Israele?

Di Zalman Shoval

Zalman Shoval, autore di questo articolo

Zalman Shoval, autore di questo articolo

“La bandiera nera dell’ISIS sventolerà sui territori palestinesi, se crollerà l’Autorità Palestinese del presidente Abu Mazen”. E’ l’avvertimento che ha formulato la candidata democratica alla presidenza Usa Hillary Clinton al Forum Saban della scorsa settimana. La previsione di Hillary Clinton potrebbe rivelarsi corretta, il cielo non voglia, ma non – come lei lascia intendere – a causa della mancanza di progressi nel processo diplomatico con l’Autorità Palestinese, bensì per il contrario. In altre parole: se dovesse essere irresponsabilmente istituito uno stato palestinese alla sperindio, chiudendo gli occhi sul caos che imperversa in tutto il Medio Oriente, in breve tempo tale stato verrebbe davvero invaso dall’ISIS o da qualche altro braccio terroristico della piovra jihadista globale.

La bandiera dell'ISIS issata su una torretta di guardia egiziana nel Sinai, a ridosso del confine con Israele

La bandiera dell’ISIS issata su una torretta di guardia egiziana nel Sinai, a ridosso del confine con Israele

Nientemeno che Henry Kissinger, l’ex Segretario di stato americano, si è recentemente domandato se abbia senso o sia giustificato, oggi, creare un altro stato arabo disfunzionale, considerando la condizione attuale di estrema fragilità della regione nella quale interi stati arabi rischiano di subire crolli strutturali nel mezzo dell’ascesa dell’ISIS sulla scena regionale, e con un Iran sempre più legittimato alla guida del campo terrorista sciita.

Anche Aaron Miller, che per oltre due decenni ha servito sotto varie amministrazioni americane ed è stato coinvolto in molteplici sforzi per far progredire il processo diplomatico tra Israele e palestinesi, si è recentemente chiesto sul Wall Street Journal se il mondo ha davvero bisogno, proprio adesso, di uno stato palestinese debole o fallimentare. Scrive: “Una decina di anni fa, quando ero negoziatore in Medio Oriente, anche solo porre una domanda del genere sarebbe stato considerato un atto ostile verso i sostenitori della pace o, peggio, come una forma di adulazione verso l’estrema destra e i neo-conservatori israeliani. … Ma in mezzo al caos dell’attuale Medio Oriente vale la pena rifletterci, se non altro perché ci sono diverse ragioni per essere cauti, o apertamente scettici, circa le prospettive [di uno stato palestinese]”.

Jihadisti dell'ISIS nel sud della Siria, vicini al confine con Israele

Jihadisti dell’ISIS nel sud della Siria, vicini al confine con Israele

Sia Miller che Kissinger osservano che il conflitto israelo-palestinese ha un impatto solo marginale, o addirittura nessun impatto, sulle piaghe predominanti che affliggono il Medio Oriente: una posizione che si scontra con la visione comunemente accettata in certi ambienti di Washington e in certe capitali europee. E le loro non sono le uniche voci, in America, che cominciano a dubitare della assennatezza, o della possibilità di successo, degli sforzi dell’amministrazione per arrivare a una “soluzione a due stati” il più presto possibile.

Sebbene ci siano ancora quelli che insistono a dare la colpa al governo israeliano per lo stallo diplomatico tra palestinesi e Israele attribuendolo agli insediamenti e ad altre questioni del genere, un numero crescente di persone a Washington inizia a capire che il vero ostacolo è il rifiuto palestinese anche solo di discutere i necessari compromessi su questioni quali il “diritto al ritorno”, i confini, Gerusalemme e il riconoscimento di Israele come sede nazionale del popolo ebraico. E cominciano a interiorizzare il concetto che l’intransigenza palestinese non è tattica ma strategica, e che non a caso l’approccio che prediligono non è quello della trattativa diretta, bensì quello di ricorrere alle Nazioni Unite e ad altri organismi internazionali sostenendolo con violenze sul terreno, organizzate o sporadiche.

La bandiera dell'ISIS fotografata di recente nella spianata delle Moschee, sul Monte del Tempio di Gerusalemme

La bandiera dell’ISIS fotografata di recente nella spianata delle Moschee, sul Monte del Tempio di Gerusalemme

La maggior parte dei cittadini e dei leader israeliani è disponibile alla costituzione di un’entità palestinese indipendente a condizione che avvenga in un clima regionale e locale favorevole, giacché la maggior parte dei cittadini e dei leader israeliani non vuole snaturare Israele in un unico stato bi-nazionale. Ma perché tale entità palestinese possa emergere, come ha detto il primo ministro Benjamin Netanyahu nel suo video-messaggio al Forum Saban, occorre che essa sia smilitarizzata e non possa stringere alleanze militari con stati nemici ostili, affinché non possa costituire una futura minaccia vitale per Israele e la sua popolazione.

I più recenti commenti da parte dell’amministrazione Usa sembrano alludere alla minaccia, neanche tanto velata, verso il governo israeliano secondo cui la situazione di stallo nel processo di pace renderà sempre più difficile per Washington continuare a bloccare le iniziative anti-israeliane dei palestinesi sul piano internazionale. La domanda da porsi, allora, è se il legame speciale che unisce America e Israele e gli impegni reciproci delle due parti debbano proprio dipendere da questioni e sviluppi controversi come l’urgenza o la mancanza di urgenza nel creare uno palestinese stato, in particolare alla luce della possibilità tutt’altro che remota che su di esso finisca davvero per essere issata la bandiera nera dell’ISIS.

(Da: Israel HaYom, 14.12.15)