La sopravvissuta alla Shoà che ritrova la forza dopo l’assassinio del nipote

Scampata al genocidio nazista che ha sterminato la sua famiglia, Esther Schlesinger dice che la perdita del nipote, il 18enne Dvir Sorek pugnalato a morte da terroristi palestinesi, è stata una delle esperienze più dure della sua vita

Esther Schlesinger, sopravvissuta alla Shoà, nonna di Dvir Sorek

Quando la sera di mercoledì 7 agosto è squillato il telefono in casa di Esther Schlesinger, 81 anni, sopravvissuta alla Shoà, era suo figlio Yoav Sorek che le chiedeva se il nipote Dvir fosse con lei. “Improvvisamente tutto è diventato nero”, ricorda Esther.

Il corpo del diciottenne Dvir Sorek, con ferite multiple da pugnale, è stato trovato nelle prime ore del giorno dopo sul ciglio di una strada vicino alla sua yeshiva, il seminario dove studiava nel quadro di un programma che combina gli studi della Torà con il servizio militare. Non era né armato né in uniforme. I due palestinesi accusati dell’assassinio di Sorek sono stati arrestati la notte successiva, dopo una lunga caccia all’uomo in tutta la zona.

“Dvir era un ragazzo responsabile e sapevo che se il direttore della yeshiva aveva deciso di coinvolgere Yoav nella cosa è perché si temeva che fosse accaduto qualcosa di terribile – spiega Esther – Per tutta la notte sono stata tenuta aggiornata sulle ricerche. Dopo che il corpo è stato trovato, Yoav è venuto a casa mia. Ho aperto la porta e mio figlio mi ha detto: Mamma, Dvir non è più con noi”.

Ovviamente Schlesinger è lieta che i responsabili dell’uccisione a sangue freddo di suo nipote siano stati arrestati, ma non si fa illusioni. “Sarebbe stato meglio che restassero uccisi in uno scontro a fuoco anziché catturati vivi, perché purtroppo questo arresto è temporaneo. Dio non voglia che un giorno vengano scarcerati – dice, facendo riferimento alle volte in cui Israele ha dovuto rilasciare molti terroristi per ottenere la liberazione di ostaggi – Ma non voglio più parlare degli assassini”.

Dvir Sorek, assassinato da terroristi palestinesi il 7 agosto scorso

Due settimane prima della sua morte, Dvir aveva scritto a sua nonna una lettera amorevole e intensa in cui le diceva, fra l’altro, di “sentirsi amato”. “È proprio lui. Sapeva essere molto affettuoso”, dice Esther.

Questa non è la prima volta che la tragedia colpisce la famiglia dell’ungherese Esther Schlesinger, che perse la madre e quattro fratelli nella Shoà. Lei stessa venne colpita alla testa e lasciata gravemente ferita, quando si nascondeva dai nazisti durante la guerra. “Stavamo nascosti in un grande edificio – racconta la sopravvissuta 81enne – I tedeschi capirono che c’erano degli ebrei, fecero irruzione nell’edificio, trascinarono tutti giù per le scale e poi cominciarono semplicemente a sparare alle persone, come in un film. Alcuni morirono sul posto, altri rimasero feriti. A me arrivò un proiettile nella testa”. I nazisti caricarono i corpi di morti e feriti su un carro e Ester si ritrovò a lottare per sopravvivere in mezzo a quei corpi, coperta di sangue. “L’autista del carro – continua Esther – si fermò in un bar locale e un’altra persona che non avevo mai incontrato prima si avvicinò al carro e mise una mano nel mucchio di corpi, rendendosi conto che c’era qualcuno vivo. ‘Non morire ragazzina, cerca solo di non morire’, mi disse. Poi, insieme a un’altra persona, riuscirono a trafugarmi in un edificio che era stato trasformato in un ospedale improvvisato, dove tolsero il proiettile dalla testa. Ricordo che esclamavano: ‘due millimetri’, cioè che il proiettile era a soli due millimetri dal cervello. Mi hanno salvato la vita”.

Esther Schlesinger con la sua famiglia, tra cui il compianto Dvir Sorek

Nel 1946 Esther  immigrò in Israele con suo padre, sopravvissuto alla Shoà. La loro famiglia visse nella città di Petah Tikva fino a circa vent’anni fa, quando decisero di trasferirsi a Gush Etzion, un gruppo di comunità israeliane poco a sud di Gerusalemme distrutte dalla Legione Araba giordana nel 1948 e ricostituite dopo il 1967. La sua famiglia è stata anche colpita dall’ondata di attacchi terroristici degli anni ’90, quando il fratellastro di Esther, Shaya Deutsch, venne pugnalato a morte nel 1993 mentre lavorava nella sua serra a Kfar Yam (un piccolo insediamento israeliano nella striscia di Gaza, poi sgomberato con il piano di disimpegno del 2005). Venne assassinato da un lavoratore palestinese che Shaya Deutsch intendeva allontanare perché sospettava che fosse implicato coi terroristi. “L’operaio lo uccise perché voleva dimostrare al suo clan famigliare che non ‘amava ebrei’. Fu terribile”, ricorda Esther.

Nonostante tutto quello che ha passato, nonna Esther afferma che perdere il nipote adolescente è stata una delle esperienze più dure della sua vita: “In un mondo senza Dvir, siamo tutti perdenti”, dice. Eppure, la perdita di un nipote tanto amato non ha minato il suo amore per la vita. Al contrario, ora sente più che mai di avere un ruolo importante da svolgere nella sua famiglia. “Mi ha fatto pensare a come, in quanto nonna, voglio assicurarmi che tutta la famiglia, a cominciare dai fratelli di Dvir, Yoav e Racheli, continui a vivere e sorridere, senza diventare il memoriale vivente di Dvir – conclude Esther – Il mio compito è prendermi cura di loro”.

(Da: YnetNews, 12.8.19)

L’ultimo libro pubblicato da David Grossman (Ed. Hakibbutz Hameuchad, 2019)

Coloro che erano vicini a Dvir Sorek lo hanno descritto come un giovane unico. “Una persona integra, un poeta, un musicista che aveva un rapporto speciale con la natura”, dice uno dei suoi amici dell’insediamento di Ofra, dove viveva. Questo è forse il motivo per cui Dvir aveva scelto di fare un insolito regalo d’addio ai suoi insegnanti del seminario religioso che aveva frequentato: invece delle scritture ebraiche, aveva comprato per loro libri di letteratura ebraica moderna, tra cui l’ultimo libro di David Grossman, un autore famoso in tutto il mondo per le sue posizione contrarie agli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Quando è stato trovato il suo corpo accoltellato a morte, Dvir Sorek stringeva ancora fra le mani quei libri che stava portando da Gerusalemme ai suoi rabbini. Uno di questi era appunto “La vita gioca molto con me” (Iti ha-chayim mesachek harbeh), l’ultimo romanzo di Grossman. Sui social network le ultime scelte letterarie di Sorek sono state percepite come un potente simbolo di unità in un paese profondamente diviso sulla questione degli insediamenti e sul ruolo della religione nella società. Il giovane, fra l’altro, aveva anche preso parte a iniziative di un’associazione formata da ebrei ortodossi e attivisti palestinesi. Gossman ha voluto saperne di più. “Non conoscevo Dvir Sorek – ha detto lo scrittore, dopo aver ascoltato i famigliari e gli amici – Ma da quello che ho sentito era un ragazzo estremamente umano, sensibile, con un’anima d’artista, che amava l’umanità e amava la pace. Sono vicino ai suoi genitori, alla sua famiglia e a tutti i suoi cari. So per esperienza che li aspetta una strada difficile da percorrere”. Grossman ha perduto suo figlio Uri mentre combatteva contro Hezbollah in Libano nel 2006. “E so che un ragazzo così speciale come Dvir, così unico, illuminerà il loro cammino mentre piangono la sua perdita”. Ha concluso Grossman: “L’immagine di lui che abbraccia il mio libro mi spezza il cuore”.
(Da: Jerusalem Post, YnetNews, 12-13.8.19)