L’insolente ipocrisia di re Abdullah sui cristiani a Gerusalemme

Israele è l’unico paese di tutto il Medio Oriente (Giordania compresa) in cui i cristiani sono tutelati e aumentano di numero. Affermare il contrario è una calunnia molto pericolosa

Editoriale del Jerusalem Post

Re Abdullah II di Giordania durante il suo discorso all’Assemblea Generale dell’Onu lo scorso 20 settembre

Il primo ministro israeliano Yair Lapid ha incontrato martedì il re di Giordania Abdullah II a margine della riunione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, dopodiché ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che l’incontro rappresenta un rafforzamento dei legami israelo-giordani. Questa è la notizia buona.

Le relazioni con la Giordania sono strategicamente importanti sia per Israele che per la Giordania e incontri come questo non possono che contribuire a migliorare le comunicazioni e favorire legami più stretti. È positivo che i legami con Amman, che si erano raffreddati durante l’ultimo mandato di Benjamin Netanyahu, si stiano di nuovo rafforzando. Uno sviluppo da plaudire.

La notizia cattiva è che, poco prima di quell’incontro, parlando all’Assemblea delle Nazioni Unite re Abdullah ha mentito e ha calunniato lo stato ebraico affermando che la cristianità è sotto attacco a Gerusalemme. “Nella nostra qualità di custodi dei luoghi santi musulmani e cristiani di Gerusalemme – ha affermato Abdullah – siamo impegnati a proteggere il loro status quo storico e giuridico, la loro sicurezza e il loro futuro. E come leader musulmano – ha continuato – lasciatemi dire chiaramente che siamo impegnati a difendere i diritti, il prezioso patrimonio e l’identità storica del popolo cristiano della nostra regione. In nessun luogo è più importante che a Gerusalemme”. La cristianità nella Città Santa è “sotto tiro”, ha proclamato il re giordano: “I diritti delle Chiese a Gerusalemme sono minacciati. Questo non può continuare. La cristianità è vitale per il passato e il presente della nostra regione e della Terra Santa. Deve rimanere parte integrante del nostro futuro”.

C’è da restare senza parole. La cristianità sta arretrando in tutto il Medio Oriente. Le antiche comunità cristiane in Iraq, Siria, Turchia, Egitto, Gaza e – sì – anche a Betlemme (sotto Autorità Palestinese ndr) si vanno continuamente riducendo.

Cristiani, ebrei e musulmani in Via Giaffa, a Gerusalemme

Tre anni fa il Ministro degli esteri britannico ha commissionato un rapporto la cui conclusione era che in Medio Oriente è in atto una diffusa persecuzione dei cristiani, che a tratti sconfina nel genocidio e che provoca un massiccio esodo dei cristiani dalla regione. C’è un solo stato in tutta la regione in cui la comunità cristiana sta invece aumentando: Israele. Eppure è proprio e solo Israele il paese che re Abdullah ha scelto di prendere di mira, additandolo come il luogo dove la cristianità sarebbe sotto tiro.

Siamo di fronte a un caso di inarrivabile impudenza, per due ragioni principali.

Primo, perché il re giordano sa che quello che ha detto è semplicemente falso, e che Israele tutela scrupolosamente i diritti delle Chiese a Gerusalemme, così come la libertà di culto per i cristiani in tutta la città (e in tutto il paese). E sicuramente è al corrente del fatto che, mentre la comunità cristiana in Giordania sta diminuendo, è solo al di qua del fiume Giordano – in Israele – che sta crescendo.

In secondo luogo, re Abdullah imbroglia quando si presenta come una sorta di custode della libertà religiosa, se si considera che i funzionari giordani al confine con Israele impediscono regolarmente agli ebrei che entrano in Giordania di portare con sé gli oggetti religiosi di cui hanno bisogno per la pratica rituale quotidiana, come talled (scialle di preghiera) e tefillin (filatteri). Proprio la scorsa settimana il Jerusalem Post ha riferito il caso di funzionari di frontiera giordani che hanno impedito a due ebrei con passaporto statunitense, che transitavano in Giordania per recarsi in Arabia Saudita, di portare con sé nel regno hascemita i loro talled e tefillin, e hanno persino controllato sotto i loro berretti per accertarsi – Dio non voglia – che non indossassero la kippà. Eppure re Abdullah ritiene di poter fare la paternale a Israele in fatto di libertà religiosa.

Ma al di là della insolente sfacciataggine, c’è qualcos’altro di molto problematico nelle parole di re Abdullah. In un momento in cui le tensioni a Gerusalemme sono alle stelle, alla vigilia di Rosh Hashanà e delle festività ebraiche, i leader responsabili e di buona volontà tra i cui ranghi re Abdullah ama essere annoverato dovrebbero fare di tutto per abbassare la temperatura, non alzarla artificialmente. Invece, accusando ingiustamente Israele di minacciare la cristianità a Gerusalemme, re Abdullah fa proprio questo. Ascoltandolo, si potrebbe concludere che sotto il controllo israeliano non solo è in pericolo la moschea di al-Aqsa, come i Fratelli Musulmani vorrebbero far credere a tutti, ma che è sotto assedio anche la cristianità.

Nulla di tutto questo è stato menzionato, comprensibilmente, nella breve dichiarazione che Lapid ha rilasciato dopo l’incontro con re Abdullah. Il primo ministro israeliano cercava di migliorare, non di danneggiare, il clima tra Israele e Giordania. Tuttavia ci auguriamo vivamente che, a quattr’occhi, Lapid abbia ammonito re Abdullah per le sue infamanti dichiarazioni e lo abbia esortato a soppesare attentamente le sue parole riguardo a Gerusalemme, soprattutto in un momento di crescente tensione. Migliorare l’atmosfera tra Gerusalemme e Amman è nell’interesse dei giordani tanto quanto degli israeliani. Speriamo che Lapid lo abbia messo bene in chiaro.

(Da: Jerusalem Post, 22.9.22)