La svolta a destra che non c’è

Il vero test sulla direzione di Israele sarà la coalizione che verosimilmente Netanyahu andrà a formare.

Di Gil Hoffman

image_3641Centinaia di giornalisti da tutto il mondo hanno iniziato ad arrivare in Israele per le elezioni di martedì. Stando a quanto riportato finora, la stampa internazionale paracadutata qui cercherà in tutti i modi di intervistare il leader di Bayit Yehudi (Casa Ebraica), Naftali Bennett, col proposito di descrivere le elezioni israeliane in generale, e il successo di Bennet e del primo ministro uscente Benjamin Netanyahu in particolare, come una chiara indicazione che Israele si è spostato a destra. Eppure un’analisi più esatta della competizione indica che queste impressioni superficiali non corrispondono alla realtà.
Tanto per cominciare, il successo di Bennett nel far crescere Bayit Yehudi dai 3 ai 13 seggi che gli vengono attribuiti negli ultimi sondaggi (come lo Smith Research/Jerusalem Post di venerdì scorso) nasce dal fatto che egli è riuscito a mobilitare molti voti di elettori di centro propensi all’astensione e di giovani al primo voto.
I nuovi sostenitori di Bayit Yehudi non appoggiano il partito per la sua posizione intransigente sui palestinesi o sul destino dei territori di Giudea e Samaria (Cisgiordania). Bennett, ben consigliato dal suo stratega, s’è fatto un punto di non parlare dei palestinesi, che non sono mai stato un tema centrale della sua campagna elettorale; né degli insediamenti, che ne sono diventati un tema solo quando Netanyahu ha cercato di usare alcune frasi di Bennett sulla Cisgiordania per tentare di strappargli dei voti. I nuovi sostenitori di Bennett appoggiano Bayit Yehudi perché il leader è carismatico, è un giovane diventato milionario con l’hi-tech, ha prestato servizio nell’unità d’elite Sayeret Matkal, parla lo slang ebraico della strada e sa come rapportarsi con gli israeliani di diverse estrazioni. Se negli Stati Uniti il simbolo nazionale è la torta di mele, l’equivalente oggi in Israele è dato dall’hi-tech e dalle unità speciali Sayeret Matkal.
Benché ci si attenda che Netanyahu vinca con facilità questa tornata elettorale, la sua lista Likud-Bitenu è considerevolmente calata nei sondaggi. Il blocco delle formazioni di destra rimarrebbe complessivamente attorno ai 65 seggi che aveva già ottenuto nelle precedenti elezioni, senza riuscire a strappare voti al frammentato centro-sinistra. Durante la campagna elettorale c’è stata una guerra nella striscia di Gaza, che inevitabilmente ha creato un effetto patriottico del tipo “tutti stretti attorno alla bandiera”, che a sua volta avrebbe ben potuto spostare a destra molti israeliani. Prima della guerra c’erano state centinaia di razzi lanciati sui civili israeliani, mentre il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) da quattro anni si rifiuta di sedere al tavolo dei negoziati con Israele. Anche questo comprensibilmente avrebbe potuto rendere gli israeliani più “falchi”, ma i sondaggi indicano che non è così. Dunque, il modo in cui la stampa estera dovrebbe sintetizzare l’andamento sinora di queste elezioni è che, a quanto pare, contro ogni previsione, l’elettorato israeliano non si sta spostando massicciamente a destra.
Ma il vero test sulla direzione che prenderà Israele sarà la coalizione che verosimilmente Netanyahu andrà a formare. A differenza della volta scorsa quando aveva formato una coalizione con un partito del centro-sinistra e quattro partiti di destra, dopo queste elezioni si prevede che Netanyahu intenda formare un governo con due partiti del centro-sinistra, molto probabilmente Yesh Atid e Kadima. La coalizione uscente aveva cinque seggi da sinistra, la prossima potrebbe averne 15. Se andrà così, i giornalisti della stampa estera dovranno farsi precipitosamente ri-paracadutare in Israele per spiegare ai loro lettori com’è che Israele alla fine non si è spostato a destra, e come mai i loro precedenti reportage erano così sbagliati.

(Da: Jerusalem Post, 18.1.13)

Nella foto in alto: Gil Hoffman, autore di questo articolo