La tragedia della ‘intra-fada

Dal 1993 al 2003, il 16% dei morti civili palestinesi è stato vittima di gruppi o di singoli palestinesi.

Da un rapporto del Gruppo palestinese per i diritti umani

image_194Nell’aprile 2004 il Gruppo palestinese di controllo per i diritti umani (Palestinian Human Rights Monitoring Group), diretto dall’attivista Basem ‘Eid, ha pubblicato un rapporto su “Intra’fada ovvero Il caos delle armi”, come i palestinesi chiamano la situazione dominante nelle aree dell’Autorità Palestinese (AP). In questo rapporto si descrive il proliferare del possesso di armi fra i palestinesi durante l’attuale Intifada Al Aqsa e le conseguenze per la società palestinese e la situazione politica interna nelle zone dell’AP.
Riportiamo un sunto dei punti principali del rapporto.

Contesto storico per capire la detenzione e l’uso delle armi nella società palestinese

Il rapporto esamina le radici storiche dell’accresciuto uso di armi, i fattori della violenza interna alla società palestinese, e tratta delle sue divisioni dovute a influenze culturali e religiose oltre alle sue diverse correnti ideologiche.
Fra i fattori storici che hanno modellato la società palestinese, il rapporto annovera la morte del presidente egiziano Gamal Abdel Nasser (1970) e la sua visione della Repubblica Araba Unita, nonché l’incapacità degli stati arabi di sostenere le rivendicazioni palestinesi sulla loro terra. Tali fattori portarono gruppi palestinesi quali i feddayin a cercare di prendere in mano la situazione.
Un altro fattore storico, che ha portato al nascere di un’ampia gamma di gruppi politici armati, è stata la dispersione palestinese nei paesi arabi. Il pensiero politico, l’organizzazione e l’ideologia dei vari gruppi furono influenzati dal sistema politico prevalente nei diversi paesi ospitanti. Anche il socialismo ebbe un ruolo nell’ostacolare la formazione di un’unica visione politica. Per questa ragione, in particolare dopo il 1967, i gruppi palestinesi non poterono riflettere una politica comune. Ogni gruppo aveva un certo numero di correnti politiche che sostenevano forze combattenti autonome e premevano per adottare mezzi, modi d’azione e scopi diversi.

Il processo di pace e l’aumentato acquisto di armi nella società palestinese

Il rapporto rileva che, sebbene la prima Intifada sembrasse portare all’unità fra i vari gruppi palestinesi, col progredire dei colloqui di pace riemersero le divisioni interne. Negli anni degli accordi di Oslo, cominciarono ad affluire nelle città palestinesi grandi quantità di armi e aumentarono le lotte interne fra le varie fazioni.

La società palestinese e la spirale della violenza interna

Il rapporto osserva che riducendo il conflitto mediorientale al mero conflitto israelo-palestinese si trascurano tutte le sfumature, né d’altra parte si può attribuire unicamente al conflitto israelo-palestinese la tragedia della spirale di violenze intestine. Solo l’esame delle interazioni in seno alla società palestinese e la conoscenza dei contrasti e degli scontri fra correnti, clan e fazioni politiche può dare una visione approfondita di questa società. Questo perché durante l’Intifada Al Aqsa queste divisioni hanno portato allo sviluppo e all’escalation di quello che l’autore del rapporto chiama ‘Intra’fada’. In questo contesto il rapporto sottolinea che, ad esempio, dal 1993 al 2003, il 16% dei morti civili palestinesi è stato vittima di gruppi o di singoli palestinesi.

L’Autorità Palestinese e la violenza interna

Il rapporto sostiene che la detenzione di armi da parte dei palestinesi è stata legittimata in quanto simbolo della resistenza all’occupazione. Ma alla luce della situazione nell’AP, dell’assenza di stato di diritto e dell’incapacità dell’Autorità a controllare e regolare il possesso e l’uso delle armi, la gente si è procurata armi per difesa personale, per salvaguardare l’onore della famiglia e regolare i propri affari o altre faccende. Inoltre, dice sempre il rapporto, per via degli scandali e degli errori che hanno afflitto l’AP ed eroso la sua credibilità, ogni tentativo di requisire le armi, come richiesto dagli accordi di pace, porterebbe alla sua fine. Pertanto l’AP fermamente rifiuta di intraprendere ogni azione in questo senso.
In questa situazione, dice il rapporto, nelle città palestinesi domina una quasi-anarchia. La mancanza di un unico potere centrale che regoli l’uso della forza, il carattere quasi statuale dell’Autorità Palestinese e l’incapacità della classe governante di definire i suoi obiettivi, tutto ciò contribuisce a far crescere l’incertezza fra la popolazione e a lasciare un vuoto destinato a essere occupato da fonti di potere alternative.
Il rapporto sottolinea l’importanza di una molteplicità di fattori connessi all’AP che creano l’anarchia al suo interno: l’assenza di istituzioni statuali fondamentali, la mancanza di una chiara definizione dei ruoli e delle aree di responsabilità dei poteri esecutivo e giudiziario, le inadempienze del sistema giudiziario, l’assenza di sforzi per definire regole e procedure, la confusione fra potere esecutivo e corpi giudiziari e la limitata portata del sistema giudiziario. Tutto ciò lascia campo aperto all’abuso di potere da parte di singoli individui e di fazioni che di faanno giustizia da sè.
Un altro fattore importante è la proliferazione di corpi di sicurezza e di polizia separati e indipendenti, le cui responsabilità sono non ben definite o sovrapposte. Ciò contribuisce a una crescente confusione e porta a scontri verbali e fisici. Queste tensioni interne a volte vengono persino incoraggiate da funzionari dell’AP che cercano di rafforzare la propria posizione e che non di rado sovvenzionano anche bande e milizie locali. Il rapporto cita le parole di un funzionario dell’AP, secondo il quale il 90% dell’anarchia malavitosa è organizzata da gente sul libro paga dell’AP.
Il rapporto rileva che queste bande sfruttano la mancanza di contiguità territoriale fra cittadine e villaggi palestinesi, oltre alle restrizioni alla libertà di movimento dei residenti, riuscendo a ispirare terrore, a creare anarchia e caos in alcune città palestinesi, come ad esempio a Nablus.
Il rapporto ricapitola quello che i palestinesi chiamano “il caos delle armi” nell’area dell’Autorità, che ha aggiunto ulteriori militarizzazione e violenza alla seconda Intifada, sia al suo interno sia nella società palestinese.
Ciò non è senza conseguenze su privati cittadini, membri di clan rivali, concorrenti in affari, donne, sospetti collaborazionisti con Israele, giornalisti e persino funzionari dell’AP.

(Da: www.memri.org, 9.05.04)