La vittoria dei giovani, il potere dei militari, la rabbia degli islamisti

La lotta di potere in Egitto non prevede né primavere né vera democrazia.

Alcuni commenti dalla stampa israeliana

image_3776Scrive Dan Margalit su Israel HaYom: «E’ ufficiale. In Egitto, il capo di stato maggiore Abdel-Fattah el-Sissi ha deposto il presidente Mohammed Morsi. Un’altra rivoluzione che entra nei libri di storia. Sessantuno anni fa, sempre in luglio, Muhammad Naguib e Gamal Abdel Nasser guidavano il golpe dei “liberi ufficiali” che spodestarono re Farouk mandandolo in esilio». Continua l’editorialista: «Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha contribuito attivamente al miraggio di una democrazia egiziana sotto i Fratelli Musulmani. Obama aveva dato il suo sostegno a Morsi, accantonando le notizie di brogli elettorali, perché era convinto che la voce dei Fratelli Musulmani fosse la voce della strada. Ma il fallimento della Fratellanza Musulmana era inevitabile: non aveva nulla di concreto da offrire alle decine di milioni di egiziani affamati e disoccupati e a quelli che, nonostante il loro curriculum di studi, vagabondano per le strade senza scopo. La cacciata di Morsi ha infranto la speranza romantica che vi fosse qualcuno all’interno dei Fratelli Musulmani con cui si potesse lavorare. Sul piano regionale, negli ultimi anni la Fratellanza Musulmana aveva fatto enormi passi avanti. I regimi cadevano uno dopo l’altro, e la Fratellanza riempiva il vuoto. Ogni vittoria li spingeva alla vittoria successiva. Tra i paesi coinvolti, l’Egitto era il più importante. Se è stato possibile annullare le conquiste dei Fratelli Musulmani al Cairo, allora forse è possibile anche in altri paesi arabi, uno dopo l’altro. Come si dice in arabo, inshallah (se Dio vuole)».
(Da: Israel HaYom, 4.7.13)

Scrive Ariel Ben Solomon, sul Jerusalem Post: «Tempo scaduto: la Fratellanza Musulmana è stata rimossa dal potere. Questo significa che la “primavera araba” è finita? Che stiamo assistendo a un ritorno al modello delle dittature nazionaliste militari come quella dell’ex presidente Hosni Mubarak? Due anni fa il mondo era in estasi per la sua caduta; ora si sprecano le lodi per il ritorno del regime militare. Ma cosa succederà se, dopo il colpo di stato, l’economia andrà a pezzi e i Fratelli Musulmani porteranno di nuovo i loro sostenitori in piazza Tahrir? Secondo David P. Goldman, sul sito PJ Media, siamo prossimi allo scenario peggiore: “Caos politico, violenza nelle strade, completa cessazione del turismo, collasso economico”. Goldman cita dati del 2011 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità secondo cui circa il 20% degli egiziani soffre di malnutrizione. La spirale del disastro economico, combinata con quella che potrebbe essere una lotta dei Fratelli Musulmani contro i militari, forse con terrorismo, guerriglia urbana, omicidi e proteste di massa, può essere difficile da gestire anche con eventuali miliardi di aiuti dall’estero. Il Qatar aveva dato al regime di Morsi cinque miliardi dollari e sono serviti solo a guadagnare un po’ di tempo. “Non ho mai creduto nella primavera araba” dice Max Singer, del Begin-Sadat Center for Strategic Studies, che quindi non vede nessun capovolgimento. La Fratellanza Musulmana, spiega, rigetta la democrazia giacché, ad esempio, non crede nella libertà di parola e nella libertà di associazione. La democrazia non significa solo tenere un’elezione. “I Fratelli Musulmani sono sotto shock – dice Zvi Mazel, ex ambasciatore d’Israele in Egitto – non riescono a capacitarsi. Ma col tempo gli islamisti si riprenderanno e potranno esservi violenze. Sin d’ora hanno iniziato a progettare la lotta per tornare al potere”. Secondo Singer, “Israele ed Egitto stanno meglio con l’esercito e coi laici democratici che con gli islamisti. Non è che non vi saranno problemi – dice – ma gli islamisti sono un nemico più pericoloso”».
(Da: Jerusalem Post, 4.7.13)

Scrive Meir Javedanfar, su Times of Israel: «Il rovesciamento di Morsi ad opera dell’esercito potrebbe essere uno dei più grandi errori commessi in Egitto nella storia della rivoluzione post-2011. Durante il suo mandato come presidente, Morsi ha commesso un sacco di errori, su questo non c’è alcun dubbio. Ha anche cercato di sfidare la democrazia egiziana appena nata attribuendosi maggiori poteri. Ma, come ha ben sintetizzato su Facebook il mio amico Daniel Brumberg, della Georgetown University, “se si vuole screditare una volta per tutte l’islamismo autoritario, bisogna sconfiggerlo alle urne. Un pronunciamento militare, anche se sostenuto dalla piazza, non avrà mai l’impatto duraturo di una sconfitta elettorale, e lascerà sempre l’impressione che i sostenitori dell’intervento hanno paura di non poter vincere le elezioni. Attenzione all’effetto boomerang!”. Non dimentichiamo che Morsi è vicino ai Fratelli Musulmani i quali, se vengono cacciati dal potere coi fucili anziché col voto, potrebbero passare alle armi per cercare di recuperare la posizione perduta. Potrebbero adottare lo slogan: “Quello che ci è stato tolto con la forza sarà ripreso solo con la forza”. Il che potrebbe destabilizzare l’Egitto e l’intera regione. E poi, non vogliamo tutti la democrazia per l’Egitto? Ebbene, da quando in qua è democratico rovesciare con la forza i dirigenti eletti?
In altre parole, dobbiamo porci la domanda: rovesciare Morsi con la forza non trasformerà l’Egitto del 2013 nell’Algeria del 1992?».
(Da: Times of Israel, 4.7.13)

Scrive Daniel Pipes, su Israel HaYom: «Il rovesciamento di Mohammed Morsi in Egitto mi rallegra e mi preoccupa allo stesso tempo. Mi rallegra, perché quella che probabilmente è stata la più grande manifestazione politica della storia ha sradicato gli arroganti islamisti egiziani, che governavano nel disprezzo quasi totale per qualunque cosa che non fosse consolidare il loro potere. L’islamismo, vale a dire l’impulso a imporre una legislazione islamica medievale, ha registrato un rigetto senza precedenti. I governi occidentali (in particolare l’amministrazione Obama) che pensavano d’essersi schierati dalla parte della storia aiutando il regime dei Fratelli Musulmani, si trovano giustamente in imbarazzo. Ma mi preoccupa il fatto che la rapida estromissione militare del governo dei Fratelli Musulmani possa scatenare gli islamisti. L’Egitto è un caos. I rapporti fra pro- e anti-Fratellanza sono già diventati violenti e minacciano di degenerare. Dei cristiani copti e musulmani sciiti sono stati uccisi per la loro identità. La penisola del Sinai è nell’anarchia. La dirigenza militare incompetente e avida che governò infelicemente l’Egitto da dietro le quinte negli anni fra il 1952 e il 2012, è tornata in carica. E poi ci sono i problemi peggiori, quelli economici». «In breve – conclude l’editorialista – la mia soddisfazione per la partenza di Morsi è più che compensata dal timore che la lezione del suo malgoverno non venga veramente appresa».
(Da: Israel HaYom, 4.7.13)

Scrivono Hamza Hendawi e Lee Keath, su Times of Israel: «L’Egitto era la chiave di volta della corsa al potere del movimento islamista, nella travolgente ondata delle rivolte nel mondo arabo. Vincendo in Egitto un’elezione dopo l’altra, gli islamisti si erano impegnati a dimostrare di saper governare e attuare efficacemente la loro visione dell’islam politico, e stando alle regole del gioco democratico. Mohammed Morsi era il loro pilastro: il veterano dei Fratelli Musulmani, che è il più antico e prestigioso dei gruppi islamisti della regione, era diventato il primo presidente dell’Egitto democraticamente eletto. È questo che rende la sua cacciata – dopo appena un anno in carica e con un gigantesca porzione trasversale della popolazione egiziana che ne chiedeva l’estromissione – un colpo devastante per gli islamisti, e non solo in Egitto ma in tutta la tumultuosa regione. Morsi, la Fratellanza e i loro alleati dicono d’aver giocato secondo le regole della democrazia, col risultato d’essere stati cacciati da avversari che, non potendoli battere alle urne, si sono rivolti ai militari. La lezione che può trarne la frangia islamista più estrema è che la democrazia, che già di per sé molti di loro considerano “kufr” (eresia), è un gioco truccato e che la violenza è l’unico mezzo per realizzare il loro sogno di uno stato islamico. Ma i milioni di egiziani che hanno marciato nelle strade contro Morsi si erano convinti che gli islamisti stavano usando le vittorie alle urne per concentrare il potere nelle mani dei Fratelli Musulmani ben al di là del loro mandato, e che trattavano il paese come se avesse accettato il loro “progetto islamico”. Peggio, per molti dei manifestanti gli islamisti semplicemente non hanno fatto nulla per rimediare ai tanti e sempre peggiori guai di cui soffre l’Egitto. Si tratta di una grave battuta d’arresto per i sogni islamisti, che mette in dubbio l’argomento da loro usato in tutta la regione: che l’islam politico è il rimedio a tutti i mali della società. Il danno al loro prestigio riverbera dalla striscia di Gaza, controllata da Hamas che vedeva in Morsi un forte alleato, alla Tunisia, dove è al potere un ramo della Fratellanza, sino alla Libia e alla Siria, dove gli islamisti combattono per prendere il potere. Come ha detto Michael W. Hanna, della Century Foundation di New York, “la disastrosa performance di Morsi nella sua breve permanenza in carica sembra il manuale di come non si governa e non si guida un paese”».
(Da: Times of Israel. 4.7.13)

Osserva Avi Issacharoff, su Times of Israel, che «diverse importanti figure del sistema politico egiziano sedevano accanto al generale Abdel Fattah al-Sisi mentre proclamava, mercoledì sera, la destituzione di Morsi. Fra queste, l’ex capo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (e aspirante presidente) Mohamed ElBaradei, il papa copto Tawadros II, il presidente dell’università Al-Azhar, Ahmed el-Tayeb. Ma alla sinistra di al-Sisi, e un po’ dietro, sedeva un giovane con gli occhiali e i capelli lunghi: l’uomo a cui il capo delle forze armate deve la presa del potere. Si tratta di Mahmoud al-Aziz, il rappresentante di Tamarod (ribellione), un gruppo di opposizione che ha iniziato a operare solo due mesi fa (raccogliendo i famosi 22 milioni di firme per le dimissioni di Morsi). Tamarod è riuscito dove i politici dell’opposizione avevano da tempo fallito, e ha guidato le proteste di dimensioni senza precedenti che alla fine hanno portato all’estromissione di Morsi». In questo senso, secondo l’editorialista, è stata «una vittoria per i giovani rivoluzionari, ma non per la democrazia. La breve presidenza di Morsi sottolinea, nel caso qualcuno avesse ancora qualche dubbio, che lo svolgimento di una tornata di elezioni non costituisce di per sé la transizione verso una vera democrazia». Osserva poi Avi Issacharoff che «per Hamas, le notizie dal Cairo di mercoledì sera sono particolarmente infelici. Il movimento islamista palestinese perde il suo più vicino alleato, che gli garantiva vitale sostegno politico. I Fratelli Musulmani, che sono l’organizzazione-madre di Hamas e per molti versi il suo “padrino”, hanno perso il potere a favore di un establishment militare che è ostile agli obiettivi degli islamisti palestinesi. Hamas, che nel corso dell’ultimo anno ha rotto con il regime siriano ed è in cattive acque con l’Iran, si ritrova ora quasi isolata nella sfera araba. Forse la nuova realtà in cui si viene a trovare costringerà una Hamas indebolita a concludere la sua riconciliazione con Fatah».
(Da: Times of Israel, 4.7.13)