La vittoria di Pirro dei palestinesi alle Nazioni Unite

La geografia del voto all’Assemblea Generale dimostra che le risoluzioni anti-israeliane hanno il sostegno di meno della metà dei paesi membri, e di pochi paesi democratici

Di Herb Keinon

Herb Keinon, autore di questo articolo

Dimentichiamo per un momento il significato a lungo termine e le potenziali ramificazioni dell’ultima decisione delle Nazioni Unite di deferire alla Corte Internazionale di Giustizia “l’occupazione, l’insediamento e l’annessione del territorio palestinese” da parte di Israele per un parere consultivo. Era del tutto chiaro che, una volta portata al voto in Assemblea Generale, la risoluzione sarebbe stata approvata. L’unico interrogativo era quanto sarebbe stato ampio il margine. Per la maggior parte degli israeliani, tutte queste risoluzioni pregiudizialmente anti-israeliane approvate in modo automatico appaino sempre uguali a se stesse e tendono a svanire nella generica foschia del “le Nazioni Unite sono sempre contro di noi”. Tuttavia, ciò che è interessante nella votazione che ha avuto luogo venerdì scorso – che Israele ha perso e i palestinesi hanno vinto con 87 voti a favore, 26 contrari, 53 astensioni e 27 non votanti – è che essa fornisce un’istantanea di quali sono i paesi che, in questo particolare momento, non si schierano contro Israele nell’arena internazionale.

Cos’è che determina se un paese è più o meno amichevole verso Israele? L’Azerbaigian, ad esempio, è un paese musulmano sciita con cui Israele è in buoni rapporti diplomatici e che ha appena deciso di aprire un’ambasciata a Tel Aviv, per non dire che è anche un buon acquirente dell’industria della difesa israeliana. Eppure in questa occasione ha votato contro Israele. Vi possono essere varie spiegazioni. La più importante è che si tratta di un paese musulmano e non vuole distinguersi da tutti gli altri paesi musulmani che, con poche eccezioni, votano contro Israele. Gerusalemme dovrebbe aspettarsi di meglio? E’ quanto sosteneva il primo ministro Benjamin Netanyahu nel 2015 quando, durante il suo precedente mandato, affermò pubblicamente che era ora che la vicinanza e la cooperazione dei paesi in buoni rapporti bilaterali con Israele si riflettessero nelle votazioni negli organismi internazionali.

Oppure si prenda il caso di un paese come gli Emirati Arabi Uniti, con cui Israele ha stabilito un fiorentissimo rapporto e che pure venerdì ha votato contro Israele alle Nazioni Unite. Gli Emirati Arabi Uniti non sono amici? In questo caso la spiegazione che viene data è che gli Emirati devono votare in quel modo per dimostrare che, pur avendo firmato un accordo con Israele, non hanno abbandonato la causa palestinese. Nessuno nel mondo musulmano vuole essere visto come quello che abbandona la causa palestinese.

Il voto di venerdì sera all’Assemblea Generale (clicca per ingrandire)

In questo contesto, Nabil Abu Rudeineh, portavoce del presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen, ha dichiarato che la votazione all’Onu è “la dimostrazione del sostegno del mondo intero al nostro popolo e ai suoi inalienabili diritti storici”.

Il “mondo intero”? Veramente? Venerdì scorso ha votato a favore dei palestinesi il 45% dei 193 membri dell’organismo mondiale. Viceversa, il 55% dei paesi che compongono le Nazioni Unite hanno votato contro, o si sono astenuti, o hanno evitato del tutto di votare.

Ma non è solo una questione di quantità. Come dicono sempre i rappresentanti israeliani, quando si esaminano queste votazioni bisogna tenere conto anche della “qualità” degli stati. Vale a dire, quale delle due parti vede schierata al proprio fianco la maggioranza morale, ovvero la maggioranza dei paesi democratici? Degli 87 paesi che hanno votato per i palestinesi, ben il 43% sono classificati come regimi autoritari nell’indice annuale della democrazia dell’Economist Intelligence Unit, e altri 21 sono classificati come regimi ibridi, cioè con un mix di caratteristiche autoritarie e democratiche, come il Messico, l’Armenia, la Turchia e il Pakistan. Solo un quarto degli stati che hanno votato per i palestinesi si possono definire democrazie, più o meno complete. Al contrario, dei paesi che hanno votato per Israele il 62% sono democrazie e solo il 19% sono regimi autoritari o ibridi.

Non basta. Scorrendo l’elenco dei paesi che votano a favore e contro Israele si rivelano anche alcune tendenze interessanti. Si prenda ad esempio l’Ucraina. Quando a novembre è stata votata per la prima volta la bozza preliminare di questa risoluzione, l’Ucraina votò contro Israele suscitando una forte polemica. Molti si sono chiesti perché mai Israele dovrebbe aiutare l’Ucraina in un modo o nell’altro (cosa che ha fatto e continua a fare) se all’Onu l’Ucraina vota risoluzioni faziosamente anti-israeliane. L’ambasciatore ucraino venne convocato al Ministero degli esteri di Gerusalemme per esprimergli le rimostranze di Israele. Evidentemente il messaggio è passato, perché venerdì scorso l’Ucraina ha fatto quello che aveva fatto spesso in passato riguardo a  voti relativi a Israele: semplicemente non ha partecipato alla votazione (non si presentò in aula nel 2012 quando l’Assemblea Generale votò di conferire ai palestinesi lo status di stato osservatore non membro, e di nuovo nel 2017 quando si votò per condannare la decisione dell’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump di riconoscere che la capitale d’Israele è a Gerusalemme).

I paesi con cui Israele intrattiene relazioni diplomatiche (clicca per ingrandire)

Anche la Polonia è un caso di interessante. Fino a poco fa la Polonia veniva accomunata agli altri paesi di Visegrad (Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) per essersi ritagliata un rapporto speciale con Israele tra i paesi dell’Unione Europea. Si poteva contare sul fatto che questi paesi votassero con Israele nelle sedi internazionali. Ora non più. L’infuocato disaccordo tra i due paesi sulla memoria della Shoà ha lasciato il segno e questa volta la Polonia ha votato contro Israele invece di astenersi come aveva fatto nel 2017 e nel 2012. La Polonia ha votato contro Israele insieme ad altri sei paesi dell’Unione Europea, e il voto dei paesi dell’Unione Europea viene sempre guardato con attenzione a Gerusalemme per via dell’importanza dell’Europa e del fatto che si tratta di paesi democratici.

Gli altri paesi dell’Unione Europea che venerdì hanno votato contro Israele sono i soliti noti: Irlanda, Belgio, Portogallo, Malta, Lussemburgo e Slovenia. I primi cinque sono i paesi dell’Unione più avversi a Israele e lo sono da anni. La Slovenia, invece, si muove a zig zag a seconda delle elezioni e dei cambi di governo. Per anni, anche la Svezia è stata in quel campo: anzi, era un paese leader del campo più avverso allo stato ebraico. Oggi non dovrebbe più essere catalogata in quel modo alla luce dalla sua astensione nel voto di venerdì. Ora ha una coalizione di governo completamente diversa e le sue politiche su Israele non sono più quelle di pochi anni fa.

I paesi dell’Unione Europea che venerdì hanno votato con Israele sono Austria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Germania, Ungheria, Italia, Lituania e Romania. Anche il Regno Unito, importante paese europeo che non è più membro dell’Unione Europea, ha votato con Israele mentre nel voto preliminare di novembre si era astenuta. Il voto dell’Austria è interessante da un punto di vista storico poiché fino a un decennio fa si poteva star certi che votasse contro Israele, come fece nel 2012. I governi a Vienna sono cambiati e hanno mutato l’atteggiamento del paese nei confronti di Israele, cosa che si riflette nel modo in cui vota oggi. Una dinamica simile si è vista in Italia. Cipro e Grecia, paesi UE che negli ultimi 15 anni hanno sviluppato relazioni molto strette con Israele, si sono entrambi astenuti: il che è nell’ordine delle cose ed è comunque molto meglio di quanto facevano due decenni fa quando si poteva star certi che avrebbero votato contro Israele, ed erano considerati tra i paesi più anti-israeliani dell’Unione Europea.

Un altro paese che è passato dal voto automatico contro Israele all’astensione è l’India, che questo ha fatto venerdì. E’ un processo iniziato nel 2014 con l’ascesa al potere di Narendra Modi e che da allora è continuato. Anche il Brasile si è astenuto, confermando una serie di voti favorevoli a Israele destinata sicuramente a finire ora che è tornato alla presidenza Luiz Inacio Lula da Silva. La posizione di Israele in America Latina non è buona come era quando Netanyahu vi si recò nel 2017. Da allora i governi sono cambiati, e con loro anche le politiche verso Israele. La Colombia, che da tempo vantava un record di voti positivi su Israele, venerdì ha votato contro, così come il Messico, un paese che Netanyahu visitò nel 2017 e sui cui legami aveva investito notevoli energie. Netanyahu aveva coltivato anche i rapporti con l’Africa. Venerdì, solo quattro paesi sub-sahariani hanno votato con Israele: la Repubblica Democratica del Congo, il Kenya, la Liberia e il Togo. Altri 18 hanno votato contro, mentre paesi con cui Israele ha forti legami come l’Etiopia e il Ruanda sono tra i 10 che si sono astenuti. Altri 14 non hanno partecipato al voto. È interessante notare, tuttavia, che 10 di coloro che venerdì hanno evitato di votare avevano votato per i palestinesi nel 2012, segno che anche qui le cose sono in movimento.

“Dirò una cosa che potrebbe scioccarvi – affermò Netanyahu nel suo discorso all’Assemblea Generale del 2016 – Israele ha un futuro luminoso, qui alle Nazioni Unite. Le Nazioni Unite, nate come una forza morale, sono diventate una farsa morale, per cui quando si tratta di Israele alle Nazioni Unite probabilmente pensate che non cambierà mai niente, giusto? Ebbene ricredetevi, giacché cambierà tutto e molto prima di quanto si possa pensare. Il cambiamento avverrà in questa sala, perché a casa vostra i vostri rispettivi governi stanno rapidamente cambiando il loro atteggiamento nei confronti di Israele. E prima o poi questo finirà col cambiare il modo in cui si vota su Israele alle Nazioni Unite”.

Il voto di venerdì scorso dimostra che sì, le cose all’Onu stanno cambiando, ma quel cambiamento è più graduale e meno eclatante di quanto Netanyahu avesse immaginato all’epoca.

(Da: Jerusalem Post, 1.1.23)