L’alternativa al negoziato (bloccato dai palestinesi)

Se devono essere fissati in modo unilaterale, che sia Israele a fissare i propri confini.

Di Ophir Falk

image_3022Il processo di pace è bloccato. L’Autorità Palestinese non vuole negoziare con Israele. In effetti, durante tutto il processo politico iniziato quasi vent’anni fa i negoziati di pace non sono mai stati una priorità per i palestinesi. Piuttosto, l’Autorità Palestinese ha perseguito altri tre obiettivi principali: concessioni israeliane, delegittimazione di Israele e riconoscimento internazionale di uno stato palestinese. L’Autorità Palestinese ha avuto successo in tutti e tre i casi.
In termini di concessioni, Israele ha consentito ed anche incoraggiato l’istituzione dell’Autorità Palestinese. Israele ha ritirato le sue truppe da tutte le principali città palestinesi e ha trasferito ai palestinesi il controllo di tutti gli affari civili in quelle aree. Israele ha sradicato diecimila suoi cittadini dalle case di Gush Katif, acconsentendo a una totale giurisdizione palestinese sulla striscia di Gaza. E probabilmente il minuto Israele sarebbe stato disposto a cedere ulteriori beni se avesse ricevuto in cambio vera pace e sicurezza, anziché terrorismo e istigazione all’odio.
Gli accordi ad interim sono stati interpretati come passaggi verso successivi ritiri. Le più recenti concessioni sono arrivate sottoforma di un congelamento di dieci mesi di tutte le attività edilizie ebraiche in Giudea e Samaria (Cisgiordania), mentre le attività edilizie arabe in tutte quelle terre contese continuava incontrastata. Ma l’Autorità Palestinese non è rimasta soddisfatta delle concessioni israeliane. Voleva di più. Vogliono sempre di più. Una volta scaduti i dieci mesi di congelamento (senza nessuna apertura da parte palestinese), l’Autorità Palestinese ha chiesto un ulteriore congelamento di tre mesi, cui avrebbe sicuramente fatto seguito un’altra richiesta, ad infinitum.
Ora l’Autorità Palestinese si rende conto che Israele non darà più nulla in cambio di niente, e che neanche un presidente americano scattante può costringere Israele a farlo, figuriamoci uno vacillante. Per questo il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) è alla ricerca di un’alternativa.
Una alternativa è la guerra. Ma questa costosa opzione è già stata tentata troppe volte e al momento non è quella desiderata da Abu Mazen. Da Israele non lo è mai stata. Alternative più efficaci, per i palestinesi, sono la delegittimazione di Israele e il conseguimento del riconoscimento internazionale di uno stato palestinese su tutti i territori contesi (senza accordo con Israele). Ed è esattamente quello per cui si stanno dando tanto da fare.
I palestinesi perseguono la delegittimazione di Israele da ogni tribuna disponibile, compresa la messa in discussione del diritto di Israele ad esistere non solo fra i paesi del Medio Oriente e nella varie agenzie delle Nazioni Unite, ma anche in tutti i campus universitari negli Stati Uniti, in Canada, in Europa.
Nel frattempo Abu Mazen sta riuscendo là dove Yasser Arafat aveva fallito, in termini di riconoscimento internazionale. Bolivia, Brasile, Argentina, Uruguay ed Ecuador hanno già confermato l’intenzione di riconoscere uno stato palestinese dichiarato unilateralmente (senza negoziato né accordo con Israele), e molti altri paesi potrebbero seguire l’esempio.
Ecco perché, senza alcun vero processo di pace alle viste, Israele dovrebbe adoperarsi per un consenso nazionale, e poi internazionale, riguardo alla demarcazione definitiva di suoi confini che siano giusti e sicuri. Il che dovrebbe essere fatto sulla base di un semplice criterio: massima superficie, massimo numero di israeliani e minimo numero di non israeliani all’interno dei confini di Israele, limitando al minimo possibile il trasferimento di residenti di ogni comunità. Tale consenso nazionale, ratificato da un referendum, avrebbe il merito di fissare delle concrete linee invalicabili, nelle quali tutti gli israeliani possano riconoscersi, e di mettere bene in chiaro cosa è e cosa non è negoziabile.
Dopo di che, una volta resisi conto che Israele e il suo governo dispongono di valide alternative ai negoziati, forse anche l’Autorità Palestinese e il suo presidente si faranno venire la voglia di dialogare.

(Da: YnetNews, 28.12.10)