L’amara ironia degli attivisti siriani: “Fortunata Ahed Tamimi a non essere stata in una prigione dal regime di Assad”

Molti arabi sul web si chiedono retoricamente come mai i mass-media si concentrano tanto sulla vicenda della giovane provocatrice palestinese, anziché sulle immani sofferenze inflitte ogni giorno in altri paesi della regione

29 luglio: Ahed Tamimi in conferenza stampa nel suo villaggio di Nabi Saleh, presso Ramallah, nel giorno della sua scarcerazione

“Israele ha rilasciato Ahmed Tamimi in piena salute e senza un graffio”, ha scritto su Twitter Yasser Wardh, fotografo e attivista siriano. Non è l’unico. Quando la giovane Tamimi è stata scarcerata, domenica scorsa (dopo aver scontato gli 8 mesi di detenzione patteggiati in un tribunale israeliano per istigazione al terrorismo e reiterate aggressioni a calci pugni insulti e sputi contro soldati israeliani), molti frequentatori dei social network arabi hanno commentato la sua condizione, mettendola a confronto con i prigionieri del regime siriano di Assad e gli innumerevoli prigionieri abusati e maltrattati praticamente in tutti gli altri paesi della regione.

Yasser Wardh ha contrapposto l’uscita dal carcere della ragazza con “le migliaia di palestinesi che vengono trucidati nelle prigioni del regime di Assad”. Anche Nedal al-Amari, giornalista di Dara’a, ha confrontato la ferocia del regime siriano con il trattamento riservato da Israele a Tamimi, sottolineando “la differenza tra Israele e Bashar Al Assad”. “Ahed Tamimi – ha scritto – è una ragazza fortunata perché è stata nelle prigioni di Israele e non nelle prigioni di Assad”.

Sono decine i tweet in arabo dello stesso tenore, molti dei quali hanno persino menzionato il suo evidente aumento di peso. “Non è stata torturata – ha scritto Mahdi Majeed – non è stata violentata, il suo peso è aumentato di quasi 9 chili, i suoi capelli e il viso sono ancora più belli”. Anche Iman Kais, che vanta 100mila follower su Twitter, ha messo a confronto l’esperienza di Tamimi con la situazione nelle prigioni arabe. “Dice che ha imparato ad amare la vita – ha scritto – mentre coloro che vengono imprigionati nei nostri paesi arabi arrivano al punto di desiderare che la loro madre non li avesse mai messi al mondo”.

Il post di Nedal Alamari: “La differenza tra Israele e Bashar Al Assad #Ahed Tamimi ragazza fortunata perché era in una prigione di Israele, non in una prigione di Assad. Tamimi è uscita di prigione in buona salute, meglio di prima. N.B. Il padre di Ahed Tamimi sostiene il regime di Assad”

Molti hanno twittato le foto di Tamimi accostandole alle crudissime immagini di una delle tante donne uccise nelle segrete del regime di Assad (tristemente famose le 55mila foto di prigionieri orrendamente seviziati, fatte arrivare all’estero nel 2013 dal fotografo siriano “Caesar”).

Un siriano ha scritto: “Se quelli di Dara’a [dove oltre sette anni fa ebbero luogo le prime grandi manifestazioni pacifiche anti-regime proprio a seguito delle disumane torture inflitte ad alcuni ragazzini per poche scritte sui muri] e quelli della Siria del sud fossero stati detenuti dall’occupazione sionista, ne sarebbero usciti con 9 chili di peso in più, invece di finire nelle liste delle anime dei martiri prigionieri [pubblicate] di giorno in giorno dall’occupazione di Assad, già più di 3.000″. Il riferimento è alle migliaia di nomi di persone assassinate in carcere: di recente lo stesso regime di Damasco ha iniziato a pubblicare elenchi di coloro che risultano “scomparsi” e uccisi negli ultimi sette anni, molti dei quali morti in prigione (almeno 80mila, secondo il Syrian Network for Human Rights).

Domenica scorsa Edy Cohen, un esperto di relazioni inter-arabe presso l’Università Bar-Ilan di Ramat Gan, ha scritto in arabo su Facebook: “Magari i paesi arabi scarcerassero i loro detenuti nelle condizioni fisiche e psichiche in cui vediamo Tamimi”. Stava condividendo un post che ha avuto origine su una pagina di Facebook con 51mila follower, che è in arabo ma riguarda i rapporti curdo-israeliani. Su quella pagina è partito un vivace dibattito sul motivo per cui i mass-media della regione (e non solo) si sono tanto focalizzati sulla vicenda, tutto sommato marginale, di Ahed Tamimi anziché sulle immani sofferenze che vengono inflitte ogni giorno in altri paesi della regione. In effetti, i curdi ne sanno qualcosa.

(Da: Jerusalem Post, israele.net, 31.7.18)

 

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