L’amara lezione del tradimento nel nord della Siria

Dopo che Trump ha abbandonato i curdi, Israele sa che non può davvero fare affidamento su nessuno per la propria difesa

Di Herb Keinon, Jonathan Spyer

Herb Keinon

Scrive Herb Keinon: Non ci si faccia ingannare dalla mancanza di una risposta israeliana ufficiale al drammatico ribaltamento politico rappresentato dalla decisione del presidente Usa Donald Trump di rimuovere le truppe statunitensi dalla Siria settentrionale: in realtà, Gerusalemme è profondamente preoccupata per questo passo.

Non tanto perché avrà un impatto improvviso sulla capacità di Israele di intervenire in Siria quando deve fermare i tentativi iraniani di trincerarvisi militarmente, anche se la mossa americana potrà effettivamente rendere tali interventi marginalmente più difficili. Ma perché viene confermata l’idea che davvero Israele può fare affidamento unicamente su se stesso.

La decisione di Trump, che ribalta il ribaltamento dell’anno scorso dell’annuncio del ritiro delle truppe statunitensi dalla Siria, non può essere vista come una scelta isolata. Deve anche essere vista nel contesto degli attacchi sostenuti dall’Iran il mese scorso contro le strutture petrolifere saudite e l’assordante mancanza di reazione da parte americana. Entrambi questi incidenti dimostrano che l’attuale amministrazione è ben poco diversa dalla precedente amministrazione Obama nella sua riluttanza a prender partito e affrontare, ove necessario, le forze negative in Medio Oriente. E questo è un dato che riveste un enorme significato per Israele.

Militari statunitensi e turchi in pattuglia congiunta all’interno dell’area del “meccanismo di sicurezza” nel nord-est della Siria

Esso conferma nei pianificatori strategici del paese la convinzione che, sebbene gli Stati Uniti sotto un’amministrazione amichevole siano pronti a sostenere Israele alle Nazioni Unite e offrire assistenza con aiuti per le armi e sostegno morale, difendendo il paese dalle pressioni internazionali, quando si tratta del ricorso alla forza Israele deve essere preparato e pronto a difendersi da solo.

Paradossalmente, l’abbandono dei curdi da parte di Trump arriva appena un mese dopo che il presidente americano aveva accennato alla possibilità di firmare una sorta di patto di difesa reciproca con Israele. Mentre quell’idea non era stata presa troppo sul serio da molti strateghi israeliani, che discutevano se un tale patto potesse comportare concreti vantaggi, le scelte di Trump – abbandonare i curdi alle “cure misericordiose” del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, come ha detto l’ex capo del Consiglio di sicurezza nazionale israeliano Eran Lerman – verranno prese molto sul serio. Un patto di difesa comune è fatto di parole. Il ritiro delle truppe statunitensi è un’azione concreta. In questa regione, le decisioni vengono prese in base a quello che i vari protagonisti fanno, non a quello che dicono.

L’entrata vittoriosa delle forze curde a Raqqa, in Siria, strappata all’ISIS nell’ottobre 2017

Ad esempio, non molto tempo fa c’era in Israele una significativa scuola di pensiero che sosteneva che Israele non avrebbe dovuto intraprendere alcuna azione contro la minaccia nucleare iraniana perché, al dunque, Gerusalemme avrebbe potuto contare sul fatto che ci pensassero gli Stati Uniti. Le iniziative nella regione da parte delle ultime due amministrazioni statunitensi, democratica e repubblicana, hanno dimostrato che questa visione non si basa sulla realtà. Non ci sono state azioni statunitensi negli ultimi anni che confortino questa teoria. Quella scuola di pensiero si basava sull’antica convinzione che in Medio Oriente vi sono cose di cui gli americani si sarebbero ovviamente occupati. Forse era vero una volta, ma non di recente. L’esperienza saudita e ora quella curda la cantano chiara: forse è così, forse no, ma certamente Israele non può fare affidamento su quella convinzione.

Lerman, oggi vicepresidente del Jerusalem Institute for Strategy and Security, dice che nella regione oggi nessuno che sia “lucido di mente” farebbe affidamento sugli americani, e questo è un fatto che potrebbe benissimo spingere vari attori fra le braccia degli iraniani, che non aspettano altro. Lerman definisce la mossa di Trump “un’onta morale” e dice che una sua possibile conseguenza potrebbe essere quella di spingere i curdi, nella loro battaglia con i turchi, dalla parte del regime di Assad e dei suoi padrini iraniani. Il che avrebbe gravi conseguenze per Israele, aggiunge, poiché eliminerebbe l’ultima barriera nel nord della Siria che impedisce un corridoio terrestre, vale a dire una linea di rifornimento continua dall’Iran attraverso l’Iraq e la Siria, fino al Libano e ai porti sul mar Mediterraneo.

(Da: Jerusalem Post, 7.10.19)

Jonathan Spyer

Scrive Jonathan Spyer: La dichiarazione sulla Siria settentrionale diffusa domenica dall’ufficio-stampa della Casa Bianca sembra aprire la strada all’attesa invasione turca del nord-est della Siria. Essa rappresenta un disastro per i curdi siriani e un tradimento non del tutto inaspettato, da parte degli Stati Uniti, dei suoi principali alleati nella lotta contro l’ISIS. La decisione ha implicazioni anche per Israele, sia a livello tattico che strategico.

A livello tattico, se verrà lanciata un’invasione turca della Siria nord-orientale oggi controllata dai curdi, ciò avrà probabilmente l’effetto di consegnare gran parte della Siria nord-orientale nelle mani del regime di Assad e dei suoi alleati iraniani. Questo perché i curdi siriani, messi di fronte alla scelta tra Assad e le forze jihadiste sunnite che attualmente combattono sotto la bandiera turca, sceglieranno Assad. E’ vero che il dittatore siriano e gli iraniani sopprimerebbero tutte le attività politiche e culturali curde indipendenti, ma quasi certamente non effettuerebbero una pulizia etnica di massa delle popolazioni curde. I turchi e i loro alleati islamisti sunniti, invece, hanno cacciato 200.000 curdi dalle loro case nell’enclave curda di Afrin, distrutta dalla Turchia nel gennaio 2018. I curdi ritengono, con buone ragioni, che il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan abbia in programma un destino simile per i curdi del nord-est. Quindi verosimilmente combatteranno per trattenere i turchi nel nord il più a lungo possibile, mentre cercheranno di approntare una rapida resa ad Assad per consentire al regime siriano di prendere il controllo delle aree più a sud. Risultato: la Siria a est dell’Eufrate, attualmente un protettorato americano e una barriera contro l’Iran e l’ISIS, verrà divisa tra turchi/islamisti nel nord e Assad/Guardie Rivoluzionarie iraniane nel sud. La parte meridionale diverrebbe così parte del famoso “corridoio di terra” iraniano verso il Mediterraneo, il Libano e il valico di Quneitra (dove la Siria confina con le alture del Golan israeliano).

Sul piano strategico, la mossa americana conferma che l’attuale amministrazione statunitense non è interessata a capeggiare un’alleanza di forze regionali contro l’espansionismo iraniano né contro l’islam politico sunnita, come tanti amavano invece credere. Piuttosto questa amministrazione, come quella che l’ha preceduta, è impegnata nella gestione del declino imperiale (sebbene con una retorica assai diversa da quella dei tempi di Obama). E questa è una lezione di cui faranno tesoro sia gli alleati che i nemici degli Stati Uniti in Medio Oriente.
(Da: Israel haYom, 9.10.19)

I gruppi che controllano la Siria