Lanno prossimo deve essere lanno dei moderati

Sintesi dellintervento del ministro degli esteri israeliano Silvan Shalom alla Conferenza di Herzliya.

image_486L’anno trascorso dalla cattura di Saddam Hussein ha visto cambiamenti e riforme nel mondo arabo, in particolare un processo di democratizzazione promosso dagli Stati Uniti. Il ministro degli esteri israeliano Silvan Shalom è partito da questa considerazione, nel suo intervento di mercoledì all’annuale conferenza del Centro Interdisciplinare di Herzliya, per sottolineare l’importanza di una politica estera attiva che si adoperi per rafforzare le forze moderate e indebolire quelle estremiste.
Il miglioramento delle relazioni fra Israele e paesi arabi, ha detto Shalom, contribuirà al raggiungimento di sicurezza e sviluppo in tutta la regione. Le relazioni con il mondo arabo devono essere affrontate separatamente da quelle con i palestinesi.
Circa l’Egitto, si è assistito di recente a segnali di riavvicinamento, culminati nella scarcerazione dell’uomo d’affari arabo israeliano Azam Azam. Circa la Giordania, si sono registrati passi avanti verso lo sviluppo di rapporti strategici. Shalom chiede anche alla Giordania di non mancare l’occasione storica di promuovere una soluzione con i palestinesi.
La normalizzazione richiede anche la cessazione di ogni forma di istigazione all’odio nei paesi arabi, condizione indispensabile per isolare gli estremisti. Il ministro israeliano ha detto di percepire negli ultimi tempi un miglioramento in questa direzione negli stati arabi.
Israele considera uno dei suoi obiettivi la creazione di rapporti normali con almeno dieci stati arabi nel Nord Africa e nel Golfo. Con questi stati non è in atto alcun conflitto né su questioni territoriali né su questioni economiche.
Oltre a incoraggiare i moderati, Israele intende avviare misure per isolare gli estremisti.
Rispetto alla Siria, Shalom ha ricordato che poco meno di un anno fa Israele avviò un’azione diplomatica volta a ottenere la rimozione delle forze siriane dal Libano, cercando di portare all’attenzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la necessità di aumentare le pressioni sulla Siria in questo senso. Shalom si è soffermato sulle recenti voci di aperture della Siria, dicendo che Israele non le deve ignorare giacché è convinto della possibilità di arrivare prima o poi a una pace globale con tutto il mondo arabo, senza eccezioni. In questo senso Israele ribadisce di essere pronto ad avviare negoziati con la Siria non appena questa darà prova concreta delle sue intenzioni pacifiche cessando di appoggiare il terrorismo.
L’idea che Israele dovesse avviare negoziati diretti per un accordo sullo status definitivo, ha detto Shalom, è stata forse un errore sia nel caso dei siriani che in quello dei palestinesi. Al suo posto è preferibile adottare un metodo graduale di costruzione della fiducia reciproca. Solo dopo aver avviato forme di cooperazione sulle questioni più “soft” come il commercio, l’agricoltura e l’ambiente, sarà possibile affrontare le questioni più ostiche. La Siria potrebbe adottare sin da subito una misura umanitaria di pace consegnando a Israele i resti dell’agente israeliano Eli Cohen (impiccato a Damasco nel 1966).
L’Iran costituisce una minaccia all’esistenza di Israele e non contribuisce certo a creare nella regione un’atmosfera favorevole ai moderati. Shalom non ritiene di vedere alcun serio cambiamento in questa tendenza del regime degli ayatollah. Israele è stato tra i promotori di una campagna diplomatica per suscitare consenso internazionale attorno alla necessità di fermare gli sforzi dell’Iran di dotarsi di armi nucleari.
In questo contesto, il mondo sta iniziando a capire che il terrorismo non è solo un problema di Israele, e che invece può colpire ovunque.
Siria e Iran usano i terroristi sciiti Hezbollah per colpire Israele. Per questo Israele si adopera per aumentare la pressione internazionale sugli Hezbollah.
L’anno nuovo sarà un anno decisivo sul versate palestinese: l’anno dei moderati oppure l’anno degli estremisti. Il governo e il ministero degli esteri israeliano lavorano perché sia decisamente l’anno dei moderati.
Siamo a tre settimane dalle elezioni per la presidenza dell’Autorità Palestinese del 9 gennaio. Sin dal 10 gennaio i palestinesi dovranno prendere la decisione di farla finita con il terrorismo. Non si dimentichi che l’ordine per il mortale attacco di domenica scorsa a Rafah è partito dal quartiere generale di Hamas a Damasco.
Tutta la comunità internazionale, con Europa e Stati Uniti, deve essere coinvolta nell’attuazione delle riforme. Shalom ha chiesto la convocazione di una seconda conferenza internazionale, sulla falsariga di quella tenuta ad Aqaba del giugno 2003, aperta alla partecipazione di Stati Uniti, Europa e di qualunque paese voglia sinceramente promuovere in pace. Israele deve fare la sua parte, ha detto Shalom, rimovendo gli avamposti non autorizzati nei territori e ritirando le truppe appena possibile sulle linee che tenevano prima del 29 settembre 2000. Solo in questo modo si può realmente favorire l’avvio del lungo processo che ci potrà portare alla pace.
Le riforme palestinesi devono godere dell’appoggio internazionale. Se le riforme funzioneranno e il regime palestinese diventerà responsabile e pragmatico, il disimpegno dalla striscia di Gaza si trasformerà nel primo passo verso la ripersa dei negoziati.
Per questo Israele deve fare di tutto affinché quelle palestinesi siano elezioni libere e aperte. I negoziati su tutta una serie di questioni potrebbero ripartire già dal giorno successivo alle elezioni.
Secondo Shalom, i maggiori ostacoli alla pace sono il ricorso al terrorismo e la pretesa del cosiddetto diritto al ritorno (all’interno di Israele dei profughi e dei loro discendenti anche dopo la nascita di uno stato palestinese). Questa pretesa dovrebbe essere lasciata cadere con una dichiarazione da parte palestinese e con misure concrete volte a favorire la riabilitazione dei profughi palestinesi e dei loro discendenti là dove vivono attualmente. La richiesta palestinese del cosiddetto diritto al ritorno è uno dei fattori che crea maggiore sfiducia fra gli israeliani. Citando un colloquio con l’ex presidente Clinton nel quale Clinton lo informava d’aver detto ai palestinesi, durante il summit di Wye Plantation, che non vi è alcuna possibilità che qualcuno sostenga il cosiddetto diritto al ritorno, Shalom ha ribadito che non vi sarà nessun “ritorno” in massa dei palestinesi dentro Israele. Le autorità palestinesi dovrebbero parlare con chiarezza e con lealtà su questo punto alla loro gente. Spetta a loro farlo.
Agli israeliani non sfuggono le voci ostili che si odono nell’opinione pubblica europea quando si parla di conflitto israelo-palestinese. Ma negli ultimi anni vi sono stati dei cambiamenti, cambiamenti che Shalom ha detto di confidare che continuino negli anni a venire. In realtà, i rapporti concreti fra Europa e Israele si sono rafforzato sotto molti aspetti.
La sfida più importante, ha concluso il ministro israeliano, è l’unità di Israele. Mentre si avvicina l’attuazione del piano di disimpegno, il nuovo governo che si sta varando in queste ore deve cercare di rappresentare la parte più vasta possibile della popolazione del paese.

(Da: www.mfa.gov.il, Ha’aretz, 15.12.04)