L’antica “moneta palestinese” che dovrebbe delegittimare lo stato ebraico

Il giornaletto di Fatah insegna ai ragazzini palestinesi una storia tanto farlocca quanto la bufala del Gesù palestinese ripetuta ad ogni Natale

Di Marco Paganoni

L’immagine dell’antica “moneta palestinese” pubblicata da Waed

Questa è troppo gustosa per lasciarsela scappare. Breve premessa. Quei rompiscatole di Palestine Media Watch si sono presi la briga di leggere 17 numeri pubblicati fra dicembre 2014 e settembre 2021 di Waed, un giornaletto edito dal movimento giovanile di Fatah che viene distribuito nelle scuole e nei campi estivi ai ragazzini palestinesi fra i 6 e i 15 anni. Waed esalta i terroristi che ammazzano israeliani e sostiene la cancellazione dello stato ebraico con relativa cacciata degli israeliani dal paese. Per i redattori di Waed, infatti, gli israeliani non sono altro che “invasori ebrei venuti da ogni angolo della Terra, che non conoscevano la Palestina e non vivevano in essa: né loro, né i loro padri e antenati”. Per sostenere la tesi, Waed reinventa la storia, con un popolo “arabo palestinese cananeo” (sic) che si sarebbe stabilito nel paese cinquemila anni fa.

E qui arriva la perla. A pagina 17 del numero 40, Waed pubblica l’immagine di un siclo di Giudea definendolo un esempio di “moneta palestinese”. Facendo notare che porta la stessa immagine che compare sul moderno shekel israeliano, aggiunge: “Che ladri, vero?”. Come dire: quegli impostori di israeliani ci rubano anche la storia coniando il loro moderno shekel a immagine dell’antico siclo palestinese. Peccato che sull’antico “siclo palestinese” si legga distintamente la scritta Yehud, Giudea, in caratteri ebraici.

Moderno shekel (siclo) israeliano

Non si saprebbe se definire più patetico o più svergognato un tentativo così goffo di taroccare la storia. Ma suvvia, in fondo non è peggio dei propagandisti palestinesi che spacciano Gesù di Nazareth come palestinese, anzi come “il primo profugo palestinese” e persino come “il primo martire palestinese”, ignorando serenamente che Gesù era ebreo in base a ogni nozione storica (e per la dottrina cristiana). Sanno, ma tacciono, che l’Impero Romano cambiò in “Palestina” il nome della Terra d’Israele, e della regione di Giudea, solo cento anni dopo l’epoca di Gesù, e che lo fece appunto per cancellare ogni legame fra il paese e gli ebrei. Per questo, sentir parlare di “Gesù palestinese” o della “Palestina in cui visse Gesù” stride quanto sentire che Giulio Cesare conquistò “la Francia”.

Conosciamo la difesa d’ufficio di questi strafalcioni. Palestinese è solo un aggettivo che significa, come da vocabolario, “relativo alla regione dell’Asia sud-occidentale tra il Mediterraneo e il tavolato transgiordanico, storicamente indicata con varie denominazioni fra cui quella di Palestina”. Come avrebbe detto von Metternich, una mera espressione geografica. In questo senso, se l’antico siclo di Giudea è “palestinese” per mera collocazione geografica, allora è palestinese anche lo shekel di oggi. Se Gesù era palestinese, allora aveva ragione Golda Meir a definirsi palestinese, e aveva ragione l’Onu nel ’47 a parlare di popolo ebraico palestinese. E sarà forse per questo che fino a tutta la prima metà del XX secolo, “palestinesi” in Palestina erano gli ebrei e le loro istituzioni (mentre gli arabi si guardavano bene dal definirsi a quel modo). E dunque, sono palestinesi gli ebrei che vivono a Tel Aviv come quelli che vivono a Gerusalemme (est e ovest).

Muhammad Hussein, Mufti di Jerusalem e Territori Palestinesi, alla tv dell’Autorità Palestinese: “Gesù è palestinese per eccellenza”

Ma, un momento. Waed dice una cosa un po’ diversa. Come tutti i dirigenti, gli imam, gli insegnanti e i propagandisti palestinesi, Waed dice che no, gli ebrei non sono affatto palestinesi, sono colonialisti stranieri imposti dall’esterno e se ne dovrebbero andare. E dicono che “palestinese” significa distintamente “arabo e musulmano”. Lo hanno anche sancito per legge. La Legge fondamentale dell’Autorità Palestinese approvata a Ramallah il 29 maggio 2002 stabilisce, all’art.1, che “il popolo palestinese fa parte della nazione araba” e all’art. 4 che “l’islam è la religione ufficiale della Palestina” e che “i principi della shari’a islamica sono la fonte primaria della legislazione”.

Riassumendo. Quando vogliono fabbricare una storia antica che delegittimi Israele, “palestinese” è solo un generico aggettivo che si può candidamente applicare anche a Gesù e al siclo in caratteri ebraici. Quando invece si tratta di sovranità e autodeterminazione, ecco che “palestinese” significa esclusivamente “arabo e musulmano” e vadano al diavolo Gesù, gli ebrei, la loro storia e le monete che coniavano duemila anni fa. Insomma, un volgare imbroglio da pataccari.

Cerchiamo di ricordarcene quando a Natale ci sentiremo ripetere che – testuale – “Gesù è palestinese e coloro che lo hanno combattuto duemila anni fa stanno ora distruggendo il suo popolo”.

(Da: informazionecorretta.com, 12.12.21)