L’antisemitismo implicito nelle relazioni internazionali (tacitamente legittimato anche da molte democrazie)
Perché l'unico stato al mondo a maggioranza ebraica è anche l'unico ostracizzato da certi governi e da troppi forum internazionali?
Di Seth J. Frantzman
La scorsa settimana si è avuta notizia che i talebani sono pronti a voltare pagina nei rapporti con il mondo: sono disposti a collaborare con tutti, anche con gli Stati Uniti che hanno combattuto contro di loro una guerra di vent’anni in Afghanistan, e sono disposti ad avere relazioni con l’India e qualsiasi altro paese. C’è un solo paese al mondo con cui, a quanto pare, non prendono nemmeno in considerazione di avere rapporti: Israele.
Ci si aspetta che accettiamo questo fatto con un’alzata di spalle. E perché, poi, Israele dovrebbe voler intrattenere relazioni con i talebani? Ma non è questo il modo corretto di esaminare la notizia. Bisognerebbe chiedersi, piuttosto: perché l’unico stato al mondo a maggioranza ebraica è anche l’unico con cui determinati governi, come i talebani, il Pakistan e la Malaysia, si rifiutano di avere relazioni? Risposta: quello all’opera, fra i paesi che rifiutano relazioni con Israele e prendono di mira in questo modo il solo stato ebraico, non è altro che un antisemitismo implicito.
La maggior parte dei paesi che oggi rifiutano rapporti con Israele sono a maggioranza musulmana. La loro ostilità per Israele deriva da un mix tossico di odio religioso e antisemitismo, combinato con la convinzione che isolando Israele aiutano i “fratelli” palestinesi. La logica di questa ideologia potrebbe non essere considerata antisemita se venisse applicata anche altrove. Ma non è così. Gli stessi paesi e gruppi, come i talebani, non si fanno alcun problema a intrattenere rapporti con numerosi stati che sono accusati di abusi contro minoranze musulmane. Il punto, dunque, non è prendere le difese dei propri correligionari. Il punto è dare addosso a Israele ed ebrei. Paesi musulmani più tolleranti hanno normalizzato le relazioni con Israele, lasciando che a rifiutare tali rapporti fosse una manciata di stati reazionari e intolleranti.
L’implicito antisemitismo insito nella dichiarazione dei talebani circa l’avere relazioni con tutti i paesi tranne Israele fa parte di un codice nelle relazioni internazionali che risale al 1948 e che è stato ampiamente accettato non solo tra vari stati islamici, ma anche in generale nei forum internazionali. L’esclusione di Israele e il tentativo di isolarlo, sia alle Nazioni Unite sia all’Unesco e in altri forum come Durban, svelano un antisemitismo globale in cui l’odio per gli ebrei è stato sostituito dall’odio internazionale per Israele.
Questo atteggiamento, leggermente diminuito negli ultimi anni, costituisce un’eccezione a tutte le altre forme di relazioni internazionali. In ogni altro caso – ad esempio, se gli Stati Uniti e l’Iran dovessero avviare colloqui – il tema dominante dei commenti sarebbe che l’engagement (il coinvolgimento, l’impegno) è di per sé un fatto positivo nei rapporti internazionali. Come dicono tutti, la diplomazia è preferibile allo scontro e alla guerra. Per gli altri stati, la questione delle relazioni non è quasi mai controversa. Quanto possano essere buone queste relazioni, è un’altra questione. Tuttavia, anche paesi che si sono combattuti in molte guerre, come India e Pakistan, o paesi che non vanno per nulla d’accordo, come Turchia e Grecia, per lo più hanno relazioni fra loro. Esistono rare eccezioni quando si tratta di paesi la cui creazione non è stata riconosciuta da tutti, come è il caso del Kosovo. Si tratta di eccezioni, non della regola. Ma l’eccezione di Israele è diversa. È un pregiudizio etnico-religioso che spinge certi paesi a non avere rapporti con lo stato ebraico. Durante l’era sovietica c’era il pretesto della Guerra Fredda, ma oggi la spiegazione del perché un paese come la Malaysia si rifiuti di avere relazioni con Israele sta esclusivamente nell’antisemitismo. Malaysia e Israele non hanno mai combattuto una guerra e sono molto distanti l’uno dall’altro. Molto probabilmente i due paesi potrebbero andare d’accordo sul piano economico e su parecchi altri temi. Ma la Malaysia ha una storia di feroce antisemitismo, incarnato nel suo ex leader Mahathir Mohammed: quello che sosteneva la negazione della Shoà e che in passato veniva spesso invitato a tenere discorsi nelle università occidentali come la Columbia, famose per invitare a parlare i campioni dell’odio globale antisemita. Mahathir definiva gli ebrei “nasi adunchi” e faceva largo uso di ogni possibile cliché antisemita. Qui non si tratta di sostegno ai palestinesi nelle relazioni internazionali della Malaysia. Qui si tratta dell’antisemitismo come elemento costitutivo delle relazioni internazionali. E non sorprende che la Malaysia abbia ospitato volentieri Hamas. L’antisemitismo del leader malese come ispiratore della sua politica estera non è una novità. Nel 2003, intervenendo al vertice dell’Organizzazione della Conferenza Islamica tenuto in Malaysia, affermò che gli ebrei governano il mondo per procura. E i 57 stati presenti alla Conferenza non presero nessuna distanza da quel discorso: perché era un concetto ampiamente accettato.
Questo fondamento antisemita della politica estera – apertamente promosso da paesi come la Malaysia come politica ufficiale alla base della mancanza di relazioni con Israele – non è un fatto contestato sulla scena mondiale. Al contrario, l’odio verso ebrei e Israele è spesso l’unica cosa che questi paesi possono liberamente promuovere senza essere criticati. Questo implicito antisemitismo è la ragione per cui i talebani rifiutano apertamente relazioni con Israele. Non è perché hanno una politica estera “islamica” volta a mettere al primo posto i musulmani rifiutandosi di avere rapporti con paesi che reprimono i musulmani: nient’affatto (basti pensare ai loro rapporti con la Cina). È solo perché, allo stesso modo di altri stati con cui i talebani hanno stretti come Qatar e Pakistan, considerano semplicemente normale rifiutare relazioni con Israele.

Mappa delle relazioni diplomatiche d’Israele. In arancione e in giallo i paesi che non hanno mai avuto o hanno interrotto i rapporti diplomatici con lo stato ebraico – questa mappa non è aggiornata agli Accordi di Abramo dell’anno scorso (clicca per ingrandire)
La mappa dei paesi che non hanno relazioni con Israele mette in evidenza un gruppo di stati falliti come Libia, Yemen, Somalia, ma include anche altri stati, come Venezuela e Bolivia, che sostengono d’aver tagliato i rapporti con Israele a causa delle tensioni con i palestinesi. Ma questi stati non tagliano affatto i rapporti con altri paesi per questioni analoghe o molto peggiori. Di nuovo, una manifestazione di antisemitismo in politica estera. È raro che i paesi subordinino la propria politica estera a pregiudizi etnici, razzisti e religiosi. In realtà, la maggior parte dei paesi che pure si trovano agli antipodi su vari temi religiosi, ideologici e politici, generalmente mantengono relazioni diplomatiche fra loro. E’ solo Israele che viene ostracizzato. Ecco perché la scelta dei talebani in questa materia non sorprende affatto.
L’idea che gli Accordi di Abramo – grazie ai quali Israele ha raggiunto la normalizzazione con Bahrain, Emirati Arabi Uniti e vari altri paesi – potessero aprire la strada verso posizioni un po’ più articolate circa lo stato ebraico in paesi come Pakistan, Malaysia, Qatar e persino fra i talebani, deve chiaramente fare ancora molta strada. Viceversa, viene ancora considerato del tutto normale il fatto che questi paesi non prendano nemmeno in considerazione relazioni con Israele, e solo con Israele.
Tutto questo va anche al di là delle relazioni diplomatiche. Quando si tratta di cose come incontri sportivi o eventi cultuali, nessuno si rifiuta di incontrarsi con i kossovari, benché il Kosovo non sia riconosciuto da altri stati. Quando invece si tratta di Israele, non c’è Olimpiade che non contempli l’imbarazzante esibizione di atleti di alcuni paesi, come Iran o Algeria, che si rifiutano di affrontare un atleta israeliano. Il che dimostra ancora una volta che non si tratta solo di una questione di politica estera. E’ molto di più: è qualcosa che permea certe società come nient’altro di simile. Ad esempio, ai giornalisti libanesi è vietato anche solo intervistare degli israeliani. Non c’è un altro paese al mondo di cui non possano intervistare i normali cittadini. I talebani si sono trovati di recente in grande imbarazzo nello scoprire di aver inavvertitamente concesso un’intervista a un giornalista israeliano. In questi stati sono problematici anche i prodotti “Made in Israel” e simboli ebraici come la stella di David o i caratteri della scrittura ebraica. Non succede in nessun altro caso. Tanti trovano disgustoso il regime iraniano, ma tutti concordano sul fatto che i cittadini iraniani in quanto tali non sono da ostracizzare per via del regime che è al potere a Teheran. Nessuno odia la lingua farsi solo perché il regime parla in farsi. Nessuno rifiuta i simboli sciiti solo perché sono usati dal regime iraniano. Qui si svela la realtà e il simbolismo della faccenda dei talebani che rifiutano relazioni con Israele. Non si tratta di Israele: si tratta di ebrei, ebraismo, simboli ebraici, lingua ebraica e tutto quanto ha a che fare con gli ebrei.
La tacita e docile accettazione dell’ostracismo di Israele nei forum e nelle agenzie internazionali – anche da parte di paesi occidentali dove ebbe luogo la Shoà – ha a che fare con la legittimazione dell’antisemitismo e dell’esclusione di ebrei e israeliani nella politica estera. … La decisione in politica estera di evitare rapporti con Israele è dettata unicamente dall’antisemitismo. Non c’è altro principio nelle relazioni internazionali che possa spiegarlo, poiché nessun altro concetto del genere viene applicato allo stesso modo a qualsiasi altro paese o comunità di minoranza. I discorsi antisemiti dell’ex leader della Malaysia non fanno che enunciare apertamente il principio di fondo che guida il Pakistan e altri paesi. I talebani non hanno alcun motivo reale per rifiutare relazioni con Israele, tranne l’antisemitismo implicito per cui tale rifiuto, nel loro ambiente, è considerato perfettamente normale.
(Da: Jerusalem Post, 9.9.21)